Per trent'anni barista allo Zini, una vita allo stadio. Ricordi di partite e personaggi. E i suoi ragazzi sugli spalti con giacca bianca e bacinella per le bibite
Ha cominciato quando la Cremonese annaspava in serie D. “Allo stadio venivano 1.200, al massimo 1.300 persone. Le curve erano tre gradini in terra battuta e con l'erba”. Poi c'è stata l'altalena tra la C, la B e la A, andata e ritorno. “I tifosi sono aumentati e, nell'alternarsi di categorie, sono rimasto sempre qui”.
Cesare Scazzoli, 89 anni, vocione caldo, occhi vispi e simpatia travolgente, è stato il barista dello Zini dal 1961 al 1991. “Ho praticamente conosciuto tutti i giocatori, gli allenatori e i dirigenti di quel lungo periodo”. Il periodo eroico, color nostalgia della società grigiorossa.
Problemi di pressione lo hanno portato, 18 mesi fa, a Cremona solidale, palazzina Somenzi. Ha conservato una memoria di ferro.
“Ho iniziato l'anno in cui è nato Roberto, il mio unico figlio, dipendente della Negroni. Prima i bar degli stadi di tutta la Lombardia venivano dati in appalto alla Coca-Cola, dove lavoravo anch'io. Un giorno il direttore della filiale cremonese, che ha chiuso da tempo, mi ha chiamato chiedendo se, con alcuni miei colleghi, ero interessato a rilevare la gestione del locale dello Zini. Abbiamo accettato, il titolare della licenza ero io”.
Di bar, allora, ce n'era uno sotto la tribuna, in seguito sono stati aperti altri chioschi sotto il tetto della tribuna stessa, nelle curve e sui distinti.
“Allora le partite cominciavano tutte in contemporanea alle 14.30 della domenica, il calcio lo si vedeva solo a 90° minuto e alla Domenica sportiva”. Gli davano una mano dietro il banco la moglie Mariuccia, che se n'è andata, il fratello, il cognato. “E il gruppo di otto ragazzi alle mie dipendenze che si.muovevano su è giù per gli spalti a distribuire le bevande”. Tra loro anche il figlio, che ora ricorda: “Ho cominciato bambino, in quinta elementare. Alla fine dell'anno scolastico era abitudine raccogliere i soldi per fare un regalo al maestro. Ho partecipato con il denaro guadagnato vendendo bibite allo Zini”.
Il padre ascolta e riprende a raccontare. “Già, le bibite, in bicchieri di carta e plastica, mai di vetro. Ma anche le storiche confezioni mignon degli amari, come il 18 Isolabella e il Ramazzotti, oltre al cognac. E le tazzine con il caffé Borghetti, all'inizio, nell'intervallo e alla fine della partita, e i panini, con il salame o la coppa. Ne preparavamo anche 500 alla volta”.
Non c'è giocatore che il signor Cesare non abbia servito. L'elenco non finisce più. “Vialli, naturalmente: si era capitosubito che era un campione. Poi Cesini e Bencina, uno dei centrocampistipiù forti che abbiamo avuto. Ancora: Finardi, Montorfano, Lombardo, Rampulla: durante un viaggio di cremonesi in Sicilia il pullman si è fermato appositamente a Patti, il suo paese. Indimenticabile la domenica dell'esordio di Cabrini: era un ragazzino, avrà avuto 19 anni e andava già come una freccia lungo la fascia sinistra”.
Tanti anche gli allenatori passati, “per rinfrescarsi ma soprattutto scaldarsi in quegli inverni rigidi”, dal 'bar Scazzoli'. “Mondonico, Mazzia, Giagnoni e tanti altri”.
Come pure i dirigenti. “Maffezzoni, presidente del Pastificio Combattenti, ho cominciato con lui. Miglioli era di casa, Favalli si faceva vedere tutte le domeniche. Luzzara? Veniva qualche volta. In più c'era una donna, la magazziniera dello stadio, la leggendaria Carla, morta qualche tempo fa:
guai con noi. Tutte persone gentili”.
Compresi i tifosi, anche quelli della squadra avversaria, come sottolinea il figlio. “Non ho mai avuto problemi ad andare in giro per gli spalti con la mia giacchetta bianca e la pesante bacinella di metallo con le bevande. La svuotavo in fretta e tornavo a riempirla”.
“Ai più smilzi ne davo una contenente dieci bottiglioni di Coca-Cola, che veniva poi versata nei bicchierini, e quindici ai più robusti”, il padre interrompe il figlio. Che aggiunge: “Paura? Un po' solo quella volta, stagione 1976-77, in cui i sostenitori dell'Ascoli, che poi sarebbe stato promosso in A, hanno occupato tutta la curva: sono andato in mezzo a loro ma non è successo niente. C'erano dei cassoni foderati in legno dove si mettevano le bevande. Ci recavamo a prendere le stecche di ghiaccio e le caricavamo in auto per poi sistemarle sulle bibite in modo da tenerle al fresco. Per noi ragazzi era un lavoro pesante”. “Ma ben retribuito: una percentuale per ogni bibita venduta. Eravamo giusti”, rivendica il padre. “Oltre alla mancia”, conferma il figlio.
A Cremona solidale, subito dopo il ricovero, il papà ha incontrato uno dei suo tanti giovani aiutanti di un tempo: Silvano Guindani, volontario in via Brescia: “E' stato lui a riconoscermi”. Cesare ha lasciato la gestione del bar dello stadio dopo 30 anni ininterrotti. “Non si potevano più vendere gli alcolici ma, soprattutto, eravamo stanchi. Ecco una vecchia foto in bianco e nero: io, il primo a destra, con i miei 6 soci. Se ne sono andati quasi tutti”. Naturalmente, continua a seguire da vicino la Cremonese. alla tv e attraverso i racconti del figlio, abbonato allo Zini, ex calciatore e a lungo allenatore delle giovanili a Soresina. “Ci sarebbe voluto un buon centravanti. La vedo difficile dopo la vittoria del Verona a Lecce”, dice il padre. Poi, accompagnato amorevolmente da Roberto, torna tra gli altri anziani ospiti lasciandosi dietro la sua voce inconfondibile.
Ilaria Canna, l'educatrice che, con Stefano e i suoi colleghi, si prende cura con affetto e competenza dei pazienti del Mainardi, la riconosce a distanza: “Cesare è un personaggio famoso qui. Partecipa a tutte le nostre attività. Si lascia coinvolgere e sa coinvolgere gli altri”.
Come faceva, sfornando caffè, distribuendo liquori, riempendo panini ma anche regalando sorrisi, alle partite di pallone.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti
Alessandro Dossena
14 maggio 2023 01:52
Il primo a sx era mio papà Dossena Enea😥