Pure Crema con il sindaco Bergamaschi in testa è per Giulia e contro la violenza sulle donne
Così postò via social il sindaco di Crema Fabio Bergamaschi sulla manifestazione per Giulia e contro la violenza sulle donne.
Ogni 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ci ritroviamo con il cuore pesante per commemorare le vittime di femminicidio, statisticamente una ogni tre giorni. Un elenco di nomi che oggi leggiamo con la consapevolezza che domani, o dopodomani, comunque in un futuro molto prossimo a queste stesse ore andrà tragicamente aggiornato.
In questi ultimi giorni tutti noi abbiamo portato il nostro pensiero alla giovane Giulia Cecchettin: 22 anni, il traguardo di una laurea che non le è stato permesso di raggiungere e una vita davanti che sarebbe potuta divenire tante cose, belle ed importanti, e che invece non sarà.
La sua storia, analogamente a tante altre, ci ricorda crudelmente che la violenza di genere non conosce età, geografia, cultura. E questo ci deve impegnare in un discernimento profondo, perché le risposte semplici, sempre oscene nell’opera di banalizzazione e travisamento delle complessità del reale, qui non possono essere ammesse.
Oggi non piangiamo solo la perdita di vite di donne, che dall’inizio dell’anno hanno già superato il centinaio, ma ci raccogliamo come comunità per affermare con unità e fermezza che non possiamo tollerare né giustificare alcuna forma di violenza di genere. Ma soprattutto per impegnarci, tutte e tutti ed in particolare i maschi, in una vasta opera di messa in discussione di modelli, paradigmi, pensieri che permeano la nostra quotidianità iniettandovi la tossina della sopraffazione di genere, a fronte della quale non disponiamo di adeguati anticorpi. Almeno, non tutti. Almeno, in troppi.
«L'amore vero non umilia, non delude, non calpesta, non tradisce e non ferisce il cuore. L'amore vero non picchia, non urla, non uccide».
È un richiamo a coltivare relazioni basate sulla reciprocità, sul rispetto e sull'uguaglianza. E sulla libertà. Perché ogni storia di femminicidio è una storia di privazione della libertà. Di controllo, di dominio, di sopraffazione, talvolta ingentiliti dall’osceno inganno maschile della protezione: “è per il tuo bene”. Oppure “le faceva i biscotti”, come si è detto di Filippo Turetta.
“Donna, vita, libertà”. Vogliono essere libere, le donne. Dall’Iran fino ad ogni angolo del mondo. E la responsabilità, coniugata alla libertà, completa quel binomio necessario in ogni relazione equilibrata, in cui l’uno diventa lievito per l’altra e viceversa.
Dobbiamo, tutte e tutti, essere agenti di cambiamento per porre fine alla piaga dei femminicidi ed affermare modelli relazionali consapevoli e maturi.
Siamo chiamati ad una rivoluzione culturale, come si definisce comunemente. Un’opera di discernimento individuale e collettivo, preferisco chiamarla. Perché se nella rivoluzione albergano spesso anche istinti superficiali e banale conformismo dei singoli alle masse, qui, cari uomini, occorre qualcosa di diverso. Qualcosa di profondo, di radicale: un autentico ripensamento dell’immagine che abbiamo di noi stessi, del nostro ruolo, del nostro agire, del nostro modo di pensare.
Non siamo tutti colpevoli, ma siamo tutti coinvolti.
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