Quando il maestro del Vho di Piadena incontrò don Milani a Barbiana. "Qui i giorni di scuola sono 365 l'anno, 366 negli anni bisestili"
Quest'anno si celebra il centenario della nascita di don Lorenzo Milani, nacque infatti il 27 maggio 1923 a Firenze e morì a soli 44 anni il 26 giugno 1967. Un prete che ha esercitato un ruolo di primo piano nella Chiesa e nella società civile, costituendo un pungolo per tutte le coscienze libere del Paese. L'esperienza di don Milani, simile a quella intrapresa da uno sparuto gruppo di religiosi (don Mazzolari, don Zeno Saltini, Padre Balducci, Davide Maria Turoldo) costituiva, nell'immediato dopoguerra, una forte testimonianza dell'impegno cristiano per una diversa pratica e attuazione dei principi ispiratori della fede cattolica. Un impegno spesso poco apprezzato dalle alte gerarchie ecclesiastiche pre e post-conciliari, ancora troppo ancorate a schemi e comportamenti più consoni al passato che ad una attenta lettura dei tempi.
Un'altra coscienza libera, quella di Mario Lodi (leggi qui l'articolo di Gianvi Lazzarini sul maestro del Vho), incontrò e con il sacerdote toscano intrattenne profondi rapporti. Qualche anno fa, in occasione del trentesimo anniversario della morte di don Milani, il quotidiano cremonese “La Cronaca” raccontò degli incontri tra le due personalità, proprio attraverso la testimonianza del maestro del Vho di Piadena. Ecco l'articolo.
Barbiana e Vho, don Milani e Mario Lodi: due località geografiche e due personaggi diversi e lontani eppur accomunati dal medesimo tentativo di riformare, se non rivoluzionare, quel mondo della scuola di cui rifiutarono le regole imperanti. Ognuno con la propria storia, il proprio passato, origine, obiettivi e scelte di vita che li avrebbero dovuti condurre su strade lontane.
Invece i loro percorsi ebbero a incrociarsi e ne nacque un'intesa, frutto di quel comune "sentire" in grado di superare ogni diversità. Li univa la volontà di correggere quelle storture create dalla società e che la scuola, anziché appianare, codificava in spietate leggi e regole del più forte.
Entrambi denunciarono la discrasia fra quanto le leggi dello Stato enunciavano e poi in concreto realizzavano. Una scuola, quella dominante, specchio fedele e fucina indefessa di quei torti che la vita comune proponeva a milioni di cittadini. Don Milani e Mario Lodi ebbero il coraggio di opporsi all'andazzo, percorrendo e indicando nuove metodologie attraverso le quali sarebbe stato possibile spezzare quegli schemi e pastoie entro cui la scuola era imbrigliata.
Una scelta impervia e irta di difficoltà, pagata a caro prezzo da entrambe.
Un profilo della figura del priore di Barbiana ce lo delinea lo stesso Mario Lodi che incontriamo a Drizzona nella Casa delle Arti e del Gioco, il suo "regno".
Il tono pacato, il tratto fine dei lineamenti del viso, lo sguardo vivace contraddistinguono quest'uomo che ha dedicato più di cinquant'anni della sua vita alla scuola. La definitiva consacrazione, giunta negli ultimi tempi, ha sancito i meriti di questo insegnante e la validità delle intuizioni espresse in passato. Un passato costellato da gioie e speranze ma anche da amarezze, delusioni, attacchi feroci da parte di quei benpensanti che non tolleravano il suo essere ed il suo agire. Il "maestro" per antonomasia ci accoglie nel laboratorio ed inizia a ripercorrere a ritroso nel tempo il suo incontro con don Milani.
Verso la fine di luglio del 63, Mario Lodi si trovava in villeggiatura presso una località della riviera adriatica quando il suo amico giornalista Giorgio Pecorini, che si occupava di scuola e di sacerdoti "ribelli", gli proponeva di recarsi a Barbiana per conoscere don Milani. "Scortato" da Pecorini, che da anni frequentava Barbiana, il maestro cremonese giungeva, senza preavviso, nell'impervia località a ridosso del Mugello.
Don Milani era intento a far lezione ai suoi ragazzi, su come si realizza un affresco, quando i due inaspettati ospiti lo raggiungevano nel vicino bosco.
Dopo aver fatto conoscenza, Mario Lodi veniva investito da un fuoco di fila di domande che i giovani alunni di Barbiana gli rivolgevano sui metodi e i contenuti impartiti nella scuola statale. Facile gioco avevano nel porre in risalto le anomalie, i limiti (“voi non potete parlare di politica a scuola mentre noi siamo liberi di farlo"), le contraddizioni presenti nell'educazione scolastica ufficiale. Veniva invece favorevolmente accolto, e sarà alla base della famosa lettera inviata dagli alunni di Barbiana a quelli del maestro Lodi, il metodo collegiale impiegato per analizzare e affrontare qualsiasi argomento didattico.
La permanenza di Lodi si protraeva per la giornata seguente dandogli modo di approfondire la conoscenza con il sacerdote toscano. Gran parte del tempo lo si trascorreva all'aperto, sotto il pergolato, o nelle povere stanze adibite a scuola (il ricordo di Lodi si sofferma su una grande carta del cielo appesa ad una parete) dove era esposto il materiale, grafici e statistiche, utilizzato per le lezioni e le ricerche realizzate dagli alunni di don Milani.
Mario Lodi ricorda le profonde affinità fra i figli dei contadini di Vho e i figli dei montanari di Barbiana e il classismo della scuola che, come testimoniavano i dati raccolti da don Milani per stilare la "Lettera a una professoressa", operava una spietata selezione in gran parte a scapito delle fasce sociali più deboli, contravvenendo ad uno dei principi fondamentali della carta costituzionale.
L'immagine che affiora dalla ricostruzione effettuata da Lodi ci consegna un sacerdote dal forte carattere che, nonostante le polemiche, rimaneva comunque a suo modo indissolubilmente legato all'istituzione di appartenenza ed era assai refrattario alle speculazioni politiche operate sulla sua persona e immagine. Come puntualizza il maestro Lodi, per don Milani lo stesso partito comunista, che pure lo difese a lungo in tante battaglie, andava collocato a destra, nel panorama politico, in quanto aveva abbandonato l'originale linea di rigore del passato.
Un uomo comunque in grado anche di manifestare acute intuizioni come quella espressa in relazione alla presenza della televisione, allora in fase di espansione. "Si abitua (l'uomo) a intendere fulmineamente e si disabitua a riflettere" . Per Lodi don Milani colse in anticipo il pericolo che quello strumento avrebbe potuto costituire se male impiegato, come poi in realtà si è verificato.
Al termine della nostra conversazione il maestro si pone un interrogativo. Se fosse ancora in vita don Milani quali giudizi formulerebbe sulla situazione attuale del nostro Paese? Un quesito interessante ma a cui è impossibile fornire una risposta certa.
Sicuramente ancora oggi, come ieri, leverebbe alta, in un mondo trasformatosi con estrema rapidità, la propria voce in difesa dei nuovi poveri e di tutti gli oppressi presenti in ogni parte del mondo.
Questa lettera fu inviata da don Milani e i suoi ragazzi a Mario Lodi. dopo la visita effettuata da quest'ultimo a Barbiana. Ancora oggi, essa rappresenta la più efficace descrizione del metodi e del particolare tipo di insegnamento che si svolgeva nel piccolo paese toscano. E non per nulla viene sempre citata nelle pubblicazioni su Don Milani, a titolo esemplificativo di quella rivoluzione silenziosa portata avanti dal sacerdote.
Barbiana, 2 nov. 1963
Caro maestro.
le accludo la lettera. La ringrazio d'averci proposto quest'idea perché me ne sono trovato bene. Non avevo mai avuto in tanti anni di scuola una cosi completa e profonda occasione per studiare coi ragazzi l'arte dello scrivere. Per noi dunque tutto bene anzi sono entusiasta della cosa.(..)
Barbiana è sul fianco nord del monte Giovi, a 470 metri sul mare. Di qui vediamo sotto di noi tutto il Mugello che è la valle della Sieve affluente dell'Arno. Dall'altra parte del Mugello vediamo la catena dell'Appennino. Voi la vedete? Barbiana non è nemmeno un villaggio, è una chiesa e le case sono sparse tra i boschi e i campi(..)
La nostra scuola è privata. E' in due stanze della canonica più due che ci servono da officina.
Ora siamo in ventinove.
L'orario è dalle otto di mattina alle sette e trenta di sera. C'è solo una breve interruzione per mangiare. La mattina prima delle otto quelli più vicini in genere lavorano nella stalla o a spezzar legna. Non facciamo mai ricreazione e mai nessun gioco. (..)
I giorni di scuola sono 365 l'anno. 366 negli anni bisestili.
La domenica si distingue dagli altri giorni solo perché prendiamo la messa (...)
A poco a poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolare: non c'è voti, né pagelle, né rischio di bocciare o di ripetere. Con le molte ore e i molti giorni di scuola che facciamo, gli esami ci restano piuttosto facili, per cui possiamo permetterci di passare quasi tutto l'anno senza pensarci. Però non li trascuriamo del tutto perché vogliamo contentare i nostri genitori con quel pezzo di carta che stimano tanto, altrimenti non ci manderebbero più a scuola. (...)
Il Priore ci propone un ideale più alto: cercare il sapere solo per usarlo al servizio del prossimo per esempio dedicarci da grandi all'insegnamento, alla politica, al sindacato, all'apostolato o simili.(..)
Se diciamo in casa che vogliamo dedicare la nostra vita al servizio del prossimo, arricciano il naso, anche se magari dicono di essere comunisti.
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