1 dicembre 2022

Salvaguardare "i tetti della città rossa", un patrimonio di secoli. Dopo l'intervento del Sovrintendente, ricordiamo quello che scrisse Antonio Leoni

L'intervento del Sovrintendente Barucca sulla difesa dei tetti di Cremona dall'assalto dei pannelli fotovoltaici (leggi qui) riporta alla ribalta la tutela della "città rossa", la Cremona che colpisce i visitatori che arrivano portati dalla fama dei violini ma vengono rapiti da quel cotto e quei tetti senza eguali. Il Sovrintendente è intervenuto duramente su questo tema dopo che qualche amministratore si è lasciato andare al proclama: "fotovoltaico su tutti i tetti di Cremona" (La Provincia, 8 novembre 2022). Bisognerà ricordare che "Cremona città rossa” è diventata un mito internazionale fin dal 1962 quando un romanzo giovanile di Corrado Stajano concludeva così il capitolo sulla notte d’amore passata sul Po. “Guarda. Il sole sfiorava il Po e batteva sui tetti e sulle torri della città rossa” oppure quando Ugo Dotti ne “Le chiavi d’oro” scriveva “veduta da lontano, vibrante nel suo gomitolo rossigno, la città dipanava  i suoi infiniti itinerari”. Il colore rosso mattone del cotto lombardo di palazzi e chiese ti accompagna ancora in città.

La battaglia per quel panorama visto soprattutto dal Torrazzo che non bisogna alterare l'avevano già portata avanti illustri concittadini negli anni Settanta. Lo stesso ha fatto Antonio Leoni, con il suo Vascellocr.it, su cui aveva pubblicato ben tredici anni fa un servizio strepitoso dal titolo: "Un attentato alla città rossa: i tetti possono essere adesso di qualsiasi colore? Così si guasta via via in modo irrimediabile la secolare visione dal Torrazzo che commosse pittori e poeti" ma ancora di grande attualità. E Leoni aveva corredato il servizio con alcune sue fotografie scattate dal Torrazzo che facevano ammirare il ritmo dei tetti rossi ma anche i guasti già compiuti. Ecco l'articolo di Leoni. (m.s.)

"Il commovente, irresistibile panorama dei tetti rossi di Cremona sta subendo un attentato clamoroso e per più proprio nel cuore della città, una ferita profonda. Ecco fotografati qui sopra gli immensi tetti della nuova Casa di Bianco, sapientemente mascherati verso il basso con la copertura in coppi verso piazza Stradivari ma clamorosamente ostili in tutto il resto del complesso con un colore tecnologico che contrasta paurosamente con il panorama dall'alto tutelato per secoli e che ha dato persino il nome a qualche romanzo. La copertura della casa di Bianco si allinea con quella torre (e solo della torre) della Palazzo della Corporazioni, ora Camera di Commercio. Il "piccone risanatore" di Farinacci fu violentemente criticato per la indifferenza, si disse, alla fisionomia tradizionale del centro storico. Ora siamo tornati a quegli anni o, a quarant'anni fa, quando un analogo clima di indifferenza urbanistica portò ad altri scempi del panorama di Cremona dal Torrazzo con i grattacieli di Piazza Roma e con la costruzione del palazzo del Fulmine?
Tuttavia contro questi orrori si levò forte allora il grido della città che indusse finalmente la non del tutto incolpevole giunta Lombardi a emettere precise disposizioni di tutela del panorama del centro storico. Oggi ci ritroviamo con una serie di scelte che stanno suscitando profonde preoccupazioni: si pensi al destino dell'architettura di Cocchia a Palazzo dell'Arte, alla violazione del ritmo e del colore delle facciate in via Bonomelli, alla indifferenza per la modifica a scopo speculativo delle antiche cascine cremonesi testimoniata nel servizio "Le cascine cremonesi dimenticate ed offese",
Per chi ha vissuto quel periodo di 40 anni fa, è ritrovarsi nel medesimo clima di indifferenza giustificata dalla medesima esigenza di ammodernamento "per non lasciare andare tutto in rovina". Ecco, una testimonianza precisa del volto di Cremona dall'alto assolutamente da tutelare e dei guasti che ora riprendono e contro i quali lanciamo un appello accorato, se c'è ancora modo di rimediare".

*Nelle fotografie di Antonio Leoni i tetti di Cremona, l'intervento alla Casa di Bianco e "un attentato del periodo più nero dell'urbanistica cremonese del dopoguerra: la copertura della sala borsa della Camera di Commercio, indifferente al panorama circostante e, qui sotto, l'inserimento a forza del palazzo del Fulmine in un tessuto che appariva ancora sostanzialmente intatto. 40 anni fa immaginavamo che non si sarebbe più ritornati su questo problema".


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