Terrorismo islamico. Vent'anni fa l'arresto di Mohamed Rafik, predicatore d'odio alla moschea di via Massarotti
Era una nebbiosa giornata di fine d’ottobre di vent’anni fa. Accanto al ponte di Po il muro di umidità fu squarciato, all’improvviso, da decine di luci azzurre e da sirene ululanti di macchine nascoste ai bordi della strada. Ne uscirono poliziotti in borghese: armi in pugno. Bloccarono un’autovettura che aveva appena lasciato la struttura ferrata. Fecero scendere gli occupanti. Gli misero le manette. Si infilarono, a tutta velocità, nel vecchio palazzo di via dei Tribunali: sede della questura. Finiva così il pellegrinare di Mohamed Rafik: imam marocchino accusato di aver partecipato, il 16 maggio di quello stesso 2003, alle stragi di Casablanca in cui morirono 41 persone, tra cui un italiano. Predicatore d’odio verso ebrei e cristiani nella moschea di via Massarotti. Personaggio controverso: ora svanito nel nulla. Al magrebino veniva notificato un ordine d’arresto internazionale proprio per la carneficina compiuta in diversi luoghi della città tra cui il consolato belga, il cimitero israelitico e il ristorante ispanico ‘Casa de Espana’.
Era da tempo, che Direzione Distrettuale Antimafia di Brescia competente per reati di terrorismo, teneva monitorava l’islamista. Ne seguivano i suoi spostamenti da Firenze, dove abitava con la moglie, nelle diverse località del Nord Italia dove perpetuava, nei centri di preghiera, gli incitamenti alla jihad e alla commissione di attentati per rivendicare la causa palestinese e quella dei talebani dell’Afghanistan. A partire da quel giorno di Ferragosto, sempre del 2003, quando le microspie, piazzate in moschea, captarono un suo sermone infuocato. Infarcito, secondo i magistrati della Dda “di esortazioni violente nei confronti proprio di ebrei e cristiani: definiti scimmie e maiali”. “Di odio contro il mondo occidentale, gli Stati Uniti, la democrazia e i cristiani d’Europa”. Con inviti, più che espliciti ai musulmani di Cremona, ‘di preparare le armi, terrorizzare i nemici e combatterli”. Parole che fecero scattare lo stato d’emergenza. Pattuglie della polizia furono inviate davanti alla moschea armate di tutto punto. Gli inquirenti temevano che alcuni tra i più radicali sarebbero usciti con le mani Kalashnikov.
Già un anno prima, nel 2002, il nome di Rakif era finito nel registro degli indagati. Gli inquirenti avevano scoperto non solo il suo radicalismo stragista. Ma anche i contatti telefonici con esponenti di Ansar Al Islam per l’invio di uomini e denaro ai ribelli del Kurdistan. Suoi appunti per la difesa di un altro imam finito in carcere per aver contribuito a raccogliere soldi per i mujihadden. In un computer sequestrato erano stati rinvenuti file con la chiara dicitura ‘Kalashnikov’. Altro materiale eversivo di natura ideologica fu rinvenuto nell’anno 2004 quando i magistrati bresciani emisero un’imponente ordinanza di custodia cautelare nei confronti della cellula cremonese accusata di preparare un gigantesco attento dinamitardo contro la Cattedrale di Cremona. In quell’occasione emersero dati investigativi inoppugnabili del suo coinvolgimento nella strage a Casablanca.
Nonostante abbia negato l’appartenenza a movimenti terroristici fu condanno a 4 anni e 8 mesi di reclusione dal gup di Brescia. Condanna ribadita nei successivi gradi di giudizio.
Ora di lui non si sa più nulla. E’ svanito come tanti combattenti islamici nel nostro Paese.
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