Trent'anni fa il parà Rossano Visioli di Casalmaggiore venne assassinato nel porto di Mogadiscio. Sabato il ricordo e la commemorazione. Su chi abbia sparato restano molte ombre
Sabato prossimo Casalmaggiore ricorda solennemente il trentesimo anniversario della morte di Rossano Visioli (nato il 10 maggio 1973 a Casalmaggiore) che, assieme all’altro parà della Folgore Giorgio Righetti, fu ucciso nel porto di Mogadiscio il 15 settembre del 1993, mentre era intento a fare jogging. Ufficialmente furono cecchini somali a sparare, anche se sulla vicenda rimangono molte ombre oscure. Colpiti dalla raffica, Righetti morì sul colpo mentre Rossano spirò sull’elicottero che lo stava trasportando in ospedale. A dare la notizia al TG3 fu Ilaria Alpi, uccisa solo 6 mesi dopo in un agguato, pure lei a Mogadiscio. I dubbi restano dopo trent'anni perchè molti documenti della Commissione Parlamentare d'inchiesta sul caso Ilaria Alpi-Hrovatin sono ancora secretati.
In occasione del 30° anniversario l'Associazione Nazionale Paracadutisti d'Italia e la sezione cremonese dell, con la famiglia Visioli e con il patrocinio del Comune di Casalmaggiore hanno organizzato alcune iniziative:
-ore 18:00: deposizione di un mazzo di fiori sulla tomba di ROSSANO VISIOLI presso il cimitero di Casalmaggiore (in forma non ufficiale; libera partecipazione a chi lo desidera)
– ore 18:30: S. Messa di suffragio celebrata nel Duomo di Casalmaggiore
- ore 19:30: Conferenza sull’Istituto del Nastro Azzurro nel centenario della fondazione; relatrice Dott.ssa Paola Bosio, Presidente della Sezione di Cremona del Nastro Azzurro (presso l’’Auditorium parrocchiale del Duomo di Casalmaggiore)
– al termine Apposizione Medaglia d’Oro al Valor dell’Esercito di Rossano Visioli sul Labaro del Nastro Azzurro Sezione di Cremona.
L'agguato al porto nuovo di Mogadiscio avvenne il 15 settembre 1993 tra le aree comprese tra la banchina del molo nord e le alture circostanti il porto della capitale somala, durante la guerra civile somala, e persero la vita due militari italiani della missione internazionale UNOSOM II, poi insigniti della medaglia d'oro al valore dell'esercito. La versione ufficiale dei vertici militari italiani imputò come autori dell'attacco i cecchini somali, ma nel corso del tempo sono stati sollevati diversi dubbi intorno all'esatta dinamica dell'agguato, con particolare riguardo ai possibili mandanti di un attacco non chiaramente riconducibile ai Mooryaan somali
La sera del 15 settembre 1993 alle 19:20 circa quattro paracadutisti italiani, il caporale Giorgio Righetti, il caporale Rossano Visioli, il caporale Nicola Sforza e il paracadutista Christian Baldassin, rimasero vittima di un agguato mentre si trovavano liberi dal servizio e praticavano jogging con le magliette verdi dell'esercito, sulla banchina del molo nord del porto di Mogadiscio nelle aree sotto il controllo militare interforze dei contingenti UNOSOM.
Alcuni cecchini somali appostati sulle alture adiacenti che guardano il porto, in prossimità della quale si ergeva l'ex prigione centrale di Mogadiscio (di fianco all'ospedale Giacomo De Martino), fecero fuoco sul gruppo di parà, uccidendo i paracadutisti Righetti e Visioli.
Non fu mai chiarita l'esatta dinamica dei fatti, in particolare da chi avrebbe iniziato l'azione di fuoco. Tra le varie ipotesi, s'ipotizzò che la sparatoria fosse iniziata tra somali armati e caschi blu degli Emirati Arabi, che controllavano il lungomare e avevano uomini appostati sul tetto del carcere. Di certo è che i quattro parà, uno accanto all'altro, arrivarono di corsa in fondo al molo nord e svoltarono tenendo il muro perimetrale sulla destra, e quando giunsero al centro della banchina udirono degli spari provenire da dietro. Scapparono sulla sinistra cercando riparo tra alcuni veicoli dei contingenti UNOSOM parcheggiati lungo la banchina del molo, ma rimasero sotto il tiro continuo e si susseguirono ulteriori spari e raffiche che investirono Righetti e Visioli.
Visioli, ferito da un colpo al petto che gli aveva perforato un polmone, cadde a terra chiedendo aiuto, Righetti nel prestargli soccorso morì sul colpo colpito da un proiettile alla nuca e da un secondo al polpaccio. Sforza rimase al riparo nascosto tra i veicoli, mentre Baldassin uscì di corsa allo scoperto per chiedere aiuto al comando italiano distante circa cinquecento metri.
Il giornalista del Corriere della Serra Massimo Alberizzi, inviato come corrispondente a Mogadiscio, si trovava con Ilaria Alpi all'Hotel Sahafi e fu tra i primi a dubitare della versione ufficiale, raccontando di aver intercettato le conversazioni radio dei militari italiani che chiedevano aiuto e riferivano di essere sotto il "fuoco amico di militari arabi o americani.
Il generale Cesare Pucci, che dal 1992 diresse il Sismi per due anni, all'audizione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Alpi-Hovratin, escluse l'incidente parlando di delitto volontario da parte di militari malesi e dell'UNOSOM
Rimane inspiegata la passività degli altri contingenti caschi blu presenti nell'area del porto (indiani, pakistani, emiratini) e dei poliziotti somali.
I documenti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Alpi-Hrovatin tra cui documenti sulle morti di Visioli e Righetti, in parte sono stati desecretate e sono di dominio pubblico; parte delle sedute si sono invece svolte in seduta segreta e sono ancora classificate come riservate.
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