17 luglio 2022

Un quadro cremonese del Piccio per Manara è il simbolo della grande mostra in corso al Mudec di Milano dal titolo "La Voce delle Ombre"

C'è un bel pezzo di vecchia Cremona all'esposizione in corso al Museo delle Culture di Milano (Mudec di via Tortona) e che si concluderà dopo l'estate  dal titolo "La Voce delle Ombre. Presenze africane nell’arte dell’Italia settentrionale”.

Il simbolo della mostra (che figura anche in copertina del bel catalogo di Silvana Editrice) è il ritratto del conte Giuseppe Manara, nobile cremonese all'epoca proprietario del Palazzo Manara di via dei Tribunali in cui ha sede oggi la Questura. Il dipinto è di Giovanni Carnevali Piccio, grande pittore lombardo di cui il prossimo anno ricorrono i 150 anni dalla morte (originario della bergamasca ma morto per annegamento in Po ed è sepolto proprio a Cremona) pittore particolarmente amato dalla nobiltà e dalla borghesia cremonese. Qualche anno fa si tenne a Cremona una sua antologica e probabilmente nel 2023, appunto in occasione dei 150 anni dalla morte, qualche iniziativa sotto il Torrazzo andrebbe pensata.

Ma torniamo al quadro simbolo e immagine guida di questa mostra a cura dalla Conservatoria del Mudec, è una delle prime in Italia dedicata alla rappresentazione di uomini e donne originari del continente africano e più in generale sullo schiavismo nel nord Italia fra il XVI e il XIX secolo. Attraverso l’esposizione di opere come dipinti e sculture, ma anche testimonianze documentarie, provenienti da importanti istituzioni pubbliche e private, la mostra rappresenta un tentativo di individuare le modalità di raffigurazione dell’altro, svelando canoni e cliché e vuole essere uno stimolo per indagare il fenomeno dello schiavismo e capire quale fosse l’identità di queste persone. Il Ritratto del conte Giuseppe Manara è un dipinto di Giovanni Carnovali, detto il Piccio (Montegrino Valtravaglia, 1804 - Coltaro, 1873). Si tratta in realtà di un doppio ritratto, dato che in esso è raffigurato, in primo piano, il conte Manara e, arretrato, il suo amato servitore, un giovane di origine etiope. Il quadro risale al 1841 (o 1842) ed è attualmente conservato in collezione privata. Era collocato originariamente insieme a tante altre straordinarie opere e a una collezione derivante dai suoi viaggi all'estero soprattutto in Africa e Asia, nello splendido palazzo di via dei Tribunali oggi di proprietà di una immobiliare legata all'Inps e che sarà abbandonato dalla Questura quando si trasferirà nell'attuale sede del Politecnico in via Sesto. I Manara erano ricchissimi e come dice Lidia Azzolini, Giuseppe disponeva anche di circa ottomila pertiche di terra. Giuseppe Manara fu uno dei grandi estimatori del Piccio tanto che gli affidò diversi importanti lavori.  Era un esponente di un ceto orientato al cosmopolitismo e sensibile al fascino dell'esotismo. Il conte, appassionato di araldica e gastronomia, aveva in casa, a Cremona, alligatori imbalsamati, “lucerne cinesi”, “stoviglie del Giappone e longobardeAl pari di altri nobili cremonesi aveva infatti compiuto viaggi per le grandi città europee, in Medio Oriente e pure in Africa. L'amore del conte Manara per i viaggi è testimoniato da un Carme epistolare che l'amico Giovanni Chiosi (1796-1871) pubblicò nel 1845. In tale poemetto, di oltre 900 versi, si descrivono minuziosamente il palazzo del conte e la sua collezione di oggetti esotici e opere d'arte. Precede il testo una lunga dedica: "A Giuseppe Manara, I.R. Guardia Nobile Lombarda, Cavaliere Gerosolimitano, d'ogni peregrina cosa che lettere, scienze e arti illustra e promuove solerte indagatore, raccoglitore generoso, onde sua casa ospitale e patria nobilmente arricchisce, pegno d'ammirazione e di stima". "I tesori di palazzo Manara descritti nel Carme epistolare includono una tigre, un coccodrillo e molti uccelli imbalsamati, un corno di rinoceronte, arnesi curiosissimi, una sella turca, una scacchiera d'agata, ecc. Tutti oggetti meravigliosi, che erano il frutto dei suoi numerosi viaggi e della sua curiosità per l'insolito. Ma dal viaggio in Africa il conte aveva portato con sé anche un ragazzo etiope, che a Cremona divenne suo servo gradito quanto fedel. Il giovane morì però prematuramente, con grande dolore del suo signore, ed è ricordato con intense parole nel Carme epistolare". Il commosso poemetto scritto da Giuseppe Manara per il suo servo etiope dice, tra l'altro: "E te non tacerò, servo gradito/ quanto fedel, che dagli etiopi lidi/ dedotto a noi per molto mar, la vita. Ahi diro fato/ all’Eridano in margo/degli anni tuoi sul più fiorente aprile/abbandonavi, e ti seguia non scarsa/del tuo signor la lagrima pietosa". 

In mostra anche un quadro del Genovesino, l'Adorazione dei Magi, attualmente del Museo della Pilotta di Parma in cui uno dei Magi è di colore e che potrebbe provenire forse dalla chiesa cremonese soppressa di San Bartolomeo. 

IL PERCORSO ESPOSITIVO

Il percorso espositivo si colloca nelle Sale Focus del museo e si dipana in sezioni, incentrate sulle diverse modalità di rappresentazione delle persone nere. 

L’allestimento (curato dallo studio Origoni Steiner) si configura attraverso un evocativo dualismo cromatico bianco/nero ed elementi grafici minimali, che aiutano a sottolineare il peso delle figure nere all’interno di ciascuna opera, accompagnando il visitatore nella lettura delle opere esposte.

 Apre la mostra un documento proveniente dall’Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo, che attesta l’acquisto di uno schiavo nero di quattro anni, Dionisio, da parte del nobile Gaspare Ambrogio Visconti, nel 1486. È il testo stesso, con i suoi elementi intrinseci, a far comprendere al pubblico come la schiavitù, pur presente nel territorio milanese, non fosse a quel tempo così diffusa.

Nella prima sezione, Ombre senza voce, le presenze di origine africana sono servitori all’ombra dei loro signori, inserite nelle opere quasi come un accessorio. Il capostipite iconografico è il Ritratto di Laura Dianti con giovane servitore realizzato da Tiziano, a cui si rifà Aegidius Sadeler II per l’incisione (1600-1627 circa) di medesimo soggetto, presente in mostra. La serie gode di lunga fortuna, come testimonia il doppio ritratto del Conte Manara con il suo servitore etiope (1842), scelto come immagine guida della mostra.

 L’esposizione prosegue con la sezione Leggenda e tradizione, dedicata alle opere che documentano come nell’immaginario visivo di artisti e committenti italiani fossero presenti figure originarie dell’Africa, questa volta centrali nella rappresentazione, laddove vengono raffigurati personaggi straordinari, come nel caso del magio nero (come nell’Adorazione dei Magi di Genovesino, in mostra) o della domestica di Giuditta. Sono soggetti rappresentati anche in quei primi volumi che tentano di catalogare un’ampia gamma di costumi regionali e internazionali di popoli lontani, come l’Æthiopissa nel volume di Enea Vico Diversarum gentium nostrae aetatis habitus (1558), esposto in mostra.

In carne e ossa è il titolo della terza sezione, nella quale sono esposte le opere dove il corpo nero è finalmente protagonista, come nel caso di Muley Xeque (1566-1621), Don Filippo d’Austria, Infante d’Africa e Principe del Marocco, convertitosi al cristianesimo e quindi diventato una sorta di simbolo contro gli infedeli, e di Andrea Aguyar, ex schiavo uruguaiano che seguì Garibaldi in Italia e partecipò ai fatti della Repubblica Romana nel 1849, nobilitato dalla partecipazione all’epopea risorgimentale. Entrambi sono rappresentati in mostra con volumi e documenti visivi d’archivio.

La mostra si chiude con la sezione a cura di Theophilus Imani, ricercatore visivo italiano di origine ghanese, con la serie di dittici fotografici Echi e Accordi. Accostando, attraverso una sorta di sinestesia visiva, dettagli di dipinti antichi europei ad opere fotografiche contemporanee di autori neri, Imani ridona significato a immagini classiche del passato, problematizza lo stereotipo e rimette al centro le persone. 

L'esposizione vuole essere un primo passo di un percorso di ricerca su un tema complesso, dalle molteplici implicazioni sociali. Come scrive la Direttrice del Mudec Marina Pugliese, “dar voce alle ombre vuol dire iniziare a risarcire le mancanze e tendere verso una articolazione tanto complessa quanto necessaria sia negli studi storico artistici sia, più in generale, nella percezione collettiva delle immagini”. 

La mostra, a ingresso libero, rimarrà aperta al pubblico fino al 18 settembre. 

Il catalogo dell’esposizione è edito da Silvana Editoriale.

Nella foto la tela del Piccio, il catalogo della mostra, la pala del Genovesino e il palazzo Manara di via dei Tribunali


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