Lo Stradivari Stauffer ex Cristiani torna a respirare: concerto omaggio a Charles Beare e protagonisti i quattro violoncelli vincitori del Concorso Triennale di Liuteria
“Sei Solo”. Così scriveva Bach sul frontespizio delle Sonate e Partite per violino, poche laconiche parole adatte a descrivere l’atmosfera dell’Auditorium “Giovanni Arvedi” durante la seonda parte della serata: un’arena, un musicista, uno strumento. Ma lo strumento non era un violino, bensì lo Stradivari “Stauffer ex Cristiani” (1700), tornato a nuova vita grazie al restauro di Bruce Carlson sotto la supervisione di Riccardo Angeloni. «Il restauro è stato possibile grazie alle molteplici competenze della città», ha ricordato il conservatore. A condividere il palco con questa perla del patrimonio liutario quattro strumenti realizzati da Silvio Levaggi, Primo Pistoni, Francesco Toto e Alessandro Voltini, vincitori di precedenti edizioni del Concorso Internazionale Triennale di Liuteria “A. Stradivari”.
La serata, intitolata “Violoncelli per Charles Beare”, è stata insieme concerto ed omaggio. «È una sera speciale, dedicata a un amico della nostra città, a cui vogliamo offrire un omaggio di musica» ha dichiarato Virginia Villa, direttrice del Museo del Violino. Alessandro Tantardini, presidente della Fondazione Stauffer, ha ricordato la missione dell’istituzione: «La Fondazione ha tre obiettivi: la formazione tramite l’Accademia, la musicologia e la tradizione liutaria. Se oggi siamo qui lo dobbiamo al maestro Salvatore Accardo e a Paolo Salvelli, al quale dobbiamo l’acquisto degli strumenti».
Il sindaco Andrea Virgilio ha sottolineato l’importanza della figura di Beare: «Siamo qui per ricordare un riferimento internazionale che ha dato un contributo immenso con il suo metodo e il suo sguardo alla città. Beare era un osservatore attento, lungimirante e capace, definito dalla stampa il miglior commerciante al mondo. Persona generosa, rigorosa e misurata, attenta alle generazioni del futuro.»
Salvatore Accardo ha aggiunto: «Beare era più che un amico, parlare di lui è un’emozione. Ho molti ricordi della sua attenzione per i giovani musicisti, a cui elargiva consigli preziosi. È stata la fortuna della mia vita conoscerlo nel 1961, in un atelier con Sacconi e Zuckerman. Sono convinto che Beare, Sacconi e Mosconi siano qui con noi oggi spiritualmente».
Bruce Carlson, che ha seguito il restauro dello Stradivari, ha raccontato: «Vedere tante persone qui per Charles mi scalda il cuore. L’ho conosciuto nel 1974 a Londra: i suoi consigli erano appassionati e disinteressati. Poi mi chiese di essere il suo contatto nella famosa retrospettiva su Stradivari a Cremona. Charles ha trasmesso il suo entusiasmo per la liuteria, era contagioso nella sua voglia di comunicare e scoprire».
Infine Peter Beare, figlio maggiore, ha ricordato il padre: «Quando nel 1961 arrivò a Cremona rimase impressionato dai simboli della città, meravigliato dall’ambiente che aveva accolto Amati e Stradivari. Allora mancava consapevolezza della tradizione, ma conobbe Sgarabotto, Morassi e Bissolotti. Successivamente arrivarono strumenti preziosi grazie alla Stauffer e alle istituzioni. Mio padre era molto orgoglioso di aver contribuito a questo successo. Dopo la mostra dell’87 fu nominato cittadino onorario, cosa che lo rendeva profondamente fiero. Diceva di questa città: “Ogni Stradivari che tocco è storia, ma a Cremona ogni passo è storia”. Sarebbe stato felice di essere qui stasera.».
La prima parte della serata è stata affidata allo Stauffer Cello Quartet: Giada Moretti (Levaggi 2009), Davide Cellacchi (Pistoni 1985), Christiana Coppola (Voltini 1994) e Mattia Midrio (Toto 2006), quattro strumenti vincitori del Concorso Triennale di Liuteria. La loro esecuzione ha messo in luce prontezza, forte personalità e un timbro ricco, con un suono d’insieme compatto e luminoso.
Il Tema popolare macedone di Giovanni Sollima ha aperto la sequenza. «Ho ascoltato questo tema in Mongolia – racconta Sollima – e l’ho liberamente rielaborato per quattro violoncelli, senza mai volerlo possedere, ma lasciandolo vibrare come materia viva». Il quartetto ha restituito il brano con energia e coralità intensa.
Nei Due Movimenti per quattro violoncelli di Alexandre Tansman, l’Adagio cantabile ha evocato echi impressionisti alla Debussy, mentre l’Allegro molto risoluto ha mostrato un carattere più aspro, tra espressionismo e Bartók. L’ensemble ha saputo sottolineare con precisione e dinamismo i contrasti stilistici.
Il Feierliches Stück da Lohengrin di Wagner (adattamento Grützmacher) ha offerto lirismo e teatralità, quasi un coro vocale trascritto per archi, mentre la Danza rustica di Piatti ha chiuso con brillantezza, festosità e accenti quasi operistici.Un programma che nel complesso ha messo in luce la poliedricità del violoncello, anche attraverso scelte di repertorio inusuali.
La seconda parte ha visto protagonista Paolo Tedesco con lo Stradivari Stauffer ex Cristiani.
Ad aprire le danze la Suite n. 1 di Bach, composta a cavallo del 1720, poco distante quindi dalla costruzione dello Stradivari. Tedesco ha eseguito solo il Preludio, la Sarabanda e la Giga, trasformando ogni brano in un piccolo mondo da scoprire, un itinerario musicale a passo di danza: il preludio come richiamo all’attenzione, la Sarabanda come ballo placido e riflessivo, la Giga irriverente e brillante. Musica che costringe l’esecutore e l’ascoltatore a una dimensione di introspezione, dove la ricerca musicale si intreccia con quella umana.
A seguire, la Sonata Op. 28 di Ysaÿe, opera del 1924 e in un certo senso “sorella minore” delle sei sonate per violino Op. 27, un blocco unico in quattro movimenti: il Grave iniziale, lirico e polifonico, introduce l’Allegretto danzante, seguito da una cadenza intensa e tormentata, fino all’Allegro conclusivo, brillante e virtuoso.
Tedesco ha affrontato questa varietà di forme e stilemi con intelligenza e maturità, senza risultare mai scolastico, facendo respirare la cassa armonica di uno Stradivari profondo, reattivo e dal timbro cristallino. Il pubblico ha potuto apprezzare non solo l’abilità tecnica e interpretativa del musicista, ma anche la ricchezza e la versatilità dello strumento stesso.
Fotoservizio di Francesco Sessa
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