4 febbraio 2024

Chi si inginocchia davanti a Dio, resta in piedi in ogni circostanza!

Tra i tanti aspetti che affascinano dell’umanità di Gesù spicca la sua profonda libertà interiore. È un uomo libero che non si lascia condizionare dai giudizi, dai desideri, dalle richieste degli altri. E quando uno è libero è anche forte e quindi temibile; non per nulla scribi e farisei, fin da subito, lo scrutano con sospetto e paura: essi sanno di non poterlo influenzare, ammansire, ricattare.

Gesù non ambisce al successo, non cerca consensi, non vuole sedurre, non gli interessa legare a sé le persone attraverso i suoi prodigi potenti. Non fa i miracoli per suscitare l’adesione alla sua persona, ma al contrario, nella maggior parte dei casi, prima si assicura che il sofferente abbia almeno un barlume di fede e poi compie la guarigione tanto agognata. 

A Cristo basta Dio, il sostegno e l’approvazione del Padre tenacemente ricercati nella preghiera e così può guardare gli uomini negli occhi e dir loro la verità anche se è scomoda, anche se inchioda le ipocrisie di tanti, anche se produce risentimento e desiderio di rivalsa. “Chi si inginocchia davanti a Dio, riesce a stare in piedi in ogni circostanza” ha efficacemente affermato Chiara Amirante, fondatrice della Comunità “Nuovi Orizzonti”.

Nel Vangelo di questo prima domenica di febbraio, giornata nazionale per la Vita, Gesù mostra tre volte questa sua sovrana libertà. 

La prima è con la guarigione della suocera di Pietro allettata a causa della febbre. È il primo miracolo presentato dall’evangelista Marco: è fatto in un contesto dimesso – una casa di Cafarnao – verso una donna che al quel tempo - come tutte le donne - era considerata proprio poco. Eppure a lei è riservato il primo prodigio che non è fatto di gesti ieratici o parole altisonanti, ma di una prossimità piena di tenerezza e compassione: il Dio, che nell’Antico Testamento, non si poteva nemmeno contemplare in volto pena la morte, ora prende per mano una malata per sanarla. E non solo la guarisce, ma le permette di essere il primo modello di servizio – diaconia - a cui deve ispirarsi tutta la Chiesa. Gesù non ha timore nel mostrarsi dimesso e umile, nel scardinare certe consuetudini tipiche della cultura ebraica, nel farsi prossimo all’ultimo e all’impuro. Non temerà nemmeno di andare a mangiare con i pubblicani e le prostitute, con i più impuri della società!

Un secondo segno di libertà Gesù lo mostra alla sera, davanti alla porta della città, quando gli portano tutti gli infermi e gli indemoniati. È interessante che Marco racconti che ne guarì molti, ma non tutti! Chissà quanti di loro saranno tornati a casa delusi e amareggiati, carichi delle loro pene e sofferenze, non più entusiasti di questo Rabbì che magnificavano come grande guaritore e che invece si è rivelato un grande illusionista. In realtà quando Gesù guarisce non lo fa per aumentare il consesso e trascinarsi dietro le folle, ma per annunciare che il Regno di Dio - dove non c’è più malattia e peccato, lacrime e dolore - è stato definitivamente inaugurato e nessuno forza al mondo potrà arrestarlo. I miracoli sono dei segni, non sono delle soluzioni! A Cristo, poi, non interessa la guarigione dei suoi interlocutori, ma la loro salvezza. La salute, per il cristiano, non è il bene primario, perché si può anche essere sani e belli, ma avere il cuore chiuso e indurito e quindi essere vittime della più atroce malattia: il peccato!

Infine Gesù mostra la sua libertà dinanzi alle acclamazioni della folla: quando Pietro lo cerca mentre è in preghiera e dialogo con il Padre, egli impone di andare “altrove”, in altre terre e villaggi dove ancora non è conosciuto e dove può far risuonare la Parola. Avrebbe potuto godersi la riconoscenza e il plauso dei tanti che aveva sanato, bearsi del consenso di tutta Cafarnao e invece, come spesso annota Marco, egli fugge. Non vuole che la folla lo glorifichi per la sua potenza, ma che lo ami per la sua immolazione sulla croce, per la sua vulnerabile tenerezza, per il suo essere impotente per amore! Egli desidera che la gente lo contempli inchiodato al legno, grondante di misericordia, e non sul trono di gloria circondato da schiere di angeli. Nel primo caso, infatti, possono nascere discepoli liberi traboccanti di gratitudine e di ammirazione, nel secondo dei servi soggiogati dal terrore e della forza. Ma la fede, così come l’amore, presuppone la libertà e non il dominio, un gioioso abbandono e non la paura.

Questa libertà Gesù l’assapora nella preghiera, in questa intimità profonda con il Padre che lo inebria con la sua presenza e il suo amore. Gesù, a dispetto di noi che siamo fragili e dispersi, non ha bisogno di consensi e approvazioni per sentirsi qualcuno: gli è sufficiente sapere che Dio è con lui e che il servizio alla verità è l’unica cosa che appaga e che porta frutti che non marciscono.

La preghiera è l’unica grande forza che permette di intraprendere un cammino di libertà, quell’esodo continuo che impedisce di cadere nella trappola dell’egocentrismo, del giudizio altrui che condiziona e immobilizza, della ricerca affannosa della propria autoaffermazione. Chi prega non è mai solo!

Claudio Rasoli


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commenti


Miriam Gregori

4 febbraio 2024 16:00

Cogliere il concetto della profonda libertà interiore di Cristo mi ha sorpresa : senza questa riflessione mi sarebbe sicuramente sfuggito.
Il non cercare successo, consensi ecc. potrebbe sembrare scontato, ma così non è , anzi siamo in un secolo di mondanità con evidenti espressioni di vita, che vengono prese come modelli dai giovani e non solo, e vanno a soffocare il buono e positivo che per fortuna ancora c’è .
La riflessione di Chiara Amirante la dice lunga in questo secolo che guarda all’intelligenza artificiale e non si accorge come siano sfuggiti di mano valori morali ed educativi che non possono mai tramontare, perché in essi vi è l’essenza della vita.