Accogliamo il Fuoco che Gesù ci dona
Forse Luca si è sbagliato, forse Gesù queste parole non le ha mai dette, perché sono lontanissime dall’idea pacifica e pacifista che abita la nostra mente pensando al Figlio di Dio fatto uomo. Benché aspre e faticose da digerire, non dobbiamo liquidarle facilmente. Si tratta di parole coerenti con quanto Gesù ha vissuto, sono parole che invitano a liberarsi dalla mediocrità di un’adesione di fede superficiale ed esteriore, solo di facciata. Per essere discepoli di Gesù è necessario compiere delle scelte. La scorsa settimana nelle immagini dell’amministratore e dei servi i temi della scelta e della responsabilità erano già stati introdotti, ora diventano più concreti e drammatici. La fedeltà al Signore, nell’attesa del suo ritorno, non è a costo zero; richiede il coraggio persino di mettersi contro le persone della propria famiglia, poiché può succedere che chi ci è accanto non capisca il perché di scelte alle quali ci spinge l’insegnamento del Signore, alle quali ci conduce l’ascolto autentico del suo Vangelo.
Seguire il Signore comporta il rischio della solitudine, dell’incomprensione, persino della separazione dai propri cari. Il racconto di Luca non ci dice chi abbia ragione nella divisione. Lo scontro sembra generazionale: padre, madre e suocera rispettivamente contro figlio, figlia e nuora. Qualcuno vi legge l’opposizione di chi per accogliere la novità del Vangelo deve andare contro la tradizione dei padri, legata alla Legge; altri vi leggono la lotta tra una forma di novità che anziché custodire creativamente tradisce l’insegnamento del Signore perdendo l’autenticità della fede che da tutti, in ogni luogo e in ogni tempo viene creduta.
Gesù si limita a parlarci di divisione e a dirci che essa fa parte dell’annuncio del Vangelo, perché legata a doppio filo con la fatica del rinnovamento della vita.
Potremmo però dire che la prima divisione da mettere in conto non è quella dei rapporti familiari, ma quella interna al cuore dell’uomo, la divisione dentro se stessi, il combattimento con il desiderio buono di vivere come Gesù ci ha insegnato e la resistenza a farlo, come di fatto molti dei personaggi dei passi evangelici delle ultime domeniche ci hanno mostrato.
Gesù è venuto a portare la divisione che è decisione, che è scelta, per questo Egli che dona anche la pace mettendoci in guardia da facili irenismi. La promozione della pace da parte della Chiesa non è mai promozione di un pacifismo relativista, si tratta piuttosto della promozione di una pace che nasce dalla conversione. Se si vuole la pace non si deve preparare la guerra delle armi, come recita un antico adagio, occorre però prepararsi al combattimento interiore contro l’egoismo individuale o di gruppo. Solo così si può riconoscere e promuovere la pace autentica, la pace che difende i diritti di tutti, che sostiene l’esistenza di ogni persona, che condanna il male indipendentemente da chi lo compie. Nella pace promossa da Gesù e annunciata dalla Chiesa quando è coerente con il Vangelo, non ci sono vincitori, perché tutti sono sottoposti alla fatica della conversione, ma non ci sono nemmeno vinti, perché nessuno è umiliato nella propria dignità.
Una pace di questo tipo nasce solo attraverso il dono del Fuoco che Gesù è venuto a portare: un Fuoco che purifica, che riscalda, che distrugge e che rinnova. In occasione della Pentecoste del 2009, papa Benedetto XVI accostava il racconto dello Spirito che scende sugli apostoli come lingue di fuoco, al mito di Prometeo, e così diceva: “Il vero fuoco, lo Spirito Santo, è stato portato sulla terra da Cristo. Egli non lo ha strappato agli dèi, (…), ma si è fatto mediatore del ‘dono di Dio’ ottenendolo per noi con il più grande atto d’amore della storia: la sua morte in croce”.
È stato questo il “battesimo” in cui Gesù si è immerso per donarci la forza del Fuoco/ Spirito di cui abbiamo bisogno perché sia sempre nuova la nostra vita. Ed è sempre la misura della croce, il riferimento per capire se quello che stiamo vivendo è bene o è male, è promozione di vita per tutti o affermazione di sé contro gli altri.
Le parole di Gesù che oggi ascoltiamo sono realmente dure, ma ci servono per riconoscere che essere suoi discepoli significa toglierci da molte logiche in cui siamo immersi: di comodità, di normalità, di “non c’è niente di male”, così da restare immersi solo nella sua Pasqua. Essere cristiani significa non aver paura di andare controcorrente e scontrarsi con chi ci dice “ma perché fai questo?”, “chi te lo fa fare?”. Essere cristiani non significa voler essere soli contro tutti, significa non aver paura che questo possa accadere, non aver paura che molti possano non capirci e persino osteggiarci. Essere cristiani, significa mettere in conto di ripercorrere la sorte dei profeti, la sorte di Gesù, consapevoli che, inevitabilmente, non può non essere anche la sorte di chi si fa discepolo di questo Maestro.
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