80 anni fa si spense Hiroshima, la speranza in quell'albero senza foglie
Il 6 agosto 1945 è comparsa sulla terra un nuovo tipo di pianta. Madre Natura, in questo caso c’entra poco o niente, la pianta, che non fa parte di quelle scoperte in grado di diventare patrimonio del mondo vegetale, nasce solo dalla mano dell’uomo ma senza alcun desiderio di scoperta. Il fungo atomico che colpì la città di Hiroshima fu in grado di cancellare in pochi istanti la vita di migliaia di persone e di annullare, per anni, il ritorno alla vita così come era prima di quel drammatico 6 agosto. Esattamente 80 anni fa una città si spense, seguita il 9 agosto da Nagasaki, una città che smise di esistere lasciando solo pochi sopravvissuti, molti dei quali pagheranno le conseguenze di quel bombardamento negli anni a venire, e che vide bruciare praticamente qualsiasi cosa nel raggio di chilometri.
L’uomo aveva dimostrato la sua forza come una sorta di vendetta sulle persone e su ogni essere vivente, ignorando il fatto che è la natura a decidere i veri equilibri, come racconta quella pianta di eucalipto che, tutt’ora, continua a germogliare raccontando la sua storia grazie ad un cartello giallo. Più forti di un bombardamento atomico, infatti, furono anche alcuni alberi, che in giapponese vengono chiamati Hibakujumoku, in grado di superare il fungo atomico e tornare, con gli anni, a riproporsi come parti di quella vita che non conosce ostacoli, con il passare del tempo quegli alberi tornarono a proporre nuovi germogli dando continuità ad un percorso che non sembrava così scontato. Il termine Hibakujumoku identifica proprio quella specie di alberi sopravvissuti all’olocausto nucleare, tradotto dal giapponese significa “albero della speranza” ed ha un valore più che simbolico nei suoi germogli, ha quel valore in cui Madre Natura dimostra tutta la sua forza, e in questo caso benevolenza, riproponendosi dove l’uomo aveva portato distruzione totale.
Nel 1945 il più importante premio giornalistico del mondo, il premio Pulitzer, venne conferito ad una persona che, verosimilmente ma anche giustamente, pochi o nessuno conoscono; il giornalista statunitense John Hersey. Con il suo speciale dedicato alla città di Hiroshima post atomica racconta le storie dei sopravvissuti e descrive quel poco o nulla che rimane di una città e dei quei pochi alberi, bruciacchiati e immobili come statue, che la bomba atomica aveva messo alla prova cercando di distruggerli come tutto ciò che li circondava. Quelle poche piante hanno superato una prova tremenda, ma hanno dato una speranza, insieme alle parole di coloro che cercavano di tornare ad una esistenza tra macerie e radiazioni. Mentre tutto il mondo celebrava, tra fanfare e feste, la vittoria di una guerra devastante John Hersey raccontava di come l’uomo, a prescindere se vinto o vincitore, uscisse sconfitto da un bombardamento nucleare, raccontava di quanto fosse devastante e quasi impossibile, perché toglieva ogni speranza, il proseguimento della vita ad Hiroshima. Il 6 agosto 1945 il futuro si era trasformato in un qualcosa di diverso, di lontano e di sempre più doloroso da affrontare. Hersey aveva visto, e successivamente raccontato, sia Hiroshima che Cremona nel 1945, quei pochi sopravvissuti e quegli alberi senza foglie non rappresentavano solo la speranza ma erano, e lo sono ancora, un monito affinché l’uomo non dovesse più sentirsi vincitore davanti ad una sconfitta per tutto il genere umano.
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