6 luglio 2025

Tre verbi per annunciare il Vangelo

Nelle domeniche del Tempo detto “ordinario”, si leggono le pagine del Vangelo che parlano della vita e della predicazione di Gesù, dai suoi inizi fino ai racconti della passione e della risurrezione. Dopo le ultime tre domeniche in cui sono stati letti dei testi propri delle particolari ricorrenze celebrate, riprende dal capitolo 10 la lettura continua del Vangelo secondo Luca. Il racconto che si ascolta nella XIV domenica ci presenta l’invio in missione di settantadue discepoli, un testo che segue un precedente invio dei Dodici, narrato pochi versetti prima (9,1-6). I due testi, tra loro molto simili, inducono a pensare che Luca abbia voluto esprimere con la doppia missione, il doppio compito di annuncio della Chiesa: al popolo di Israele e a tutte le nazioni. A suggerire questo pensiero sono i numeri, dal momento che dodici sono le Tribù di Israele e settantadue sembra fosse il conteggio delle nazioni del mondo allora conosciute. In questo modo l’evangelista, come dirà esplicitamente negli Atti degli Apostoli, ricorda che il Vangelo è per tutti, nessuno escluso: per il giudeo e per il pagano, senza eccezioni, pur con le dovute differenze, dal momento che il pagano non solo non conosce Gesù, ma nemmeno il Dio che ha mandato Gesù, così che l’annuncio del Vangelo è verso di lui anche annuncio della storia di Dio con l’umanità. 

Nel contesto storico in cui siamo oggi, risuona con particolare significato questa pagina di Vangelo, poiché ricorda che la Chiesa è chiamata ad annunciare Gesù a chi già ha qualche nozione per conoscerlo senza mai dimenticare di “dire Gesù” anche a chi non lo ha ancora incontrato.

Leggendo questo testo mi hanno colpito i verbi imperativi con i quali il Signore comanda ai discepoli quello che dovranno fare: andate, non portate, restate, non passate, mangiate, guarite, uscite. 

In questo elenco mancano tre verbi che sono quelli sui quali vorrei condividere un pensiero.

Il primo imperativo che mi piace riprendere è il richiamo alla preghiera: “Pregate il signore della messe”. Il primo passo di ogni impegno di annuncio (in famiglia, in parrocchia, nel catechismo) è la preghiera. Gesù invita i suoi discepoli a pregare perché non manchino operai; chissà se questo è detto solo per una questione di numeri che devono essere più grandi, come spesso noi diciamo di fronte al calo delle vocazioni o al numero di sacerdoti attivi nelle parrocchie dei nostri paesi, o anche per chiedere un maggior aiuto per gli operai che già hanno risposto (e non penso solo ai preti), affinché sia adeguata all’abbondanza del raccolto la loro capacità di operare. Forse con un po’ di forzatura leggo questo invito a pregare come un richiamo a non dimenticare mai che nella vita delle nostre comunità prima di qualsiasi impegno, la testimonianza e l’annuncio sono il frutto di un dono che viene da Dio. Pregare significa disporsi ad accogliere il dono; non pregare significa autocondannarsi al fallimento. Senza preghiera non c’è missione: ieri come oggi; senza preghiera non c’è annuncio possibile, perché il frutto pronto per essere colto non viene riconosciuto, perché il mietitore esce con una falce non affilata, inadatta a tagliare lo stelo pronto per essere reciso e portato nel granaio. Non siamo molto abituati a considerare la preghiera come primo atto necessario per le attività che svolgiamo. Eppure, solo grazie alla preghiera riconosciamo ciò che è utile, ciò che è importante, ciò che non serve, e quindi può e deve essere abbandonato. Forse dovremmo maggiormente benedire e amare quei due importanti polmoni di preghiera che ha la diocesi di Cremona nei monasteri di Soresina e San Sigismondo, poiché è anche grazie alla loro azione orante nascosta e costante che portano frutto molte azioni che si vivono nelle nostre comunità. Accanto a queste due realtà particolari, non si può dimenticare la non meno importante preghiera nascosta e silenziosa di tanti uomini e donne che si rivolgono a Dio nel segreto delle loro case e delle loro vite. Pregando il padrone della messe, sono anch’essi, non meno di molti operatori diretti, a dare forza alla vita delle nostre comunità.

Accanto alla preghiera Gesù invita a “dire”: entrando in una casa con le parole deve essere annunciato il dono della pace; entrando in una città, sia che si venga accolti, sia che si venga respinti, è necessario dire che il regno è vicino. È bello ricordarci che l’offerta di bene che Dio offre in Gesù, non è condizionata all’accoglienza. L’offerta precede la risposta dell’uomo. Noi la possiamo accettare o rifiutare; la possiamo rendere efficace o infruttuosa, non azzerarla, perché Dio è prima e più grande dell’uomo e del suo rifiuto. Nel testo che oggi si legge è omessa la dura condanna contro le città in cui Gesù ha operato; resta solo il richiamo alla distruzione di Sodoma, uno dei racconti più tragici dell’Antico Testamento, tuttavia imparagonabile al dramma del rifiuto del Vangelo.

Può forse stridere il contrasto tra la generosità dell’offerta del Regno e la durezza della condanna per chi lo rifiuta. Non dimentichiamoci il senso di annuncio che percorre tutto il testo. Non è questo un trattato sul peccato e la misericordia, cuore del testo è ricordarci l’importanza di accogliere il dono di Dio, senza esitazioni, senza tentennamenti. “Gesù non chiama mai una volta sola”, ci ha detto recentemente Papa Leone (Angelus del 29 giugno 2025), ma questo non ci autorizza a rimandare il suo ascolto: per paura, per pigrizia, per superficialità.

L’ultimo verbo che Gesù pronuncia è un dono che viene dall’alto: rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli. Non hanno bisogno di commenti queste parole.  Se è bello, in un pranzo di nozze, vedere il nostro nome scritto per il posto che ci è stato assegnato, così che sappiamo che gli sposi hanno pensato a noi, collocandoci vicino a chi può condividere con noi una bella giornata, magari anche con l’ironia del nome del tavolo a cui ci fanno sedere, imparagonabile è la gioia di sapere che il nostro nome è scritto nell’elenco degli invitati a mangiare il pane del Signore nel banchetto del cielo. 

Francesco Cortellini


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commenti


Francesco Capodieci

6 luglio 2025 15:29

Nel Vangelo secondo Luca di questa domenica Gesù afferma. "La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perchè mandi operai nella sua messe!". Una frase di grande attualità, visto il continuo calo di sacerdoti in Italia e in tutto l'Occidente. Nella Diocesi di Cremona, a esempio, nel 2025 non è prevista alcuna ordinazione sacerdotale, com'era già accaduto nel 2018 e nel 2020. Ogni anno almeno 7-8 preti vengono purtroppo a mancare, sicchè il numero complessivo dei sacerdoti diocesani cremonesi risulta in progressivo calo: oggi sono poco più di 260, un centinaio in meno rispetto a una trentina di anni fa. Senza dimenticare che quasi un terzo dei nostri sacerdoti diocesani ha ormai superato i 75 anni, età in cui i presbiteri devono presentare le loro dimissioni dalla guida di una parrocchia o da altri incarichi pastorali. Penso che questi dati debbano rappresentare un serio motivo di preoccupazione non solo per i cattolici praticanti, ma anche per tutti coloro che - laici e non credenti - guardano comunque con favore a una significativa presenza territoriale della Chiesa, portatrice di valori universali e impegnata costantemente al servizio dei più deboli.