8 aprile 2021

Giovanni Lamo, l'agricoltore che inventò la polenta

"Questo grano è molto migliore et più nutritivo che non è il miglio, et rende più farina che non fa il formento. Et è buono e saporoso pane, o semplice, o misturato, et composto con formento fa perfetto biscotto, fa bonissima polenta, et infine si gode in qualunque modo si voglia”.

E’ il 1556 quando il nobile cremonese Giovanni Lamo in una lettera al Granduca di Toscana, offrendogli una partita di semi di mais perchè potesse iniziarne la coltivazione nei territori medicei, parla per la prima volta della possibilità di realizzare la polenta e dimostra come il nostro cereale fosse più diffuso nelle nostre zone di quanto possano documentare le testimonianze storiche.

Lamo è in assoluto il primo che consiglia di utilizzare il mais per fare la polenta, sfatando un luogo comune. Nell’Italia del primo ‘500 il mais era conosciuto tra i letterati e botanici, soltanto però come specie coltivata negli orti o nei giardini di facoltosi interessati a specie esotiche.

Prima prova della coltivazione del mais in Italia a scopo alimentare ci viene data da Giambattista Ramusio, in una pubblicazione risalente al 1554, dove descrive il recente tentativo sperimentale della coltivazione di mais, precisamente di due varietà, una a pigmentazione bianca e una a pigmentazione rossa, nel Polesine di Rovigo e a Villabona (attualmente Villa d’Adige), Verona, Veneto.

“La mirabile et famosa semenza detta mahiz ne l’Indie occidentali, della quale si nutrisce metà del mondo, i Portoghesi la chiamano miglio zaburro, del qual n’è venuto già in Italia di colore bianco et rosso, et sopra il Polesene de Rhoigo et Villa bona seminano i campi intieri de ambedue i colori”.

Lungo le terre bagnate dal Po il mais venne introdotto semplicemente come sostituto del sorgo, a cui somigliava sia per la forma degli steli, che per la predilezione per i luoghi umidi, per i tempi e le tecniche di semina, sarchiatura e raccolta.

Ed accanto al sorgo, il miglio, che però, insieme al precedente era ritenuto dai proprietari una coltura che impoveriva il terreno e quindi da tenere sotto controllo. Miglio e sorgo erano generalmente utilizzati per l’alimentazione del bestiame da cortile, maiali e colombi, tuttavia in tempi di carestia non è raro che sia sorgo che miglio venissero impiegati anche nell’alimentazione umana.

Il bolognese Pier Crescenzi, che scrive nel 1564, conferma che il sorgo era adatto per l’alimentazione di porci, buoi e cavalli, ma anche per gli uomini in particolari necessità. Se il pane ottenuto macinando questi due cereali era ritenuto quanto di più miserabile esistesse per l’alimentazione umana, non così era per le polente, o meglio polentazze, come erano chiamate. Ed anche questo fu un elemento che favorì la sostituzione alimentare del mais al miglio.

L’uso delle farine di granoturco per fare polenta rappresentava per le popolazioni contadine l’impiego più pratico e conveniente, oltre che il più indicato, e così, come nei campi, il mais finì per sostituire il miglio come ingrediente base per la polenta, cibo, come vedremo, antichissimo per le popolazioni europee.

La polenta di miglio e di altri cereali, fino all’arrivo del mais, era cibo comune e quotidiano soprattutto fra pastori, mandriani, taglialegna e carbonai, categorie di lavoratori molto misere ma soprattutto caratterizzate dal fatto di risiedere in ricoveri precari, che cambiavano in continuazione e dunque non adatti all’attività di panificazione.

La polenta, dunque, era innanzi tutto un sistema molto semplice e rapido di preparazione dei cereali per l’alimentazione.

Nel XVI secolo, secondo quanto afferma l’agronomo padovano Giorgio Dalla Torre, i contadini padovani avevano ormai abbandonato la tradizionale polenta di miglio a favore di un’altra polenta di mais “quae laevissimo labore et brevi tempore confecta”.

In secondo luogo bisogna anche ricordare che il mais, così come il miglio e il sorgo, fornisce un pane di cattiva qualità e tutti i tentativi fatti dalle amministrazioni annonarie per impiegare il mais per la fabbricazione del pane per la popolazione più misera avevano dati scarsi risultati, essendo la farina di mais molto incoerente, tanto che occorreva aggiungere all’impasto farina di frumento o di segale.

Come tutti sanno l’introduzione del mais in Europa è dovuta a Cristoforo Colombo. Fin dai suoi primi viaggi esplorativi, esattamente sull’isola di Cuba il 6 novembre 1492, Colombo conobbe il mais chiamato dagli indigeni dell’isola “Mahiz” e ne riconobbe subito il ruolo primario nella coltura locale. Al suo rientro in Spagna, nel 1493, Colombo portò con sé oltre a beni preziosi (oro, ambra, ecc.) il mais, come riportato nello scritto Vita di Cristoforo Colombo attribuibile a Ferdinando suo figlio. La nuova specie attirò da subito l’attenzione in Castiglia, dove si tentò la sua coltivazione, ma probabilmente le prime coltivazioni non ebbero grande successo, non riuscendo a portare a termine il ciclo di maturazione della spiga e quindi della granella. Questo fatto probabilmente fu dovuto all’origine dei campioni di mais giunti nel vecchio mondo, provenienti da isole tropicali, dove la specie è ben adattata a fotoperiodi lunghi, al contrario dell’areale Iberico e più in generale quello europeo caratterizzato da fotoperiodo più breve, nei quali il ciclo biologico del mais o di altre specie importate non poteva essere completato. L’impossibilità di portare a termine il ciclo biologico rallenterà l’utilizzo agrario del mais in Europa, ma non la sua scoperta: di fatto compare già negli anni successivi in Portogallo sotto il regno di Re Giovanni II (1481-1495), e si suppone che fosse stato proprio lo stesso Colombo a farlo conoscere ai Portoghesi.

Al mais, come conferma anche il Lamo, è legata la polenta. Ed è ancora un cremonese, Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, che ne parla nel 1480, trascrivendo in latino tutte le ricette, originariamente scritte in lingua volgare, di maestro Martino, il più celebre cuoco della fine del Medioevo.

Il Platina ribattezza con il termine “polenta” “sive ut vulgo miliacium” un migliaccio, volendo indicare sia un cereale sfarinato, sia la pappa che con lo stesso cereale si preparava con procedure diverse da quelle indicate per i migliacci.

 

Fabrizio Loffi


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