11 dicembre 2025

Il primo lavoro, da bambino, in un cinema di Crema. L’esperienza col Teatro Zero e il lancio di Checco Zalone. Pietro Valsecchi è un personaggio incredibile

Pietro Valsecchi è uno dei più importanti produttori italiani. Naso per gli affari, diretto, impulsivo, attento agli ultimi. Sarà che è come loro: è venuto a Roma con 500 mila lire in tasca. È nato a Crema nel 1953, ed è stato lui, grazie a suo figlio, ad aver lanciato Checco Zalone. Ma prima ci sono tanti incontri. Vuole cominciare da suo nonno. Così, il Corriere della Sera, descrive, introducendo la sua bella intervista, il cremasco Valsecchi, personaggio incredibile. Eccone alcuni passaggi significativi:

Mio nonno si chiamava Pietro, come me. Aveva frequentato il seminario insieme con il futuro Papa Roncalli. Aderì al fascismo e fu vicesindaco a Pognano, nel Bergamasco. Scriveva bene e aiutava gli abitanti del paese, in molti erano analfabeti, a redigere lettere. Era lui a correggere, per conto del sindaco, le lettere indirizzate a Mussolini. Possedeva delle terre, voleva che i suoi figli diventassero agricoltori. Ma a causa di acquisti poco prudenti, finì per perdere le proprietà ed emigrò a Lourdes perché mia nonna era molto cattolica”.

E i suoi genitori?

Mio padre aveva nove fratelli, tre morti in guerra, lui deportato a Mauthausen. Si salvò cucinando. Mi ha trasmesso l’amore per la cucina. Quando finì la guerra tornò come tanti a piedi. Mia madre invece la persi quando avevo appena 9 anni. Da lì iniziò la mia elaborazione del lutto, la ricerca di un rifugio. Quel rifugio lo trovai nel cinema”.

Quando?

Da bambino. Il cinema fu la mia scuola di vita. Mi infilavo in sala e vedevo tre film di fila. Si girava col cappotto consumato e si stava in coda davanti alla cassa, pigiati l’uno contro l’altro, il primo che spingeva entrava per primo. Io ero sempre davanti a tutti”.

Sembra una scena di Nuovo Cinema Paradiso.

L’esercente era un tipo basso, pelato, i baffetti sottili. Mi fissò e mi disse in dialetto: Ue ti, te va de entra’ gratis? Annuii di slancio. Allora vieni qui e dammi una mano a tenere a bada questi. Da spettatore, divenni parte di quel mondo”.

Una specie di luna park.

Stavo dietro la cassa, controllavo i biglietti, salivo in cabina di proiezione, sentivo il rumore della pellicola che scorreva, respiravo l’odore caldo del proiettore. La sera tornavo a casa col cuore pieno di storie. Ma allo stesso tempo stavo scoprendo il teatro di Strehler”.

Come cominciò la sua breve avventura d’attore?

Il Teatro Zero era gestito da intellettuali e si esibiva in fabbriche occupate. Erano i politicizzati anni 70, i soldi che guadagnavamo andavano al movimento studentesco o al collettivo di Crema, la mia città. Poi entrai in una piccola compagnia di Reggio Emilia”. 

Come conobbe Checco Zalone?

La comicità di Zelig non faceva proprio per me. Un giorno mio figlio Filippo, che aveva 12 anni, mi disse: ‘Papà, guarda questo comico, mi fa morire dal ridere, si chiama Zalone’. ‘Sì sì, lo guarderò’. Non gli diedi molto peso. Tempo dopo lo rividi in tv e mi sorprese. L’ironia tagliente, il cinismo, l’irriverenza. Un comico fuori dagli schemi. Mi metto a cercare chi è e quello che aveva fatto. Trovo il suo numero di casa. Lo chiamo una mattina presto. Ciao, sono... E lui, fingendo di conoscermi, come stai? Mi raggiungono, dalla Puglia a Cortina, lui e Gennaro Nunziante, il suo amico e regista. Loro portarono la mozzarella, io li accolsi col tartufo».

A tavola si fanno gli affari.

«E a cena nacque l’idea di Cado dalle nubi. Un ragazzo che parte dal Sud per conquistare Milano e diventare il più grande cantante. All’interno di Medusa, la società di cinema di Berlusconi che in quel periodo era mia al 50 per cento, non tutti erano d’accordo all’idea di fare un film su Zalone. Ho fatto un film contro tutto e tutti. Incassò 18 milioni. Poi le cose si complicarono. Tutti volevano rubarmi Zalone. Abbiamo fatto cinque film insieme. Gli abbiamo trasmesso l’amore per l’arte e per il collezionismo, e affinato il gusto per il vino. Abbiamo condiviso serate di musica, risate e leggerezza: momenti preziosi che porterò con me. Fino a quando qualcosa si ruppe».

 

Stefano Mauri


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