11 novembre 1951, settant'anni fa la grande piena del Po. La cronaca di quei giorni, la processione con il Santo. La solidarietà
“C'era la gente del mio paese sull'argine, ferma, con delle facce trepide, infantili anche quelle senili. E da lontano veniva un rombo: l'onda di piena arrivava e avrebbe rotto in qualche parte...”(Cesare Zavattini)
“Il fiume in piena è così rovinoso che ti costringe a distorgliene gli occhi. Quando esce dalle rive e investe i boschi, il suo ululo è vasto ed ossessivo. Grida lontane, anche non disperate, stringono sempre il cuore. Animali atterriti muggiscono come per invocare aiuto.” (Gianni Brera)
Così due grandi uomini del fiume (uno del reggiano, l'altro del pavese) raccontano il terrore della piena. “El Po l'è traditùur” dicono dalle nostre parti. Ma tradisce più il fiume o l'uomo che lo saccheggia? Domande che restano senza risposta da settant'anni, da quando arrivò la terribile ondata di piena tra l'11 e il 12 novembre 1951.
Ma cosa è successo settant'anni fa? Le fotografie di Ezio Quiresi raccontano bene cos'è stato quel disastro. Noi cerchiamo di farne una cronaca stringata.
10 Novembre 1951: da un po' di giorni sulla pianura padana piove con insistenza. Il livello del fiume comincia a salire (4,55 metri sopra lo zero). Le acque del Po iniziano ad uscire in golena.
“La pioggia era spesso accompagnata da vento che spirava in senso contrario alla corrente del Po. Mi recai all'estremità di via del Sale, dai Livrini, e trovai l'acqua che stava dilagando sulla strada alzaia. I Livrini, abili barcaioli e pescatori, stavano armeggiando con mobili e suppellettili nella loro rustica abitazione. Le Colonie Padane e, più a nord, le Canottieri “Baldesio” e “Bissolati” erano minacciate. Se si fosse fermata a quel livello la piena poteva ancora considerarsi “ordinaria”; il guaio è che continuava a piovere. Le precipitazioni non accennavano ad arrestarsi. Il cielo era scuro e sempre pesante di pioggia. E fu vento e acqua per diversi giorni”. Il racconto è di uno straordinario testimone oculare, Franco Dolci allora corrispondente de l'Unità e poi presidente della Provincia. Piove ancora. Le acque invadono le campagne a Spinadesco, a Crotta, a valle della città. Viene ordinato lo sgombero di tutta la golena da Spinadesco fin giù a Casalmaggiore. Il Po questa volta fa davvero paura.
11 Novembre 1951: E' ancora Franco Dolci a raccontare con piglio di cronista: “In bicicletta mi precipitai a Stagno Lombardo e, come facevo spesso da ragazzo, puntai su Porto Polesine. Appena al di là della cascina Casotti dovetti fermarmi sulla sommità dell'argine golenale. Il “baracchino” gestito dalla famiglia Simonetta era già invaso dall'acqua; la cascina “Tettoia” del dottor Franco Galli stava sgomberando. Cariaggi, animali, famiglie di contadini, portandosi appresso il poco salvabile, si dirigevano verso Stagno Lombardo. Cariaggi e bestiame si muovevano lenti e dolenti. Sembravano carichi di presagi funesti. Terribile il muggito dei bovini: sembrava l'annuncio tragico di una catastrofe imminente. Frequentatore del Po, non l'avevo mai visto minaccioso e terribile”.
12 Novembre 1951. L'idrometro a Cremona segna che il Po cresce ancora. È a 5,45. Giuseppe Ghisani, indimenticato giornalista della Provincia, nel suo libro “Campane sull'acqua” scrive: “Alle 19 l'argine Coronnella nella larga curva di Brancere, presso Stagno, cede: 300 ettari di terreno sono sommersi nel giro di pochi minuti. Si interviene subito: la vasta voragine viene tamponata con 400 sacchi di sabbia che la colmano, impedendo così l'allagamento di 12mila ettari di terreno”. Ma l'acqua avanza ancora. “Dopo l'argine della cascina “Casotti” vengono sfondati quello della “Vigna” (della tenuta Dalla Zoppa) e quello della “Mòorta”(dal nome della csina di proprietà Soldi sita in territorio di San Daniele Po). Con la rottura di quest'ultimo – scrive ancora Franco Dolci – l'acqua risale con violenza verso Nord dirigendosi verso la trattoria “La pioppa”. Di fronte alla trattoria, un potente “fontanazzo” preannuncia drammaticamente l'arrivo della piena”.
Le acque crescono ancora e la gente trova rifugio sull'argine maestro su cui stanno premendo le acque. Le famiglie contadine con le loro povere cose vengono ricoverate nelle scuole di Stagno. Scrive ancora Dolci.
“La campana della chiesa di Stagno Lombardo ha suonato a martello. E' il tocco grave dei momenti di emergenza. Gli uomini sono tutti sull'argine, lo tengono sotto controllo. Vigilano anche contro possibili rotture dolose provenienti dall'opposta sponda parmigiana. Intanto assistono e sistemano i fuggiaschi...Don Vittorio Cominetti, parroco di Stagno, era sull'argine, uomo fra gli uomini, anche la sua presenza e la sua opera erano motivo di conforto...Gruppi di uomini armati di pale e badili erano disseminati un po' ovunque, come sentinelle in allerta, pronte ad intervenire... La gente fuggita dalle acque era sistemata nelle case di amici, nelle scuole, in canonica”.
13 Novembre 1951. Un fontanazzo si apre in piena notte nell'argine di Spinadesco. “Al lume delle fiaccole di resina e delle fotoelettriche del Comando militare, guidate dagli addetti dell'Ufficio tecnico del Comune e del Genio Civile di Cremona, squadre di uomini lavorano senza sosta nell'opera di tamponamento di una grande coronella (una specie di diga, ndr). Appena il primo fontanazzo cessa di zampillare, ecco sorgerne altri due poco distanti: uno all'interno della coronella stessa, l'altro all'esterno, cosicchè un lago di otto chilometri, profondo anche venti metri, si stende dall'argine di Cavatigozzi a quello piacentino”. Così racconta ancora Giuseppe Ghisani la notte del Santo patrono di Cremona nel suo libro “Campane sull'acqua”. Il lavoro di contenimento dà buoni frutti. Se l'argine avesse ceduto le acque avrebbero riempito il Morbasco e poi tutta la città.
“Seguendo l'argine maestro raggiunsi Cà de'Gatti (frazione di Pieve d'Olmi) osservando quella realtà trasfigurata dagli elemeni scatenati dalla natura. Anche a Cà de' Gatti trovai grande animazione. - racconta ancora Dolci - La ventina di famiglie che vi abitavano erano in allarme. L'acqua era là, a pochi metri, appoggiata sonnacchiosa e pesante, alla sponda esterna dell'argine maestro. Il “budrio” appena giù dall'argine dove da ragazzo vi facevo il bagno, era scomparso inghiottito dal grande lago artificiale creato dal Po in piena. Le cascine tutte sott'acqua.”
Gravi danni a San Daniele Po con il grande lago che imprigionava tutta la golena. In prima linea, come sempre Sommo con Porto, la frazione che il modesto argine non difende dal fiume. I danni sono enormi. Adesso si ha paura per Casalmaggiore. Si teme la rottura dell'argine e l'invasione dell'acqua in tutto l'abitato. Ha ceduto l'argine golenale di Agoiolo. Il sindaco di Casalmaggiore, Mario Carlo Volta, chiama uomini e donne al lavoro sull'argine. Le campane del Duomo di Santo Stefano suonano a martello. Si confezionano e posizionano migliaia di sacchi di sabbia. Arrivano tutti gli operai delle fornaci, dello zuccherificio, del “Placcato oro”. A destra il Taro e l'Enza scaricano acqua aggravando il peso su Casalmaggiore. Il gran lavoro di tanti uomini e 250 militari arrivati dalla Col di Lana di Cremona a Casalmaggiore per oltre 30 ore continuate riesce a contrastare la piena che rende però inagibile la ferrovia per Parma. Poi la buona notizia da Cremona, il Po inizia a defluire.
14 Novembre. Il Po cala, il prefetto Manlio Binna chiede a tutti di aiutare le tremila persone danneggiate dall'alluvione rimaste senza nulla. I cremonesi si danno da fare, al Ponchielli si programma una serata di beneficienza per gli alluvionati con la corale diretta da Ottorino Vertova e con il baritono Protti. La solidarietà è tangibile anche con una raccolta fondi del quotidiano locale. Alle 14,30 un nuovo allarme raggiunge Casalmaggiore. Ha ceduto per una quarantina di metri l'argine di Mezzano Rondani (Parma)per fortuna senza conseguenze sulla sponda cremonese.
Poi il Po, pur tra notizie contradditorie e voci che si inseguono di nuove precipitazioni, sembra davvero dare tregua.
Il 25 novembre partendo dalla Cattedrale si portano in processione il crocifisso della chiesa di Sant'Omobono e l'urna del Santo Patrono dal duomo fino alle sponde del fiume. Partecipa tutta Cremona a ringraziare per lo scampato pericolo. Intanto arrivano decine di profughi dal Polesine. Vengono ospitati all'ospizio Soldi.
Nelle fotografie di Ezio Quiresi 1)La folla di curiosi sul fiume, 2) l'acqua in cascina a Spinadesco, 3) sull'argine a Spinadesco, 4) La Canottieri Bissolati, 5)La copertina della Domenica del Corriere e il Dopolavoro Ferrovieri, 6) La vista dal terrazzo della Baldesio, 7) la Società Canottieri Bissolati, 8) Presso l'argine di Spinadesco, 9)Mandrie sull'argine a Spinadesco
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commenti
Tony
14 novembre 2024 19:24
Quando ci si aiutava e c'era maggiore solidarietà. Aldilà dell' encomiabile impegno dell' esercito solo questo ha salvato la provincia di Cremona da altri e più importanti danni derivati dalla piena del grande fiume.