20 aprile 2021

26 aprile 1986, 35 anni fa esplodeva la centrale di Chernobyl. Quando la "nube" arrivò su Cremona, le paure e i segni dello Iodio 131

Trentacinque anni fa, il 26 aprile all'1,23 scoppiò il reattore della centrale nucleare di Chernobyl. Fu il disastro atomico più grave della storia . Una nuvola di materiale radioattivo che fuoriuscì dal reattore, ricadde su vaste aree intorno alla centrale, contaminandole e rendendo necessaria l’evacuazione e il reinsediamento in altre zone di circa 336.000 persone. Nubi radioattive raggiunsero anche l‘Europa orientale, la Finlandia e la Scandinavia, toccando anche l’Italia, la Francia, la Germania, la Svizzera, l’Austria e i Balcani, fino a porzioni della costa orientale del Nord America. L’emissione di vapore radioattivo cessò sabato 10 maggio 1986.

Ecco cosa accadde in quei giorni a Cremona.

Quella mattina di giovedì 1 maggio gli occhi di tutti erano puntati al cielo, come se la grande nube radioattiva annunciata in arrivo dai paesi scandinavi, dovesse davvero materializzarsi all'orizzonte. I valori rilevati dalle stazioni di controllo avevano confermato un leggero aumento della radioattività naturale intorno alle 1,8 rispetto invece alle 6-8 volte rilevate dalle stazioni scandinave. Intanto ad alimentare la paura ci si era messa anche la centrale di Caorso, che il giorno precedente si era fermata una dozzina di ore per, avevano detto i tecnici, “un intempestivo intervento dei controlli automatici che misurano la pressione del reattore”, in buona sostanza il sistema di sicurezza era scattato, fortunatamente “a vuoto”. Il servizio di radioprotezione del presidio multizonale di igiene e prevenzione, diretto allora dal professor Canuti confermava che i valori rilevati dalle sei centraline dislocate intorno alla centrale erano decisamente al di sotto della soglia minima di pericolo. Il sistema si basava su aspiratori, che funzionavano ininterrottamente giorno e notte, dosimetri e camere di ionizzazione per misurare l'intensità di esposizione in aria, contenitori per la valutazione del “fall out”, cioè della ricaduta radioattiva, rilevatori di raggi alfa, beta e betagamma. 

Ad ogni buon conto il 28 aprile, due giorni dopo lo scoppio, era stata effettuata una prova simulata del piano di emergenza esterna di Caorso, portando ad analizzare un filtro contenente la polvere rilasciata da cento litri di aria aspirata in una località vicino a Castelnuovo Bocca d'Adda, per verificare la concentrazione di cesio 137, risultante peraltro circa 800 volte inferiori alla soglia di allarme. In allarme, viceversa, erano quelle 26 famiglie cremonesi in attesa di notizie di una comitiva turistica guidata da Palmiro Donelli, che proprio in quei giorni era a Leningrado. Verdi, radicali e antinucleari annunciavano un sit in di protesta davanti alla galleria XX Aprile per il sabato successivo per chiedere la chiusura della centrale di Caorso. 

Il quotidiano locale dava le indicazioni da seguire in caso di allarme nucleare: “Rientrare in casa, chiudere accuratamente le porte, finestre e vie d'aerazione, restare nelle camere più interne e, se possibile, nei piani più bassi e nelle cantine. Inoltre si raccomanda di mettersi in ascolto di radio e televisione (applicando le raccomandazioni fornite dalle autorità senza dare ascolto a notizie non ufficiali provenienti da fonti non autorizzate); non cogliere frutta e verdura nell'orto. Si possono consumare invece senza alcun rischio l'acqua dei rubinetti e tutti gli alimenti conservati all'interno del domicilio. E' bene inoltre evitare di telefonare, al fine di non congestionare la rete telefonica, limitando l'uso del telefono solo ai casi di effettiva urgenza. Tra i consigli agli agricoltori: portare al riparo in locali chiusi animali da pascolo e da cortile; evitare di abbeverarli e nutrirli con acqua o foraggio che siano stati esposti all’aperto dopo l'allarme. Comunque l'importante è restare in casa con le finestre «chiuse»: la dose di radiazioni assorbita diminuisce di 10 volte rispetto all'esterno; e fino a 100 volte per chi si ripara in cantina”.

Qualche preoccupazione iniziò a manifestarsi il giorno dopo quando i livelli di radioattività iniziarono ad aumentare. Ci si rese conto che il quadro stava rapidamente cambiando, nonostante le rassicurazioni tranquillizzanti fornite dal ministro della protezione civile Zambelletti in televisione la sera di giovedì. Non ci si era fidati dei rilevamenti effettuati dalle capannine dell'Enel intorno alla centrale di Caorso, ritenuti sottostimati e per due giorni un gruppo formato dal direttore amministrativo dell'Usl Majori, dal presidente Carnesella, il direttore sanitario Reggio, il responsabile del servizio di radioprotezione Canuti, il veterinario Landi e il consigliere Manes, aveva monitorato i dati sulla presenza di iodio 131 nell'aria, misurati con filtri a carbone attivo, osservando come dal valore 0 del 29 aprile si fosse balzati a 243 picocurie la sera del giovedì. Lo iodio era già presente in concentrazioni preoccupanti anche nel latte e nei foraggi. 

Per avere un'idea della concentrazione – osservava il cronista de “La Provincia” - diremo soltanto che nel 1980, in occasione dell'esplosione di una centrale nucleare in Cina (da cui poi era stato tratto il fim: La sindrome cinese) il livello di iodio 131 nel latte variava da 0,2 ad un massimo di 2 picocurie. Adesso, dunque, è 2000 volte di più. Dove inizia la rilevanza sanitaria del fenomeno? E' una domanda che i massimi responsabili dell'Usl 51 si sono posti ma alla quale non hanno saputo (né nessuno è in grado di farlo) dare una risposta precisa. Non esiste neppure una indicazione comune per tutte le Usl”. Il primo comunicato ufficiale dell’Usl venne diramato la sera di venerdì 2 maggio. Dopo aver sottolineato il livello di attenzione che veniva riservato alla vicenda, l'Usl osservava che “i dati rilevati hanno confermato anche nella zona cremonese l'aumento della radioattività ambientale segnalato attraverso i mezzi di informazione in misura che ha indotto il ministero della Protezione civile a diffondere consigli di natura cautelativa”. 

L'invito rivolto alla popolazione era di “lavare accuratamente verdura e frutta; non fare comunque uso di acqua piovana e di superficie per le persone come per gli animali; non alimentare gli animali con foraggio fresco per almeno 15 giorni, al fine di non avviare la dannosa catena foraggio-animale-alle e derivati-uomo. A questo fine si invitano anche le organizzazioni agricole a sensibilizzare i propri associati. Si sconsiglia infine la somministrazione di latte fresco ai bambini ed alle donne in gravidanza, con riserva di precisazioni sull'età dei bambini e sul periodo sconsigliato”. Nel frattempo il ministro Degan aveva vietato la somministrazione per 15 giorni di verdure fresche a foglia.

Sabato 3 maggio la situazione si avvia alla normalizzazione: lo iodio 131 ridiscende a 94 picocurie a metro cubo, mentre i valori della radioattività ambientale si riportano a 3.4 volte quello che è considerato il “fondo naturale”, cioè 30-40 micro Rem all'ora contro i normali 10. Il picco, raggiunto alle 19,30 del giovedì precedente aveva segnato l'impercettibile passaggio della nube di Chernobyl. A far diminuire i livelli di radioattività nell'aria il temporale che si era abbattuto sulla città alle 17 del giorno prima ed i venti che dirottato la nube verso la Francia. Anche se i pareri in proposito erano discordanti: c'era chi sosteneva che la pioggia aveva lavato l'atmosfera e ripulito l'erba, le foglie ed il foraggio, e chi invece sosteneva che la pioggia avesse si “catturato” le particelle radioattive in sospensione nell'atmosfera, ma le avesse fatte penetrare nel terreno da cui sarebbero state successivamente assunte dai prodotti agricoli. Insomma, confusione totale, con i supermercati ed i negozi di ortofrutta che tempestavano di telefonate l'ufficio del professor Canuti: ai fruttivendoli che chiedevano cosa fare della verdura invenduta veniva risposto di buttar via tutto. Latte fresco vietato, soprattutto ai bambini e quello a lunga conservazione ammesso solo se confezionato prima del 2 maggio. 

Il servizio di Radioprotezione aveva analizzato alcuni campioni provenienti dalla Latteria Soresinese, dalla Centrale del Latte e da una stalla cremonese. Erano stati registrati valori di 2196 picocurie per litro di iodio 131 su un campione della Soresinese e di 5552 su un altro; per la Centrale del latte si arrivava a 974 picocurie e per la stalla a 3864 per litro. Valori molto altri, ma ancora lontani da quello che è considerato il livello di riferimento per i bambini, di 160.000 picocurie. Erano aumentati invece i valori nel foraggio fresco, che permanevano alti, nonostante fossero ancora 22 volte meno rispetto alla soglia. Tuttavia la psicosi della contaminazione non si affievoliva, anche perchè le rassicurazioni sull'emergenza del momento erano controbilanciate dalle valutazioni sui pericoli futuri. Ad esempio il professor Canuti dichiarava in un'intervista: “La situazione sta avviandosi alla normalità e registriamo continue diminuzioni dei valori ambientali delle radiazioni. Gli attuali livelli sono comunque importanti, scientificamente, sotto il profilo teratogeno (con possibilità di insorgere di tumori, ma questo più avanti nel tempo e non certamente per tutte le persone esposte) e sotto quello mutageno (cioè per le generazioni a venire)”. Vi era allora chi candidamente confidava al giornale le proprie preoccupazioni: “C'è qualcosa di strano nell'aria, ho troppo caldo. Non mi sembra un fatto naturale”. Oppure: “Ci vendono il vino al metanolo, versano fenoli nell'acqua e ci propinano Coca Cola alla trielina. Adesso anche dell'aria che respiriamo non ci possiamo più fidare!”. O ancora, visto che i surgelati erano andati ovviamente a ruba, vi era anche chi insinuava che il provvedimento del ministro Degan fosse solo un modo per favorire la Findus!

“Dobbiamo chiarezza e certezza alla cittadinanza- dichiarava l'assessore Alessandro Zanetti – e per il senso di responsabilità che ci contraddistingue, saremo noi i primi a dire quello che si può o non si può fare, sentiti tutti i pareri”. E dunque, in un'interpretazione della circolare ministeriale giudicata fin troppo restrittiva, si vietava il consumo di insalata, spinaci, prezzemolo, erbe aromatiche, cicorie, biete, coste, sedani, cavoli in genere, carciofi, cime di rapa e via dicendo. Si potevano però consumare le fragole. Va da sè che approfittando della situazione vi era chi aveva fatto lievitare i prezzi di patate, carote e asparagi, le uniche verdure che si potevano mangiare liberamente. 

Lunedì 5 maggio, ad una settimana dal passaggio della nube, i livelli di radioattività nell'aria stavano rapidamente tornando alla normalità ma, a causa delle piogge, lo iodio 131 si era depositato a terra elevando i livelli di contaminazione del suolo. Ed i livelli rimanevano ancora elevati anche nel latte: in alcuni campioni prelevati a Casalmaggiore i valori oscillavano tra i 3000 e e i 7000 picurie ed arrivavano a 13000 per litro in un campione proveniente dall'Usl di Mantova. La politica, dal canto suo, aveva sortito un ordine del giorno del consiglio comunale che deplorava e condannava “il comportamenti ingiustificabile e irresponsabile del governo e delle autorità sovietiche che hanno tenuto il mondo e lo stesso popolo sovietico all'oscuro di quanto accaduto alla centrale nucleare di Chernobyl e delle possibili conseguenze”, sottolineava “l'insufficienza di informazioni alla popolazione in relazione ai rischi connessi con la presenza della centrale nucleare di Caorso ed il silenzio osservato da parte dell'Enel su guasti e inconvenienti che si sono verificati in passato” e chiedeva maggiore informazioni da parte dell'Enel, un adeguamento del piano di emergenza per Caorso, la realizzazione di un centro di documentazione e informazione, “l'accelerazione ed il rapido completamento dei lavori per la costruzione del centro di decontaminazione di secondo livello presso l'ospedale di Cremona, da poco iniziato a circa 6 anni di distanza dall'entrata in funzione della centrale di Caorso”. Ma, soprattutto, si chiedeva una conferenza provinciale che discutesse il futuro della politica energetica nucleare per evitare sia il ventilato raddoppio di Caorso che la costruzione di una nuova centrale a Viadana. Posizione condivisa anche dalle associazioni ambientaliste che denunciavano anche un prevedente incidente avvenuto a febbraio. Mentre la nube lentamente si allontanava ancora qualche consiglio spicciolo: “quando si rientra in casa è bene togliere le scarpe, la cui suola ha certamemte assunto molta della radioattività caduta al suolo, e lasciale fuori della finestra, certamente non nella stanza in cui si dorme. E' bene lavare spesso i capelli, dove si possono annidare le sostanze radioattive. E' meglio, per le pulizie di casa, non usare la scopa, che solleva polvere, ma piuttosto l'aspirapolvere”. 

Ma, aldilà del decadimento della radioattività, una cosa è certa. Ad aumentare, e restare tali, erano stati i prezzi degli ortaggi: le patate, da mille lire per tre chili, a quattromila lire il chilo; i pomodori a 4000 lire il chilo e le zucchine anche 3000. Venne invece accantonato il progetto per la realizzazione del primo rifugio antiatomico, previsto per le villette di via Mirandola: interamente strutturato in calcestruzzo armato avrebbe dovuto ospitare in caso di allarme sessanta persone per almeno quindici giorni in completa autonomia. Era dotato di una sala principale con funzioni di soggiorno, una sala da pranzo e locale notte, cucina e docce, lavanderia e infermeria. Ovviamente era dotato di un gruppo elettrogeno a motore diesel, un boiler elettrico, un serbatoio di gasolio, pozzetto per la fognatura e relativa pompa. Costo, duecento milioni di lire. A progettarlo l'ingegner Alessandro Sora. 

Fabrizio Loffi


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commenti


oubaas

20 aprile 2021 11:50

Il termine "sindrome cinese " non ha nulla a che vedere con un ipotetico incidente nucleare in Cina !!