22 aprile 2021

35 anni fa l'esplosione di Chernobyl, un biologo cremonese studia sul campo gli effetti e le mutazioni genetiche sugli uccelli

È la notte tra il 25 e il 26 aprile del 1986 quando la nube radioattiva di Chernobyl, in Ucraina, terrorizza il mondo intero. Il reattore della centrale si incendia e brucia per dieci giorni. Le conseguenze sono devastanti. La situazione non è ancora completamente rientrata. Il tempo è passato ma le radiazioni proseguono la loro deturpante opera. A Pripyat, ex cittadina sovietica al confine tra Ucraina e Bielorussia, a soli 3 km dal reattore 4 della centrale di Chernobyl, il tempo sembra essersi fermato a quel lontano ’86.

“Il disastro di Chernobyl e la tragedia di Fukushima nel 2011 sono i due incidenti nucleari classificati come catastrofici – ci spiega da Pomona Andrea Bonisoli Alquati, Professore alla California State University, cremonese di origine e, ormai, da 11 anni negli States –  la contaminazione di Chernobyl ha avuto effetti che hanno colpito non solo l’Ucraina ma, anche, Bielorussia, le zone al confine con Russia e l’Europa. Un disastro di proporzioni enormi. I miei studi, seppur legati all’evoluzione delle popolazioni di uccelli, sono contestualizzati all’interno di questa vicenda umana tragica. L’analisi dei dati consente di comprendere un fenomeno decisamente più ampio. L’essere umano non è un qualcosa di astratto rispetto all’ecosistema. Ogni effetto ambientale tende ad avere ripercussioni sugli esseri umani. Questa è la base da cui partire per comprendere le problematiche ambientali – continua – se entriamo nel dettaglio biologico del mio studio, degli effetti fisiologici e genetici delle esposizioni alle radiazioni sono moltissimi i fattori che ci accomunano alle altre specie animali. Intuitivamente non tendiamo a sentirci simili agli uccelli, in realtà, biologicamente non siamo così differenti. Abbiamo una serie di meccanismi biologici in comune e che sono conservati attraverso l’evoluzione. Il DNA differisce per le informazioni che porta ma la molecola è sempre la stessa.  Le mutazioni come effetti dall’essere esposti alle radiazioni sono un qualcosa che possiamo studiare negli animali ma è fondamentale per avere indicazioni sui rischi a cui sono sottoposti gli esseri umani. Ogni episodio ci fornisce risposte sui fenomeni di cambiamento”.

Un numero non definito di morti, o meglio, all’epoca ne ufficializzarono 42, un numero non schedato di malati, documenti classificati top secret che, solo oggi, rivelano la reale gravità dell’accaduto. All’epoca, l’Ucraina era una delle repubbliche sovietiche federate sotto il controllo di Mosca e se da un lato le autorità del tempo cercarono di coprire l’incidente, dall’altro anche la comunità internazionale sembrò non essere troppo interessata alle cause. Basti pensare che la Foresta Rossa di Chernobyl, quasi interamente composta da pini silvestri, fu una delle aree più colpite dalla ricaduta di materiale radioattivo. Le conifere sono in grado di assorbire quantità di radiazioni maggiori rispetto ad altre piante. Cosa significa? Che non tutte le piante morirono immediatamente “bruciate” ma subirono importanti mutazioni nella crescita e nella colorazione. Prima del disastro quelle immense terre erano meravigliosamente lussureggianti, piene di vita. L’esposizione alle radiazioni ha modificato lo scenario. La riorganizzazione della natura dopo le sciagure causate dall’uomo segue dinamiche complesse e non sempre prevedibili.

“I nostri studi dimostrano una serie di effetti negativi alle esposizioni delle radiazioni che influenzano lo stato di salute della popolazione di uccelli – ci spiega lo scienziato Bonisoli Alquati – abbiamo investigato lo stress ossidativo. Siamo arrivati alla conclusione che l’esposizione alle radiazioni aumenta la produzione di radicali liberi e questo comporta il rischio di danni ai tessuti, al metabolismo, possono creare invecchiamento funzionale, provocano una diminuzione delle capacità dell’organismo di svolgere le proprie funzioni. Le radiazioni agiscono causando questi radicali liberi e parliamo di un classico esempio di come meccanismi biologici siano condivisi tra le specie: questo vale per l’essere umano quanto per gli insetti. Investigare questi meccanismi fondamentali ci aiuta non solo a capire il rischio legato all’esposizione da radiazioni ma ci fa cogliere informazioni fondamentali sul funzionamento generale da stress ossidativo e da stress da radicali liberi a prescindere dalla provenienza”

Per chi ha visto con i propri occhi quei luoghi è impossibile rimanere impassibile. La devastante povertà delle campagne adiacenti la zona contaminata sono la chiara fotografia di un disastro umano ed ambientale ancora lontano da una risoluzione.

Esiste una specie di uccelli dotata di grande carisma che vive a stretto contatto con l’uomo, capace di fornire numerose informazioni: la rondine, animale di grande valore ecologico, simbolico e culturale.

“Abbiamo campionato per lo più rondini, cince e fringuelli, le specie presenti nella Foresta Rossa e nei boschi europei – specifica il Dott. Bonisoli Alquati – in particolare abbiamo concentrato l’attenzione sulla rondine. Ciò che emerge, in modo preoccupante, è lo stress ossidativo che tende ad essere più alto e causa un danno al DNA, se questo danno non è riparato porta a delle mutazioni. A Chernobyl, rispetto ad altre popolazioni che vengono utilizzate come riferimento, i tassi di mutazione delle rondini è più alto. Gli effetti sulla fisiologia e sul DNA sembrano tradursi in un declino delle popolazioni nelle aree contaminate”.

Uno scenario che apre molti interrogativi e molte direzioni di ricerca.

“Nasce spontanea una riflessione nel contesto di Chernobyl dove, in realtà, non c’è stato un grande sforzo da parte della comunità internazionale e degli organi ufficiali per comprendere i meccanismi degli effetti della contaminazione di cui vi ho parlato – spiega – lo sforzo maggiore e, questo è un parallelismo con quanto avvenuto a Fukushima, è stato impiegato nel grande impegno dedicato alla bonifica delle aree contaminate”.

Non è possibile raccontare il disastro Chernobyl senza ricordare il sentimento degli abitanti, di coloro che hanno vissuto in prima persona e sulla propria pelle questa tragedia.

Popolazioni che, seppur all’interno di un quadro politico differente da quello europeo, avevano una casa, avevano una vita. Ad un tratto costretti ad essere evacuati con la prospettiva di rientrare dopo tre settimane. La realtà e lì da vedere ancora oggi. L’insediamento urbano è rimasto come fu lasciato dagli abitanti. Oggi vive il silenzio che viene interrotto solo due volte l’anno: per l’anniversario della sciagura ed in occasione della festa del primo maggio. Popolazioni che vivono la quasi irraggiungibile differenza sociale tra le realtà che compongono le città e coloro che hanno scelto di ritornare nelle campagne. 

È doveroso ricordare il disastro dell’86, ma è necessario non dimenticare l’incendio che lo scorso anno, proprio in questo periodo, ha colpito la zona adiacente al disastro nucleare destando notevole preoccupazione per un possibile rilascio di particelle radioattive nell’aria. Purtroppo, gli incendi sono ancora una chiara prova che il livello di radioattività è presente, è diminuito rispetto al passato ma il problema esiste. Il tutto senza trascurare la pandemia da Covid-19. 

Spesso l’Europa guarda all’Ucraina unicamente come ad un immenso condotto energetico dimenticando, quasi in modo sbadato, il grandissimo potenziale agricolo che rappresenta. Immense distese di una terra nera come la pece e talmente fertile da poter sfamare il mondo intero.

“Forse, se riuscissimo a studiare al meglio le cause di ogni disastro ambientale, potremmo trovare un lato positivo affinché queste tragedie non accadano più in futuro – conclude il Dott. Bonisoli Alquati – capire il passato per tutelare il futuro dell’ambiente e dell’uomo, realtà intrecciate tra loro”. 

Beatrice Ponzoni

Le immagini del servizio sono state gentilmente fornite da Andrea Bonisoli Alquati:

1. Andrea Bonisoli Alquati e la città abbandonata di Pripyat
2. Il Palazzo della Cultura “Energetyk”, nella città abbandonata di Pripyat, nei pressi della centrale nucleare di Chernobyl.
3. Una rondine (Hirundo rustica) giapponese, a Minamisoma, nella Prefettura di Fukushima, nei pressi della zona di Esclusione.
4. Due uomini ucraini scattano foto ricordo di fronte all’edificio del Reattore N.4 della centrale nucleare di Chernobyl.
5. La mano di Bonisoli che regge un contatore Geiger, che segnala livelli di contaminazione migliaia di volte il livello di fondo, nei pressi della cosiddetta ‘Foresta Rossa’, all’interno della zona di esclusione di Chernobyl.
6. La torre di raffreddamento del reattore N.5 della centrale nucleare di Chernobyl.
7, Una veduta della città abbandonata di Pripyat, nei pressi della centrale nucleare di Chernobyl.
8. Una rondine viene rilasciata dalla mano del ricercatore cremonese, dopo le misurazioni, nei pressi di una fattoria collettiva all’interno della zona di esclusione di Chernobyl.
 
 


Il sito del lab e’: www.bonisolialquatilab.com,  
 
Sugli effetti dell'esplosione della centrale di Chernobyl a Cremona:

http://cremonasera.it/cronaca/26-aprile-1986-35-anni-fa-esplodeva-la-centrale-di-chernobyl-quando-la-nube-arriv-su-cremona-le-paure-e-i-segni-dello-iodio-131

Beatrice Ponzoni


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