L'apoteosi del jazz con uno strepitoso Uri Caine al pianoforte del Museo del Violino
Ha preso avvio nell’auditorium Arvedi di Cremona la nuova rassegna proposta dal Museo del Violino e Unomedia “STRADIVARIfestival – Il Pianoforte”, che con il sostegno di Fondazione Arvedi Buschini e Mdv friends rivolge per la prima volta l’attenzione al principe degli strumenti a tastiera, con una serie di quattro concerti imperniati sulla figura di Johann Sebastian Bach.
La lungimiranza del direttore artistico Roberto Codazzi ha ampliato lo sguardo rispetto all’orizzonte degli strumenti ad arco e grazie a questa intuizione abbiamo potuto assistere stasera all’affascinante soliloquio di Uri Caine, uno dei protagonisti indiscussi della scena jazz mondiale a cavallo tra ventesimo e ventunesimo secolo.
Il pianista statunitense sembra riassumere in sé il profilo del compositore totale, facendo del sincretismo la propria cifra stilistica, rifiutando etichette e scandagliando le profondità del mare magnum della musica in ogni direzione.
Le incursioni nel repertorio della musica classica precedono di molto l’invenzione di Caine: ne è il padre nobile l’indimenticato Jacques Loussier che diede vita alla fine degli anni ’50 all’omonimo trio, e divenne celeberrimo con vendite da milioni di copie reinterpretando in chiave jazzistica le opere di Bach.
Il jazz ha più di una similitudine con la musica di Bach: in questo tipo di musica la figura del creatore e quella dell’esecutore si sovrappongono, in un’invenzione genuina che si manifesta nel presente del verificarsi del fatto musicale. Ma tanta parte della produzione musicale di Bach è improvvisazione fissata sul pentagramma, e dell’improvvisazione mantiene lo stile rapsodico e irregolare; fortissima è anche l’influenza della musica folklorica (o world music, si direbbe ai nostri giorni) e il groove che scorre in innumerevoli suoi brani dal metronomo vivace.
Se una distinzione deve esserci questa può farsi lungo due direttrici principali: abbiamo una musica jazz originale in cui il tema da cui si dipana l’improvvisazione è dello stesso musicista che esegue (composto in precedenza o inventato al momento) e una che riutilizza temi preesistenti di altri autori.
Stasera abbiamo assistito a una straordinaria performance appartenente alla seconda categoria, in cui l’invenzione melodica si è frantumata in mille rivoli in un continuo rinnovarsi di elaborazioni motiviche a partire da temi di compositori immortali, partiture d’eccellenza che hanno segnato la storia della Musica nel mondo e che racchiudono sempre un fascino intramontabile, anche per un ascoltatore non musicista e non esperto di musica classica o jazz; Uri Caine ha usato queste partiture come spunto per il suo avventurarsi nell’improvvisazione e con un animo estrosamente contemporaneo le ha ripercorse con impressionante tecnica pianistica, infondendo voce nuova a temi famosi e trasformando il conosciuto in inedito.
Fraseggi guizzanti, utilizzo quasi percussivo della tastiera, dinamiche e agogiche portate allo stremo, Caine ha dato spettacolo mettendo in campo la sua esclusiva cifra stilistica.
L’esibizione di stasera è stato un viaggio attraverso la sua personalissima rilettura del repertorio classico, in bilico tra fedeltà e trasformazione, tra rigore e parodia. Un’esibizione che ha messo in luce il suo dominio assoluto della tastiera, il suo istinto di esploratore musicale, ma anche una certa tendenza all’indulgere al gioco cerebrale, alla ripetizione di schemi in un procedimento che, se abusato, può generare un certo distacco emozionale nel pubblico.
L’apertura affidata al tema della Sonatina di Mozart K.545 è stata emblematica: un primo approccio cristallino, infantile, quasi accademico, che però ha subito iniziato a sgretolarsi per lasciar spazio a qualcosa che Mozart non era più. Tra incursioni nel ragtime, contrattempi spiazzanti e armonie volutamente stranianti, Caine ha creato un gioco di specchi in cui il materiale originale veniva smontato e riassemblato in una girandola di riferimenti e frammenti. Il tutto, però, mantenendo un saldo filo conduttore: anche nei momenti di maggiore scomposizione, si avvertiva sempre una logica sottostante, un legame sottile ma mai spezzato con il tema originario.
Il suo Rondò alla Turca ha seguito la stessa traiettoria: apparentemente caotico, spezzettato in microcitazioni e interpolazioni, ma in realtà governato da una visione ben precisa. L’esecuzione si è chiusa con una terza piccarda in maggiore, un piccolo sigillo che ha dato un senso di compiutezza al percorso.
Il momento più affascinante del concerto è stato forse l’omaggio a Mahler, in cui il celebre tema del terzo tempo della Prima Sinfonia, grottesca parodia in tonalità minore della filastrocca “Fra’ Martino campanaro”, si è arricchita di echi klezmer, evocando un universo sonoro che è parte integrante del linguaggio musicale di Caine. Il pianoforte Fazioli ha regalato suoni eterei, quasi trasfigurati, in un Adagietto di grande suggestione, nostalgico e tratteggiato con pennellate di lirismo, trascendendo il puro esercizio intellettuale.
Diverso il discorso per la fantasia su temi di Bach, apertasi con una citazione del tema delle Variazioni Goldberg. Qui il gioco cerebrale ha preso il sopravvento: un’elaborazione indubbiamente raffinata, ma che ha finito per risultare un po’ prolissa ed egoriferita. Quello che all’inizio era intrigante, col passare del tempo si è trasformato in una costruzione eccessivamente compiaciuta, mancando del brio che avrebbe potuto renderla davvero trascinante.
Tra incursioni nella musica di Stravinskij, Wagner, e una divagazione dal repertorio classico concessa a un brano di Paul Simon, il concerto ha mostrato tutti i tratti distintivi di Caine: una tecnica impeccabile, un grande swing, un uso sapiente del linguaggio jazzistico unito a una capacità straordinaria di reinventare il repertorio classico. Tuttavia, questo tipo di operazioni artistiche mostrano il loro limite: il rischio di una ripetizione di schemi già collaudati, di un ‘saccheggio’ di temi rielaborati con la freddezza di un esperimento alchemico. Il risultato è stato un concerto che ha saputo affascinare a tratti, ma che, nel complesso, ha lasciato l’impressione di una straordinaria abilità strumentale non del tutto accompagnata da un’autentica comunicazione emotiva con il pubblico.
Una serata di grande musica, comunque, che ha aperto in grande stile questa nuova rassegna ed è stata apprezzata dal numeroso pubblico.
Appuntamento per il secondo concerto della rassegna, giovedì 6 marzo, con le celeberrime Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach eseguite dalla pianista canadese Angela Hewitt.
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