Beatrice Tanzi, storica dell'arte cremonese, riscopre tutti gli affreschi della cappella Salazar a Regona, opera del Malosso. Un nuovo capitolo della pittura cremonese della fine del '500
Il cuore conservato in un'urna, sepolta in un luogo che per il defunto era ritenuto speciale, mentre il resto del corpo veniva sepolto altrove: questa era una pratica piuttosto signolare oggi, ma che tra Medioeveo ed età moderna era abbastanza diffusa. Fu così dunque che venne realizzata la Cappella Salazar, nella chiesa dei cappuccini di Regona, frazione di Pizzighettone (Cremona), dove don Diego Salazar (Huete, 1537 circa – Milano, 1627), diplomatico spagnolo che sul finire del Cinquecento ricoprì la carica di Gran Cancelliere dello Stato di Milano, volle far conservare il proprio cuore. E per redere ancora più solenne questo luogo di sepoltura, il potente uomo spagnolo commissionò a Giovanni Battista Trotti detto il Malosso (Cremona, 1555 – Parma, 1619) non solo la decorazione della cappella, ma anche il cosiddetto trittico Salazar, che è stato recentemente riunito nel corso della mostra organizzata tra Piacenza e Cremona.
Oggi anche gli affreschi, che si credeva fossero andati perduti per sempre, sono stati quasi tutti rintracciati: ciò è stato possibile grazie al lavoro di un'altra cremonese, la storica dell’arte Beatrice Tanzi che ha rintracciato quasi tutti gli affreschi perduti della cappella Salazar, pubblicando i risultati della sua ricerca nel volume Malosso per il cuore di Don Diego de Salazar, da poco uscito per le Edizioni Delmiglio. Si tratta di un contributo significativo per lo studio della pittura cremonese di fine Cinquecento in quanto offre nuove prospettive sulla figura del Malosso.
Come riporta la rivista Finestre sull'arte, "il ciclo pittorico di Regona rappresenta un caposaldo della produzione del Malosso. La ricerca di Tanzi parte dal suo lavoro di schedatura del Trittico Salazar condotto in occasione della summenzionata mostra, intitolata Il Cavalier Malosso. Un artista cremonese alla corte dei Farnesee tenutasi tra i Musei Civici di Palazzo Farnese a Piacenza e il Museo Diocesano di Cremona nella primavera di quest’anno. La cappella di Regona, dedicata a Sant’Ambrogio, fu commissionata, come detto, da don Diego de Salazar, Gran Cancelliere dello Stato di Milano, conte di Romanengo e in seguito presidente del Supremo Consiglio d’Italia. Questo funzionario spagnolo aveva stabilito stretti legami con Pizzighettone e Regona per ragioni private, familiari ed economiche: aveva infatti alcuni poderi in zona ed era molto legato a questo territorio, tanto da aver promosso anche la fondazione di un convento sulla strada che univa proprio Regona a Pizzighettone. La particolarità più suggestiva della cappella risiede nel fatto che non era destinata a contenere il corpo del Gran Cancelliere, sepolto nella cappella del Rosario in San Bassiano a Pizzighettone, bensì il suo cuore, conservato in un vaso all’interno di un’urna appositamente costruita. Una pratica, quella della sepoltura del cuore separata dal resto del corpo, volta a esprimere un legame spirituale con un luogo particolarmente caro al defunto.
La cappella, inizialmente parte di un convento cappuccino poi soppresso e distrutto nel 1810, riuscì a sopravvivere per un certo periodo come chiesetta a sé stante, ammirata e descritta accuratamente alla fine dell’Ottocento da un erudito locale, Cirillo Ceruti. È stata proprio la sua meticolosa descrizione del 1902, prima che anche la cappella venisse demolita dopo esser stata spogliata dei suoi tesori, a costituire la base per il lavoro di ricomposizione di Beatrice Tanzi".
"Il fulcro del complesso pittorico era il Trittico Salazar, la “speciosa tabula” ricordata nel testamento di Salazar, realizzato da Malosso nel 1595. Il trittico, menzionato nel testamento di don Diego de Salazar del 1600, era composto da una pala centrale, l’Adorazione dei pastori, e due pannelli laterali raffiguranti San Sebastiano e San Diego di Alcalà. L’Adorazione, firmata e datata “Malossus faciebat 1595”, è oggi parte della collezione della Banca di Piacenza, mentre i due pannelli laterali, anch’essi del 1595, sono stati recentemente rintracciati in una collezione privata da Beatrice Tanzi, dopo che per decenni se ne sono perse le tracce, finché non sono riapparsi recentemente in un’asta da Cambi a Genova, con errata attribuzione ed errata datazione (erano infatti ritenuti opera di “scuola cremonese del XIX secolo”, con stima peraltro bassa, 5-6.000 euro la coppia: sono stati poi venduti a 30.100 euro inclusi i diritti).
Il Malosso A Regona, oltre al Trittico Salazar, aveva dipinto anche un altro capolavoro, la pala dell’altare maggiore con la Madonna in gloria e i santi Francesco e Ambrogio (1590), ora a Soresina. La cappella Salazar, nelle sue dimensioni ridotte, testimonia la sua maestria.
"Il ritrovamento di quasi tutti i dipinti murali della cappella cappuccina, strappati entro gli anni Venti del secolo scorso dall’ingegnere Ettore Signori, e da tempo conservati in due collezioni private, consente dunque di farsi una precisa idea di questo importante apparato decorativo che oggi sopravvive in forma frammentaria. - si legge ancora sulla rivista -Questi affreschi, sebbene citati episodicamente, non erano mai stati riprodotti e analizzati in maniera così approfondita, e la loro ricomposizione apre nuovi orizzonti sia dal punto di vista figurativo che della committenza e della metodologia di ricerca. Ceruti aveva lasciato una puntuale descrizione degli affreschi, e questa descrizione ha consentito a Tanzi di identificare e collocare gli episodi superstiti (due frammenti, peraltro, sono stati esposti alla mostra di Piacenza accanto al trittico Salazar)".
Tra i reperti recuperati, si annoverano diverse sezioni della volta e delle pareti.
"La volta era caratterizzata da quattro sostegni decorati con cariatidi finienti in mascheroni, tra le quali quattro putti alati sorreggevano le Virtù Cardinali: Prudenza, Giustizia, Temperanza e Fortezza. Di queste, la Temperanza è stata recuperata, mentre la Giustizia e la Prudenza si trovano, in pessime condizioni, nei depositi del Museo Civico Ala Ponzone di Cremona (sono, questi ultimi, i due frammenti che sono stati esposti a Piacenza). Sopra la pala d’altare era raffigurata una testa di Padre Eterno, mentre sopra l’arcata d’ingresso un profeta seduto con un libro, di cui è stato ritrovato un frammento purtroppo rubato e disperso. Ai lati delle finestre, due sante vergini (oppure sibille) sono state ritrovate. Nel centro del cornicione circolare, un gruppo di angioletti in gloria ammirava una “santa bambina” coronata di fiori, tondo anch’esso recuperato. Le lesene con putti e mostri (coccodrillo e drago), citate da Ceruti, sono state rintracciate e si rifanno a modelli di Bernardino Campi.
Le pareti laterali ospitavano quattro Storie di san Francesco: sulla parete di destra, entrando, si trovavano gli episodi con San Francesco che trasforma il denaro in serpenti e San Francesco che rinuncia ai beni terreni. Sulla parete sinistra, la Tentazione di San Francesco e l’Estasi mistica. Nel sottarco d’ingresso era presente l’Apparizione di San Francesco su un carro di fuoco, con l’emblema dell’ordine francescano. Questi episodi, tratti dalla Legenda Maior di Bonaventura da Bagnoregio e dalle Vite di San Francesco di Tommaso da Celano, mostrano Malosso in una forma inedita, in equilibrio “tra vivace spontaneità narrativa e sofisticate cadenze decorative”, scrive Tanzi.
"Il ritrovamento di queste quattro scene della vita del santo è di particolare significato, poiché rappresentano “una sorta di unicum nell’attività malossesca e inducendo a riflessioni di metodo non banali”, spiega Tanzi, secondo la quale tuttavia si può confermare la piena autografia del Malosso, sia dal punto di vista stilistico e inventivo, sia per “l’elevatissimo prestigio della committenza”.
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