20 marzo 2023

Ciak, si gira. Il film mancato su Stradivari di Vittorio Salerno. Ernesto Gastaldi racconta come andarono veramente le cose e come venne stravolta la sceneggiatura (22)

Era l’autunno del 1985 e la giunta guidata da Renzo Zaffanella pensava già al 250° anniversario della morte di Stradivari, che si sarebbe celebrato di lì a due anni. Tra le proposte vi era quella di realizzare un film per la Televisione. Un progetto senza dubbio esaltante, fatto proprio da un regista e sceneggiatore d’eccezione, Vittorio Salerno che, sfruttando l’enorme interesse dimostrato durante l’anno europeo della musica, era pronto a lanciarsi nella nuova avventura. “Siamo lieti di proporre un primizia assoluta, una novità mondiale - scriveva nella brochure che il Comune aveva voluto pubblicare a proprie spese - un film televisivo, in tre puntate sulla mitica figura, misteriosa ed affascinante, del più geniale liutaio di tutti i tempi: Antonio Stradivari. Un grandissimo artista, paragonabile ad un Goja, un Dürer, un Renoir; notissimo in tutto il mondo per i meravigliosi violini da lui creati, ma che merita una rivalutazione a livello di fiction, affinché anche gli altri liutai, sia antichi che contemporanei, vengano finalmente apprezzati quanto i loro colleghi pittori, scultori ed architetti, non più considerati semplici artigiani”. Il film, prodotto dalla Welcome Films and Television di Roma, si sarebbe intitolato “Stradivarius Cremonensis”; la consulenza artistica sarebbe stata di Francesco Bissolotti, quella artistica di Giovanni Battista Salerno e quella storica affidata ad Elia Santoro. La supervisione musicale e l’esecuzione dei brani violinistici affidata a Salvatore Accardo su musiche originali di Franco Tamponi. Il film sarebbe stato pronto nel giugno 1987, sulla base della sceneggiatura scritta da una coppia ormai collaudata, quella costituita dallo stesso Vittorio Salerno, che ne avrebbe curato anche la regia, ed Ernesto Gastaldi. Quella sceneggiatura, in realtà, fu completamente stravolta e la regia del film affidata a Giacomo Battiato. In pratica un altro film. Come andarono effettivamente le cose lo ha raccontato, anni dopo, lo stesso Ernesto Gastaldi che, per rimediare a quello che definì “lo scempio della mia sceneggiatura”, la trascrisse sotto forma di romanzo, “Stradivarius Cremonensis”, lo stesso titolo del film mancato.

Sul Sunset Boulevard - racconta Gastaldi - mi raggiunge una telefonata di Vittorio Salerno che lavora per la R.A.I. ed è stato a Cremona per un servizio culturale sulla liuteria e il sindaco gli ha detto: 

- Perché non fate un bel film su Stradivari? 

Nel silenzio sento il ticchettio del contatore internazionale e l'impazienza di Vittorio che grida dall'altra parte del mondo che a Cremona gli hanno stampato gratis una brochure bellissima e che lui si è preso la libertà di intestarla alla nostra cooperativa, poiché io ne sono il presidente, vuole il consenso, l'approvazione e soprattutto la collaborazione per scrivere la storia che vuol dirigere lui. 

Los Angeles non mi piace e torno a Roma. Vittorio viene a prendermi all'aeroporto. Mi guarda. Lo guardo. Sbuffa e ripete: 

- Perché non facciamo un bel film su Stradivari? 

Mi scarica sul tavolo dello studio le bozze di un libro. Un cremonese ha raccolto tutto quello che si può sapere su Stradivari e ci può servire da linea per il nostro racconto. Sfoglio quelle bozze e qualcosa cattura la mia attenzione: nessuno sa quando e dove Stradivari sia nato. Appare nella storiografia ufficiale che ha già vent'anni quando sposa una vedova incinta di qualche anno più vecchia di lei. Vedova perché il fratello le ha ammazzato il marito. 

Sento l'amo ma lo inghiotto volentieri con tutta l'esca. La vita del grande liutaio è fatta di millecento violini ma non è una vita, sono due. Si sposa a vent'anni e fa cinque figli. Resta vedovo a 55 si risposa e fa altri cinque figli, disposti nella stessa cadenza di maschi e di femmine e tutte e due le volte il secondo nato si fa prete. A novant'anni è ancora lì che fa violini, anzi i suoi migliori violini. 

Perché Stradivari a novant'anni lavora ancora con tanta rabbia? Perché non è soddisfatto, perché sente che la vita sta per finire e non ha raggiunto quello che vuole. Uno che fa violini può inseguire soltanto un suono. Un suono magico e sottile che ha sentito da bambino, sulle rive melmose del Po. Un suono limpido e arcano che un girovago, angelo o brigante, ricavava da uno strumento ad arco, un suono che Stradivari non è mai riuscito a riprodurre coi suoi mille violini. 

Vittorio mi porta un busto settecentesco che potrebbe essere di Stradivari. Di quest'uomo strano non esiste immagine certa, nessun dipinto, nessun disegno di lui. 

A Cremona ci sono i suoi appunti, i suoi disegni tecnici, il mondo gode ancora la musica possente dei suoi violini ma nessuno sa com'era fatto, pare che fosse molto alto. 

Quel busto mi fissa senz'occhi mentre scrivo, ma non è da lì che mi sento guardato. Ho la sensazione che qualcuno legga quello che scrivo stando alle mie spalle, ma dietro c'è il muro con una grossa libreria. A me piace scrivere di notte, quando non suona il telefono, i figli dormono e la lampada mi chiude in un piccolo cerchio di luce isolandomi dalla realtà. Ho un po' di paura perché la sensazione di essere spiato è forte. In sei giorni scrivo duecento pagine inventando la fanciullezza e l'adolescenza di Stradivari come se qualcuno me la suggerisse. 

Anche Vittorio è stupito dalla quantità e dalla qualità dello scritto e parlandone col maestro Accardo lo vede sorridere col sorriso di uno che sa. 

La storia diventa sempre più strana. Accardo dice a Vittorio di avere evocato lo spirito di Stradivari tramite un medium e lo spirito gli ha detto cose che nessuno probabilmente sa: il vero nome di Antonio Stradivari sarebbe Piacenza di famiglia ebrea. Il padre di Stradivari era doganiere a Porta Padi, a Cremona, ed era incorruttibile e inflessibile sul lavoro, tanto che venne soprannominato ironicamente "Strad ivert", strada aperta. Perché era ebreo, è perché era onesto molti lo odiavano e gli tesero una trappola per infangarne il nome. Lui ne morì di dolore e il giovane Antonio gridò alla città di Cremona che lui si sarebbe chiamato Stradivert e che quella città di merda sarebbe diventata famosa nel mondo solo tramite quel nome. 

La cosa folle è che io ho scritto quasi le stesse cose, poiché il mio scritto non è ancora uscito da casa mia, certo il maestro Accardo non può averlo letto. 

In una seduta medianica successiva, Accardo cerca di spiegare allo spirito di Stradivari che cosa sia un film e gli "dice" che io e Vittorio lo stiamo scrivendo. Lo spirito risponde testualmente: 

- Dite a quei due cantastorie che io piacevo alle donne. 

Quando scrivo una storia vedo delle facce. Se so già chi saranno gli attori cerco di sovrapporli alle mie immagini interne, altrimenti lascio che la fantasia me le proponga. Mentre scrivo Stradivari, il cremonese assume un po' alla volta i lineamenti di una faccia che riconosco: è la quella di Anthony Quinn. Lo dico a Vittorio che scuote la testa: 

- Magari! E chi lo convince Quinn a farsi dirigere da me? 

Vittorio mi porta a Cremona, a cena col sindaco e la giunta. C'è anche lo storico che sta riunendo tutto ciò che si sa di Stradivari. Gli accenno alla storia dell'origine ebrea e mi zittisce guardandosi intorno come se temesse di vedere spuntare il cappuccio di Torquemada. 

- E' una vecchia storia - mi bisbiglia- ma non è gradita a Cremona. Meglio non toccare quel tasto se volete qualche aiuto dalla città...- e mi consiglia di stare nel vago, di non dire che era ebreo, di parlare di un orfano che probabilmente cominciò a lavorare nella bottega di un falegname attigua a quella del liutaio Amati, già famoso. Ride della tradizione che vorrebbe Stradivari alunno di Amati poiché nell'orribile città che era Cremona a metà del Seicento, chi aveva un mestiere non lo insegnava se non ai propri figli o, se non ne aveva, al proprio adottato, perché allora non c'erano mutue o pensioni e ognuno doveva pensare alla propria vecchiaia. Lo storico al Museo mi indica il famoso violino degli anni giovanili di Stradivari dove si legge scritto a penna: Antonio Stradivari, alunmus Amatiis. Ridacchia: se lo ha scritto Stradivari l'ha fatto solo per buggerare un cliente, col nome di Amati come maestro probabilmente poteva aumentare il prezzo. 

Torno a Roma e mi capita sott'occhio una rivista di cinema che dice che Anthony Quinn è in città perché sta girando con Margheriti un film televisivo per la R.A.I. 

Chiamo Vittorio e gli dico che è un segno del destino. Il giorno dopo Vittorio porta una bottiglia di champagne: è sua vecchia simpatica abitudine brindare quando un progetto prende la strada giusta e oggi ha gli occhi scintillanti: 

- Che è successo? 

- Se te lo dico non ci credi. 

- Tu dillo e poi decido io. 

-Anthony Quinn ci aspetta domani nella sua villa ai Castelli. 

(1- continua)

Fabrizio Loffi


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