Cinquant'anni fa le case del quartiere Po prendevano il posto della Fornace Frazzi demolita, uno dei capitoli più tristi della storia urbanistica cremonese. Guarda le foto della demolizione
Il progetto di rigenerazione del comparto del quartiere Po, finanziato con quindici milioni di euro dal bando del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nell’ambito del “Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare”, prevede, tra le altre cose, anche il recupero dell’area Frazzi per insediarvi uno spazio espositivo e laboratorio del cotto. Sono trascorsi quindici anni da quando il Comune intraprese quei lavori per rendere agibile lo spazio ceduto in diritto di superficie a Giorgio Brugnoli fin dal 1998, e poi, vent’anni fa, nel 2003 in convenzione per 35 anni.
La fornace degli “Eredi Frazzi fu Andrea”, ha chiuso nel 1967, aprendo uno dei capitoli più tristi della storia urbanistica cremonese. Tutto intorno sono cresciuti negozi e supermercati, giardini e palazzi. Le prime quattordici palazzine di “Cremona Verde” dello Iacp fra viale Po, via Navigatori Padani e via dei Classici erano già sulla carta agli inizi di dicembre del 1967, mentre la fornace chiudeva, e tutto era già finito cinquant’anni fa, nel giugno 1972. Una fretta che la dice lunga sull’interesse che avevano quelle aree a cui fino ad allora non era stato possibile avvicinarsi proprio per la presenza secolare dell'industria di laterizi.
La storia della Fornace Frazzi è la storia di una famiglia di imprenditori che per tre generazioni ha dato origine ad un vero miracolo economico e tecnologico in un territorio caratterizzato soprattutto per la propria vocazione agricola ed ha saputo anche creare realtà imprenditoriali nazionali con la creazione, nel 1936, di un'altra fornace “Frazzi” a Città della Pieve, da cui sono usciti i mattoni serviti a realizzare, tra gli altri edifici, la stazione Terminidi Roma, la stazione di piazza Garibaldi a Napoli, l'Istituto agronomico per l'oltremare di Firenze. Fu nel 1851 che il figlio di un oste originario di San Giuliano Piacentino, Andrea Frazzi, acquistò una piccola fornace a porta Po, che nel 1859 trasformò in un vero e proprio stabilimento, sul lato destro del viale appena prima del ponte sul Morbasco. Si trattava di un'area strategica, in quanto poco distante dai giacimenti di argilla posti alla confluenza del Morbasco nel Po, fra due strade via Del sale e viale Po che costituivano due importanti vie di comunicazione per il trasporto dei materiali, ed a poca distanza dai quartieri tradizionalmente operai, come erano appunto via Del Sale, Sant'Imerio e porta Mosa, dove fornaci e fabbriche di vetro erano già documentate nel Settecento. Nel 1875 la prima decisiva trasformazione in senso industriale con la realizzazione del nuovo forno Hoffman a fuoco continuo, uno dei primi dell'Italia settentrionale, che presentava la ciminiera addossata alla testata, anziché collocata al centro dell'edificio come nei precedenti. Attorno al forno vennero costruite la tettoia e i capannoni per la stagionatura dell'argilla, la lavorazione dei mattoni crudi e lo stoccaggio del prodotto finito ed in seguito venne aggiunta la palazzina della direzione. Tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del nuovo secolo la fabbrica venne ampliata con la costruzione di nuovi capannoni e di un nuovo forno oltre il Morbasco. In seguito venne aggiunto un terzo forno e venne realizzata una ferrovia Decauville per il trasporto del materiale. Un nuovo impulso all'attività venne dato dal figlio di Andrea, Francesco, che rilevò l'azienda nel 1884, dando inizi nel 1896 alla produzione meccanica dei laterizi forati, non ancora conosciuta in Italia. Nel 1936 la famiglia Frazzi acquistò la fornace di Ponticelli, frazione di Città della Pieve in provincia di Perugia, dalla famiglia Tini di Castiglione del Lago, che la gestiva dal 1929, ed insieme allo stabilimento anche un podere confinante che comprendeva una collina di ottima argilla.Da allora fino alla metà degli anni sessanta la Fornace Frazzi ha rappresentato per Città della Pieve e per i paesi confinanti, insieme all’agricoltura, la principale fonte di occupazione, arrivando a contare 280 addetti.
A segnare la fine fu una molteplicità di fattori. Innanzitutto la stanchezza dello stesso Arnaldo Frazzi, ormai anziano e senza eredi maschi che proseguissero nella tradizione di famiglia. Non sono neppure trascurabili l'aumento del costo della materia prima e la necessità di un adeguamento tecnologico. Con i nuovi forni a tunnel, i materiali, disposti su carrelli mobili, seguivanoil processo di preriscaldamento, cottura e raffreddamento in modo automatizzato.
La cottura del laterizio, all'interno dei forni Hoffman, apparve subito non in linea con i tempi più veloci della nuova concorrenza. Di questo si accorse Arnaldo Frazzi, quando, prima ancora dell'inaugurazione del nuovo forno a Città della Pieve, sentenziò di aver fatto nascere un figlio già vecchio.
A Cremona, invece, paradossalmente fu proprio il nuovo forno a canale lungo 135 realizzato nel 1965 a non dare i risultati sperati. Nel frattempo l’area patrimoniale degli stabilimenti, divenuta residenziale, aveva acquisito un valore altissimo. Nel 1967 la produzione a Cremona fu dunque sospesa. Al primo sentore di una possibile chiusura della fabbrica a Città della Pieve fu organizzata un'occupazione permanente dello stabile che durò per circa un mese. Così, prima lo stabilimento di Cremona poi quello di Città della Pieve, nel 1968, smisero definitivamente l'attività. Quest’ultimo fu venduto ad una società locale che nel 1979 chiuse definitivamente lo stabilimento, licenziò gli operai e nel 2000 si demolì la vecchia fornace, il locale ristoro degli operai e gli altri edifici, nell'ambito di un nuovo progetto di zonizzazione.
Nel 2007 è stata discussa una tesi all'Università di Firenze, presentata dall'architetto cremonese Alice Gandolfi e intitolata “Un centro per Tognazzi: riqualificazione di una fornace cremonese”, a ricostruire minuziosamente le vicende che interessarono l'area Frazzi prima e dopo la dismissione da area industriale. Nella tesi, fra l'altro, si progettava un recupero proprio con finalità culturali strettamente connesse alla città di Cremona: Gandolfi ipotizzava infatti la realizzazione di un centro dedicato a Ugo Tognazzi comprendente un piccolo museo, una sala da proiezione, un ristorante. Non fu l'unico progetto dedicato all'area presentato da giovani architetti. Il restauro della Fornace Frazzi - si annotava in quello studio - «da molto tempo appare nel novero dei progetti del Comune di Cremona ma fino ad ora la situazione è rimasta pressoché immutata». Nel 1985 l’amministrazione comunale aveva promosso alcune iniziative anche per placare i malcontenti della cittadinanza e in modo particolare delle persone del quartiere in cui è situato il complesso. Dapprima si provvedeva a ripulire la zona dal degrado e dalla sporcizia. Questo intervento apriva la strada per un vivace dibattito sulla nuova destinazione d'uso dell'ex sito industriale ormai dismesso. L'area di proprietà del Comune veniva in parte ceduta «permettendo in questo modo l'attuazione di un intervento estremamente invasivo che ha compromesso il sito industriale nel suo insieme. Infatti, tra i tanti progetti presentati all'amministrazione, che prevedevano almeno in parte un recupero più consapevole del complesso, è stato approvato in ultima istanza quello che ne determinava un abbattimento quasi completo».
Nell’agosto 1996 tre giovani architetti siciliani si aggiudicavano il concorso d'idee per la riqualificazione dell'ex area Frazzi. L'elaborato vincente prevedeva una riqualificazione a verde delle aree disponibili e un recupero delle strutture architettoniche che un tempo ospitavano le fornaci, da destinare a servizi culturali e a pubblica utilità, mai realizzati. Si dovrà attendere il 1999 per un nuovo intervento radicale di messa in sicurezza e di pulizia dell'area.
L'ultimo intervento di risanamento conservativo e di adeguamento dell'arena estiva e del forno Hoffman nell'area Frazzi è stato effettuato dall’amministrazione comunale nel 2009. In particolare è stato completato il consolidamento statico dell'ex forno e la realizzazione della pavimentazione dell'area estiva, la posa in opera di nuove sedie e di un palco prefabbricato finalizzata alla realizzazione del festival di Mezza Estate organizzato dal Comune, per un importo complessivo di circa 450.000 euro. Il recupero era stato inserito nel piano delle opere pubbliche relativo al 2009. In realtà il progetto complessivo data al 2004 e, secondo quanto approvato dalla giunta il 4 dicembre 2003, era a totale carico “del soggetto concessionario individuato”. Prevedeva nel suo complesso due salette, rispettivamente da 237 e 188 posti, realizzate sul piano del vecchio forno con materiali leggeri e componenti interamente smontabili; nel settore occidentale del forno, un esercizio pubblico a servizio del comparto, preferibilmente una caffetteria o un piccolo bistrot, con accesso e servizi al piano terra e con possibilità di realizzare uno spazio tavolini estivo al primo piano, riparato da nuova copertura protettiva.
Nelle foto storiche la demolizione della fornace Frazzi
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commenti
Ferraroni Massimo
18 luglio 2023 19:50
Articolo interessante che mi avvolge in una vena malinconica .
Per me ( classe 62 ) riaffiorano i racconti di mio nonno, il pittore Giovanni Arisi ex operaio dell' azienda Frazzi , il quale ha saputo imprimere su tela i momenti salienti delle lavorazioni e delle pause durante la produzione dei laterizi. Una raccolta di circa 30 opere alla quale anni fa il Comune dedicò una mostra, peraltro gradita, presso la sala dei quadri .
Michele de Crecchio
19 luglio 2023 23:39
L'intervento residenziale citato nell'articolo, fu eseguito dallo Istituto Autonomo Case Popolari agli inizi degli anni 70 quando tale Istituto si occupava ancora anche di abitazioni destinate al ceto medio. L' intervento fece, a suo tempo, molto parlare l'opinione pubblica cittadina per varie e motivate ragioni, tra le quali la principale era il piano in più, rispetto alle prescrizioni del vigente Piano Regolatore, che era stato realizzato in tutte le palazzine, attraverso l'artificio, accettato allora dal Comune, di camuffare tale piano in più conformandone l'aspetto esterno a similitudine di una "mansarda" parigina, posta al di sopra del livello della gronda. Le fotografie relative a demolizioni furono invece scattate quando la restante area ex Frazzi (assieme alla proprietà della società EU.PU) fu interessata, anni dopo, da un pesante intervento di ristrutturazione urbanistica che risparmiò però porzioni significative delle precedenti costruzioni, non solo residenziali, delle quali una più matura, anche se non da tutti condivisa, consapevolezza aveva cominciato a riconoscere non solo il valore ambientale, ma anche quello di testimonianza di "archeologia industriale".
Daniele
20 luglio 2023 14:06
Ho assistito alla distruzione della Fornace Frazzi.
Senza poter fare niente per impedirlo.
Sapevo della forza e dell'arroganza dei distruttori, ed io ero solo, una piccola voce inascoltata e debole.
Avevo messo dei cartelli di cartone, lungo la staccionata, scritti al pennarello, ma nessuno li leggeva.
E così se ne è andato un angolo molto prezioso di Cremona, una bella zona verde ricca di archeologia industriale, che si incuneava dentro la forma della città, fino a poche centinai di metri dal Teatro Ponchielli.
Tutto buttato giù, dall'idiozia dei potenti cremonesi che hanno seguito a breve anche loro la fine delle case che hanno fatto morire.
Sono rimaste le mie misere fotografie, che non interessano a nessuno.
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Angela Scaltriti
20 luglio 2023 19:37
A me interessano e mi avrebbero interessato