2 settembre 2025

Derovere, tempo di vendemmia: in una delle ultime vigne del cremonese anche quest'anno il rito della raccolta dell'uva, tra amicizia, musica e una buona merenda con pane e salame (e buon vino!)

Corvina, ancillotta, garganega: sono i nomi di alcuni vitigni che vengono coltivati in una delle ultime, se non l'ultima, vigne della bassa cremonese. Quasi mille viti nell'appezzamento di terreno di Terenzio 'Bigio' Neva, già sindaco di Derovere, che ha preso in carico questa vigna dal 1981, anno in cui si fidanzò con Gloria, che poi sarebbe diventata la moglie: da allora il suocero lo mise all'opera tra filari e viti per insegnargli tutti i segreti per coltivare della buona uva e quindi trarne dell'ottimo vino. Lo stesso vino che il suocero e la suocera servivano nella loro locanda di Ronca de Golferami, la 'Trattoria Rosi', negli anni passati.

"Caricavo sulla bagagliera della mia Fiat 126 le fascine di salice da cui poi ricavavo i legacci per fissare le viti ai pali. Le raccoglievamo lungo le rive dei fossi -spiega Terenzio mentre ci mostra uno ad uno i filari con le viti che si arrampicano sui trespoli e formano una piacevole ombra fresca sotto i tralci, carichi di bellissimi grappoli di uva che sembrano disegnati- Quest'anno il raccolto è bellissimo, sano, abbondante: ci ripaga dell'annata scarsa dello scorso anno. Del resto va così, ogni anno è diverso".

Nella vigna sembra di essere in un altro mondo: siamo lontani dal rumore della strada e del traffico; il prato sotto i tralci è verde e ben curato, viene voglia di camminarci a piedi nudi tanto è fresco e morbido. L'ombra delle viti è gradevole e mantiene la temperatura perfetta sotto le foglie: non si esagera a pensare di essere in una sorta di Eden calato nella bassa cremonese.

Qui ci sono quasi mille viti, che Terenzio conosce una ad una, dalla più vecchia che ha più di cento anni, alla pianta più giovane messa a dimora da poco: "In tutto ci sono 997 piante. Vedi, questa è una delle più giovani, vedi che è piccola e sottile ancora. Questa invece ha già qualche anno, si vede dalla dimensione del tronco. Ce ne sono ancora 3 o 4 che sono le più vecchie e arrivano a cento anni circa. Altre le ho dovute cambiare perchè negli anni sono morte o si sono malate. Le nuove le metto a dimora tra gennaio e febbraio, adesso non fa più tanto freddo in inverno. Scavo un buco piuttosto profondo in modo che poi la piantina trovi sempre il terreno fresco. Poi ogni stagione ha il suo lavoro, qui non ci si ferma mai, serve una manutenzione costante tutto l'anno. Ma per me è una passione, non un lavoro".

E dopo tanto impegno, arrivano i frutti: "Domani mattina raccogliamo l'uva bianca; dovevamo inziare stamattina ma c'era troppo umido. Poi proseguiremo con la rossa".

Si badi bene che la raccolta non è mica da considerare un lavoro da queste parti, quanto piuttosto un 'rito' da onorare con tutti i crismi: innanzitutto si tratta di una questione di tutti, nel senso che coinvolge non solo Bigio e la moglie, ma in quella vigna arrivano anche amici, parenti, nipoti e compaesani. Si inizia la mattina presto, accompagnati dal giovane Nicolò - nipote di Terenzio- alla tromba che mantiene alto l'umore del gruppo. I grappoli maturi vengono raccolti con cura e perizia da tutti i presenti, sotto lo 'sguardo' attento del padrone della vigna. No, non Terenzio: "Vedi, quello lì è il padrone di tutto qua" ci dice indicando il crocefisso in legno a capo del filare, davanti a cui sorge una pianta di rose.

Il lavoro prosegue per tutta la mattinata e pian piano le cassette di uva si riempiono; poi arriva mezzogiorno e dopo tanto lavoro, è il momento di sedersi al tavolo, pronto sotto i filari, e dividere in compagnia un buon paio di salami nostrani affettati generosamente dentro i panini appena freschi di bottega e, naturalmente, vino rosso autoprodotto a volontà (ma senza esagerare perchè il lavoro non è ancora finito).

Dalla vigna il gruppo si sposta nella cascina, dove i grappoli succosi finiscono nella degraspatrice manuale, che provvede meccanicamente a separare gli acini dal graspo; i frutti vengono poi pigiati e il nettare è pronto per finire nelle tine ed iniziare il processo di fermentazione che tra qualche mese restituirà il buon vino da tavola a chilometro zero. 

"In un'annata come questa, raccoglieremo circa 60 quintali di uva, tra bianca e rossa, che diventerà vino indicativamente per 4.000 bottiglie, da dividere tra parenti, amici, cene in compagnia e all'oratorio e nelle piccole e grandi occasioni".

Ma il vero frutto di quella vigna, oltre ad un fresco calice di vino, è quella magia di benessere e tranquillità che si respira tra i filari, quell'alchimia ed amicizia che si crea raccogliendo e pigiando l'uva, portando avanti una tradizione che non è solo un lavoro, ma diventa un forte e saldo legame con le radici delle nostre terre, quelle terre che hanno traghettato la vigna dal suocero di Bigio fino al suo nipote: quattro generazioni unite da quei filari e la continuità della passione che trova un futuro.

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Michela Garatti


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