Era il 18 ottobre del 2000: venticinque anni fa la grande piena del Po che mise in ginocchio tutto il cremonese. I ricordi tra paura e disperazione di chi viveva in golena
Sono già passati 25 anni, un quarto di secolo, da quella terribile piena del 2000, la più grande dopo la devastazione del 1951. Fu la prima e battezzò subito il nuovo millennio, a distanza di pochi anni dall'altra grande piena del 1994.
Quella notte tra il 17 e il 18 ottobre il Grande Fiume ruggiva già nelle golene, le sue acque correvano furiose spinte dalla piena inarrestabile, trovando freno solo nel terrapieno dell'argine maestro, da cui si scrutava con timore l'evolvere della situazione, temendo che quell'ultimo baluardo potesse cedere sotto la pressione della corrente. Nella golena il disastro era già avvenuto, in più punti l'argine comprensorio non era bastato a fermare la piena e ormai interi paesi e frazioni erano stati sommersi da quei 6 metri di acque torbide e furiose che inghiottirono campi, case, stalle, attività produttive e -con loro- la quotidianità della gente di golena.
Un paesaggio irriconoscibile formato solo da acqua e da cime di alberi, tetti e comignoli, qualche campanile. Tutto il resto, un mondo sconquassato nascosto sotto quella superficie che specchiava il cielo e smorzava i suoni della campagna, quell'acqua indomabile che arrivava a sfiorare i viadotti dei ponti, che da lontano sembravano galleggiare sopra quella marea.
A Cremona intere zone industriali, come quella di via Riglio, o addirittura la raffineria Tamoil rischiarono di finire sott'acqua. Per fortuna proprio la chiavica Riglio era stata ricostruita da poco e quella piena fu il battesimo di fuoco dell'opera che resse, salvando quella zona della città. Una sorte diversa toccò invece alla Bissolati e alla Flora, che essendo prossime al fiume, vennero invase dalla piena, conle acque che superarono la recinzione e raggiunsero le aree interne delle canottieri.
Nauturalmente anche lungo tutto l'asse del Po i danni furono ingenti. San Daniele Po, Stagno, Gerre, Motta Baluffi e Torricella: tutte terre rivierasche affacciate sul Grande Fiume, da cui arrivavano le foto più impressionanti, immagini che richiamavano subito alla mente le scene della piena del 1951 riproposte dai film di Don Camillo. Foto scattate con le macchine fotografiche analogiche, quelle col rullino che non ti dava la possibilità di vedere l'anteprima sul display; le comunicazioni fatte con i primi cellulari, i giornali che uscivano solo in edizione cartacea il giorno dopo, che se volevi avere la notizia, dovevi aspettare l'indomani.
E l'indomani tutti i quotidiani riportavano più o meno la stessa foto di copertina: quel mare grigio che era improvvisamente diventato la golena cremonese, quelle file di sacchi di sabbia posizionati sugli argini come ultima speranza, uomini coi pantaloni risvoltati sopra i gambali, barche al posto delle auto nelle vie dei paesi, come a Sommo con Porto, dove si navigava tra le case affiancati dalle campane della raccolta differenziata, che galleggiavano a metà altezza; o a Solarolo Monasterolo, dove in barca venne salvato un maiale, che stava nuotando dopo essere sfuggito alla furia delle acque (e di cui non si ha bene la certezza della fine che fece, dopo essere stato issato in barca).
Poi c'erano loro, i volontari della Protezione Civile, insieme agli uomini dell'esercito e a tutti i residenti che si misero a disposizione: chi si passavano i sacchi di sabbia, chi organizzava turni di guardia giorno e notte, sporchi di fango e con il viso stanco dopo quelle ore divisi tra lavoro e preoccupazione, a controllare palmo a palmo i terrapieni col terrore che si aprissero fontanazzi. E quel livello che continuava a salire, centimetro dopo centimetro, col fiume che ruggiva tutto intorno. Arriverà a 7.81 metri sopra lo zero idrometrico a Cremona, mentre a Casalmaggiore addirittura supererà gli 8 metri sopra lo zero, picco massimo di quella piena.
Questo fu un momento importante per i gruppi locali di Protezione Civile, molti dei quali iniziarono proprio da quell'esperienza a formarsi e darsi una fisionomia più definita, diventando un importante supporto per il territorio e per la popolazione.
Poi il fiume si placò, iniziando lentamente a rallentare la sua corsa fino a restare stabile. E gli argini resistettero per tutti i giorni della piena, quegli argini che rispetto al 1951 erano stati rialzati di almeno un metro e raddoppiati nella sezione, massicci terrapieni in grado di resistere alla spinta di una massa di acqua infinita; a tratti sembrò un miracolo, soprattutto perchè in alcuni punti erano ancora fragili perchè rialzati da poco, proprio dopo l'altra terribile piena del 6 novembre del 1994.
Infine la marea iniziò a scendere e, una volta ritirate le acque, non rimase che partire con la conta dei danni, nelle case completamente invase dall'acqua dove, chi aveva potuto, aveva cercato di portare ai piani più alti gli oggetti e gli arredi di maggior valore, non sempre riuscendo a salvarli. Danni ingenti alle abitazioni, alle stalle, alle chiese e persino ai cimiteri; campi e strade irriconoscibili, fango ovunque, rifuti e oggetti portati chissà dove dalla furia delle acque. E gli sfollati, gente che non aveva più una casa dove tornare ma solo delle mura da scrostare e rimettere a nuovo, con mesi di lavoro e spese ingenti da sopportare.
Questo fu la grande piena del 2000, un quarto di secolo fa, che ancora una volta ha segnato profondamente questa fetta di territorio che si specchia nel fiume Po, abituata ma non rassegnata a questi eventi, anche se spesso sembra perdersi la consapevolezza che le golene sono terra del fiume, i suoi alvei di piena, le zone dove le acque devono avere lo spazio per sfogare la propria irruenza per evitare di diventare ancora più pericolose. E per chi se ne dimentica, ogni tanto il fiume torna a lanciare un promemoria, a volte più tranquillo, altre volte drammatico e funesto. Come nel 1951, nel 1994 e ancora nel 2000.
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