Giorno del Ricordo, commemorazione questa mattina al Civico Cimitero alla presenza della autorità cittadine
Questa mattina, al Civico Cimitero, cerimonia commemorativa in occasione del Giorno del Ricordo, la ricorrenza istituita nel 2004 dal Parlamento per conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
Il sindaco Andrea Virgilio, il prefetto Antonio Giannelli, Roberto Mariani, Presidente della Provincia, e Tiziano Bellini, per il Comitato di Cremona dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, hanno deposto una corona di alloro al monumento ai Caduti Giuliano Dalmati di tutte le guerre, presenti le autorità civili e militari ed i rappresentanti delle Associazioni Combattentistiche e d'Arma, mentre il trombettiere del Complesso Bandistico "Città di Cremona" ha suonato "Il Silenzio". Don Achille Bolli ha poi impartito la benedizione.
Erano inoltre presenti alla cerimonia le massime autorità militari, gli assessori Rodolfo Bona e Santo Canale, il questore Ottavio Aragona, il consigliere regionale Marcello Ventura, il comandante della Polizia Locale Luca Iubini, la direttrice della Casa Circondariale Rossella Padula, i rappresentanti delle Associazioni Combattentistiche, d'Arma e dei Partigiani, tutte con i loro labari. Significativa la presenza delle allieve della classe II C, indirizzo indirizzo Design di Moda, dell'Istituto di Istruzione Superiore "A. Stradivari".
Dopo gli squilli di tromba, Tiziano Bellini, a nome dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, ha ricordato i giorni dell'esodo, l'arrivo in Italia e il successivo trasferimento a Cremona degli esuli Giuliano Dalmati che vennero accolti con grande spirito di solidarietà. Particolarmente toccante è stata la testimonianza portata dall'esule Mario Cosulich, nato 78 anni fa a Lussinpiccolo, che ha così voluto dare voce al dolore sofferto dai suoi genitori costretti ad abbandonare la lo terra di origine.
La cerimonia al Civico Cimitero si è conclusa con l'intervento del sindaco Virgilio: "Cari concittadini, autorità presenti e studenti, ci ritroviamo oggi per commemorare il Giorno del Ricordo, in cui onoriamo la memoria delle vittime delle foibe e dei 350.000 italiani costretti a lasciare l'Istria, la Dalmazia e la Venezia Giulia. È un dolore che appartiene a tutti noi, una ferita che attraversa ancora la nostra storia. La firma del trattato di pace del 10 febbraio 1947, che sancì la cessione di territori come Zara, Pola e Fiume alla Jugoslavia, pose molti italiani di quelle terre di fronte a una scelta impossibile: diventare cittadini di uno Stato che non sentivano come loro o abbandonare per sempre case, affetti e radici. Per molti, questa scelta significò l'esilio. Migliaia partirono, intere città si svuotarono, e chi giunse in Italia trovò spesso condizioni di accoglienza difficili, in un Paese ancora devastato dalla guerra.
Ma per comprendere davvero questa tragedia, non possiamo ignorare le responsabilità storiche che ne sono alla radice. Nei territori di confine, il regime fascista attuò dure politiche di italianizzazione forzata. Si proibì l'uso delle lingue slovena e croata, si chiusero scuole e amministrazioni locali, vennero boicottati persino i culti religiosi, e ai cittadini fu imposto di italianizzare i cognomi e i toponimi. Queste politiche erano parte di un progetto di distruzione dell'identità nazionale e culturale delle minoranze, una forma di sopraffazione che alimentò profondi rancori e conflitti interetnici.
Tuttavia, anche dopo la caduta del fascismo, le violenze non cessarono. Il regime comunista jugoslavo di Tito, nell'immediato dopoguerra, avviò una dura campagna repressiva contro le comunità italiane che vivevano nei territori annessi. Queste violenze, che culminarono negli eccidi delle foibe, furono dettate da ragioni ideologiche, politiche e nazionaliste. La strategia di Tito puntava a consolidare il controllo della Jugoslavia su quelle terre e a punire chiunque fosse percepito come ostile al nuovo ordine socialista, in particolare gli italiani, visti spesso come eredi delle politiche fasciste.
Il dramma delle foibe e l'esodo giuliano-dalmata non possono essere compresi senza analizzare le responsabilità del regime comunista, che sfruttò le tensioni etniche e le spinse a livelli estremi. Non vi fu solo il desiderio di vendetta per le sofferenze inflitte dal fascismo, ma anche un preciso progetto di annientamento di ogni opposizione, attraverso un sistema di persecuzioni, deportazioni, processi sommari e omicidi. A ciò si aggiunse una politica di espropriazione e repressione delle comunità italiane, che vennero progressivamente espulse o costrette a fuggire.
Le foibe, dunque, non sono un evento isolato: sono parte di un processo di lacerazioni politiche, militari e sociali durato decenni. Questo non attenua il dramma delle vittime italiane né la sofferenza di chi fu costretto all'esilio, ma ci insegna che le politiche di sopraffazione e intolleranza, da qualunque parte provengano, generano inevitabilmente odio e vendetta, innescando catene di violenza che colpiscono tutti. Le foibe, voragini naturali che divennero luoghi di morte e oblio, sono oggi simbolo di una violenza che non deve ripetersi. Come scrive Carlo Sgorlon in La foiba grande: 'Le foibe erano un luogo dove la storia aveva perso la sua umanità, un abisso che divorava uomini e speranze, lasciando dietro di sé un silenzio che gridava vendetta'. Quel silenzio non deve cadere nell'oblio.
Per riflettere su questi eventi, ricordiamo le parole di Marc Bloch, grande storico del Novecento, che paragonava la storia a un violino. Per suonarlo non basta conoscere la tecnica o la materia: serve anche orecchio, tatto, umanità. Allo stesso modo, capire il passato non significa solo raccogliere fatti, ma saperne cogliere la complessità e le emozioni che esso porta con sé. È con questa consapevolezza che dobbiamo avvicinarci alla memoria delle foibe e dell'esodo, riconoscendo le sofferenze di tutti i popoli coinvolti.
Cremona, in quegli anni difficili, fece la sua parte per accogliere chi aveva perso tutto. La nostra città, nonostante le ferite della guerra, aprì le porte a migliaia di profughi giuliani, istriani e dalmati. Il primo centro di raccolta venne allestito presso l'asilo Martini, poi nella caserma Lamarmora e nell'ex convento di Santa Chiara. Le condizioni erano precarie: famiglie intere vivevano in spazi ricavati con compensati o coperte appese. Ma da quelle situazioni di emergenza, per molti, la vita ricominciò. Circa un migliaio di esuli si fermarono definitivamente a Cremona, integrandosi nel tessuto sociale e dando vita a una comunità vivace, soprattutto nel quartiere di Borgo Loreto, dove vennero costruite case apposite. Ancora oggi, in quel quartiere, si percepisce il legame con quelle terre d'origine.
Non possiamo dimenticare queste storie. Non possiamo ignorare i parallelismi con le tragedie del presente. Pensiamo ai conflitti attuali, come quello in Ucraina, e alle migliaia di profughi costretti a fuggire dalle loro case. Pensiamo anche alle crisi che colpiscono l'Africa e il Medio Oriente, dove guerre, persecuzioni e cambiamenti climatici spingono intere popolazioni a cercare rifugio altrove. Anche oggi, purtroppo, troviamo muri e diffidenze, invece di solidarietà e accoglienza.
Il ricordo delle foibe e dell'esodo ci insegna che dietro ogni profugo c'è una storia di dolore e speranza. Come istituzioni e cittadini, abbiamo il dovere di opporci all'odio e all'intolleranza, di lavorare per una società inclusiva e solidale. Cremona ha già dimostrato in passato di sapere accogliere e oggi deve continuare su questa strada. La memoria non è solo un atto di giustizia verso il passato, ma un investimento sul futuro.
Come diceva Primo Levi: 'Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario'. Dobbiamo educare le nuove generazioni al rispetto delle differenze e alla responsabilità civica. Dobbiamo raccontare queste storie, non per alimentare divisioni, ma per rafforzare i valori di pace e giustizia.
Cari concittadini, mentre ricordiamo le vittime delle foibe e gli esuli giuliano-dalmati, facciamo una promessa: non dimenticheremo. Costruiremo un futuro in cui nessuno debba più subire violenze o discriminazioni per la sua identità o le sue origini. Facciamolo per loro, per noi stessi e per i nostri figli.
Grazie. Facciamo della memoria il motore del cambiamento".
Per l'occasione, come disposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio del Cerimoniale di Stato, bandiere a mezz'asta esposte su tutte le sedi comunali.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti