11 febbraio 2022

Giovanni Croci e il suo porto sul Po. Noci, polenta e formaggi sempre pronti per i poveri. Dopo 113 anni la corona conservata a Castelvetro

«Scusi, secondo lei, se raccogliessimo un po’ di queste fave, il padrone del campo si arrabbierebbe?». «Non preoccupatevi, glielo dirò io e non si arrabbierà». Immaginatevi questa discussione, in schietto dialetto della Bassa, fra i poveretti in cerca di cibo e il ricco possidente Giovanni Croci di Croce Santo Spirito, padrone del campo di fave che, tra l’altro, destinava proprio a queste raccolte “non autorizzate”.

Nasce nel 1817 Giovanni, da Antonio, già affermato uomo d’affari e imprenditore innovativo per l’epoca, con i suoi mulini natanti (i famosi e bacchelliani “mulini del Po”) e il contratto per il “porto” da Mezzano Chitantolo a Cremona, proprio attraverso il Grande Fiume, non ancora servito da un ponte. Nel 1830 Antonio Croci fa costruire un mulino nuovo, per ampliare i propri affari e, secondo l’ufficio delle imposte, macina nei suoi palmenti 700 quintali di grano, circa 600 di granturco e mille di “altri cereali e castagne”.

Nell’impresa di famiglia entra il figlio Giovanni, già da ragazzo, dimostrando un’indole coraggiosa e una visione imprenditoriale davvero moderna, oltre che un’attenzione, ereditata dal padre, per i meno fortunati, i poveri, numerosissimi in quegli anni. Nel 1848 Giovanni Croci è un trentenne fervente patriota, nemico giurato, assieme al padre, dell’invasore austriaco, tanto che è costretto a fuggire per potersi sottrarre alle rappresaglie, mentre il padre continua a occuparsi degli affari di famiglia, facendo costruire, nel 1856, un altro mulino o, meglio, una “mulinazza”, cioè una macchina con due palmenti.

Arriva il 1861, con l’Unità d’Italia e, mentre l’anno dopo Antonio Croci, quasi ottantenne, con il suo porto traghetta Garibaldi da Cremona a Castelvetro Piacentino, il figlio Giovanni, sposato con Luigia Capuzzi, rinnova assieme al padre il contratto per il “porto” sul Po, con la società del futuro ponte di barche e non smette di pensare ai poveri del suo paese, Croce Santo Spirito.

Di fianco al nuovo portone che aveva costruito per l’ingresso a casa sua, quasi di fronte alla chiesa parrocchiale dedicata allo Spirito Santo, fa collocare all’inizio della stagione fredda, due mucchi di noci, affinché i bisognosi potessero prenderne a volontà e non solo, alle tre figlie Clementina, Giulia e Orsola Barbara fa preparare, nel grande camino della sala d’ingresso, ogni giorno una sostanziosa polenta. Le ragazze, quindi, uscivano sul portone e invitavano i poveri venuti a pigliare le noci ad accomodarsi, per ricevere la polenta, accompagnata da burro e formaggio, provenienti dalle aziende agricole del padre.

Muore nel 1889, il 26 gennaio, Giovanni Croci, lasciando alle tre figlie un patrimonio di oltre 150mila lire di allora: una cifra assolutamente considerevole. Patrimonio costituito da poderi, case, terreni, una fornace e i due mulini sul Po, di cui quello a due palmenti, costruito nel 1856, viene chiamato “Mulinazza garibaldina”. Alla sua morte i poveri che aveva aiutato in vita, vollero tributargli un ricordo e, in 159, offrirono, chi 5 centesimi, chi addirittura una lira, 36 lire e 75 centesimi che servirono a far realizzare una teca in ferro con all’interno una corona di fiori sempre in ferro battuto con un cartiglio che recita: «A Croci Giovanni i poveri della Croce al loro benefattore. 26 gennaio 1889». La corona, ancor oggi conservata nella cappella della famiglia Belli-Croci al cimitero di Castelvetro Piacentino, costò 34 lire, più una lira di spese e, così, avanzarono addirittura una lira e 75 centesimi. Dopo la scomparsa di Giovanni Croci, furono molte le testimonianze di affetto con celebrazione di messe, offerte all’asilo infantile della Croce e all’ospedale dei bambini di Cremona. La primogenita del Croci, Clementina, sposò il notaio Alessandro Belli, volontario garibaldino e padre di Pierina, la “serva di Dio” per la quale è in corso il processo di beatificazione e che raccolse, da par suo, il testimone di carità e di umanità del nonno Giovanni Croci.

 

Egidio Bandini


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commenti


Anna L. Maramotti

11 febbraio 2022 08:09

Mi chiedo: cosa direbbe oggi Giovanni Croci del progetto del Terzo Ponte"?
L'opera filantropica di Croci riguarda un passato, ma per taluni aspetti è più che mai attuale nel nostro mondo globalizzato. Le terre di Castelvetro sono funzionali all'agricoltura. Dai suoi prodotti riceviamo il sostentamento. Un grande grazie ad Egidio Bandini di averci riportato una testimonianza degna d'essere presa in grande considerazione.

Egidio Bandini

11 febbraio 2022 10:25

Gentilissima, grazie! A volte la memoria può suscitare idee nuove... chissà!