13 settembre 2024

Il 13 settembre si festeggia la memoria liturgica di Beato Orlando de’ Medici

Si celebra oggi, venerdì 13 settembre la memoria liturgica del beato Orlando (Rolando) dè Medici. Un grande asceta la cui esistenza terrena si è intrecciata, in modo particolare e singolare, con quella di un personaggio che ha scritto pagine importanti di storia cremonese: il carmelitano padre Domenico De Dominicis. 

Una storia che, per essere inquadrata, deve partire ad una manciata di chilometri dal Torrazzo, esattamente da Busseto (in passato appartenente alla Diocesi di Cremona) dove la piccola ma antica ed elegante   chiesa dedicata alla Santissima Trinità, posta in adiacenza all’Insigne chiesa collegiata di san Bartolomeo Apostolo in Busseto, conosciuta ai più per essere quella in cui il sommo musicista e compositore Giuseppe Verdi si unì in matrimonio, il 4 maggio 1836, con Margherita Barezzi, custodisce le spoglie del Beato Orlando (o Rolando) dè Medici, eremita che per ben 26 anni visse in mezzo ai boschi, nella zona compresa fra Tabiano e Salsomaggiore, soprattutto nella zona di Bargone, sui verdi colli della Val Stirone. La sua fu una vita di somma penitenza e profonda preghiera che venne alla luce proprio grazie a quanto, il beato, confidò al carmelitano cremonese Domenico De Dominicis.  Discendente della famiglia de’ Medici di Milano, all’età di circa 30 anni, nel 1360 il beato Orlando fu spinto dal desiderio di una vita dedicata alla fede e alla preghiera. Si ritirò così, a vivere da eremita nei boschi tra Tabiano e Salsomaggiore. Secondo quanto tramanda la storia, trascorse ventisei anni in continuo silenzio e privazioni, nutrendosi soltanto di ciò che il bosco gli offriva, mentre in inverno chiedeva a gesti qualcosa da mangiare. La maggioranza della gente lo considerava un folle, per questo non trovò mai la carità delle persone e, in non pochi casi, fu anche selvaggiamente picchiato. Si aggirava per i boschi con l’abito col quale diede inizio alla sua vita eremita, poi rattoppato con foglie e pezzi di legno, per poi infine vestire di una semplice pelle di capra. La sua fu una vita dedicata tutta alla preghiera e alla contemplazione: contemplava Dio nel creato e negli astri. Si dice che stava anche per parecchie ore a meditare, e a pregare, con le braccia alzate al Cielo, oppure unite a forma di croce sul petto, sorreggendosi soltanto su una gamba e fissando il sole e la luna nei quali vedeva il volto di Cristo che lo confortava per le sue penitenze. Perché, ci si chiede, si sorreggeva su una sola gamba (come viene sempre, del resto, raffigurato)? Per ulteriore spirito di penitenza e di sacrificio? Oppure per combattere le tentazioni del demonio? Ancora la storia ci ricorda che, sfinito dalle penitenze fu trovato quasi morto proprio nei pressi del castello di Bargone e venne quindi portato nella chiesa del maniero stesso dove sciolse il suo silenzio durante la visita del carmelitano Domenico de Dominicis di Cremona. Col monaco giustificò la sua impossibilità di riceve i Sacramenti durante la sua vita eremita, e li ricevette volentieri. Dopo un periodo di riposo, morì il 15 settembre 1386. Fu sepolto, però, non ne pressi di Bargone, ma a Busseto, nella chiesa appunto della Santissima Trinità. Fin dalla sua scomparsa il culto si diffuse ma la Chiesa riconobbe il culto, iscrivendolo tra i Beati, solo parecchi anni più tardi, vale a dire nel 1853, dopo un lungo processo di canonizzazione iniziato nel 1563. A Busseto esiste un interessante testo, “Il Beato Orlando dè Medici. Breve compendio di sua vita” della Tipografia G.Pennaroli (1886), che si riporta integralmente di seguito:

“Nell’anno 1360, epoca in cui, per intestine discordie, per stragi e tumulti, dilacerata, più che mai era questa nostra Penisola, apparve improvviso, nei dintorni di Bargone, Tabiano, Salso e Rivarola, terre circostanti alla citta di Borgo S. Donnino, un uomo di non ignobili sembianze coperto di nera lugubre veste, e riparatosi nelle boscaglie, che foltissime coprivano le valli ed i monti di que’ luoghi, pose in esse sua dimora.
Era costui Orlando de’ Medici.
Traeva Egli l’origine da famiglia di tale casato, illustre e nobilissima si per gesta, che per antichità, la. quale divisasi negli Stati di Milano e di Firenze, diè, a1primo un Console, all’altro molti Principi, ed alla Cattedra di S. Pietro quattro Pontefici, cioè Leone X. Clemente VII. Pio IV. e Leone XI. A qual ramo di questa famiglia appartenesse Orlando, se a quello che domimò in Firenze, od a quel che era in Milano non è concorde la sentenza degli Autori; nullameno è or ritenuta più verosimile l’opinione di quelli, che il dicono discendere da quel di Milano: il che eziandio rilevasi da un’ antichissima sua vita, da vetusti documenti e dalla costante tradizione.
Dell’anno in che nacque, dei Genitori suoi nulla ci é noto; e della sua giovinezza sol questo é certo, che fuggendo i tumulti della Città riparava alle Chiese, e trovava quivi ogni sua delizia nell’ assistere al S. Sacrificio della Messa e nell’ascoltare la Divina Parola, dalla quale apprese a temere della propria fragilità e debolezza, a paventare le pene dell’ Inferno, a pensare seriamente qual via gli convenisse seguire per assicurare l’affare più importante, quello dell’anima. Chiesto lume a Dio, da interna voce si sentì chiamato ad abbandonare la Patria, i Parenti, le ricchezze, il Mondo, e a vivere solitario in un Eremo. Obbediente alla Voce Divina si sottrasse alla casa paterna, e per occulte vie si ridusse nei luoghi sovraccennati.
Da quell’istante il novello Eremita si diede ad una straordinaria penitenza. Esposto alle intemperie delle stagioni non una volta riparò al coperto, fè suo cibo frutti silvestri, crude erbe, amare radici, e solo allora che le nevi coprendo i monti e le valli gli impedivano di poterne raccogliere, accostandosi ai vicini villaggi, mendicava a cenni il necessario sostentamento. Caduta a brani la veste che aveva, lorché fuggì dalla Casa Paterna, ad essa sostituì un’altra intessuta di giunchi, e paglie di cui andò coperto, finché trovata a caso una pelle di capra, questa indossò e portò fino alla morte.
La maggior parte del giorno e della notte Orlando trascorreva nell’orazione, né mai toglieva lo Spirito dalle cose celesti. Egli era solito meditare per lo spazio di cinque o sei ore continue colle braccia, od elevate al Cielo, o unite a mo’ di Croce sul petto, sostenendosi su d’un sol piede, e tenendo fiso lo sguardo nel Sole e nella Luna; innalzandosi per tal modo dalla bellezza di questi a contemplare la bellezza del lor Facitore. Ed era in questa contemplazione che spesse fiate veniva rapito in estasi, e vedeva nei due grandi luminari del firmamento la faccia di Gesù Cristo, che a Lui manifestavasi per confortarlo, come Orlando stesso depose poco prima della sua morte. Ricordevole della sentenza dello Spirito Santo = Non mancare la colpa nel molto parlare = s’impose per legge, il silenzio; e così l’osservò, che ne’ ventisei anni dell’ Eremitica sua vita non proferì una sola parola.
I rigori della vita penitente e contemplativa d’ Orlando, il ridussero a tale sfinimento di forze, che il fecero cadere in gravissima infermità, correndo l’anno 1386. In un luogo ingombro di bronchi e di sterpi, vicino ad una rupe scoscesa, steso sui nudi sassi, sotto il cielo aperto, se ne stava attendendo la morte lieto di morire siccome visse, ignoto e sconosciuto agli uomini. Ma quel Dio, che esalta gli umili, e si compiace glorificare i suoi servi, aveva altrimenti disposto, e voleva che fossero noti i meriti di Lui.
Trovavasi in quel tempo a Bargone la Marchesa Antonia Casati di Cortona moglie a Nicoló Pallavicino signore di quel Castello, colà ritiratasi per sottrarsi ai maligni influssi di un morbo, che disertava alcune città della Lombardia. Ora avvenne che recandosi Ella, secondo il: costume dei Signori e Nobili di quell’età a cacciare in que’ boschi, un suo famigliare s’internasse in essi, e giungesse fino al luogo ove trovavasi l’Infermo. Maravigliato nello scorgere quest’Uomo languente, reconne tosto novella alla Marchesa, la quale, saputo esser Egli quel penitente, di cui si alta suonava già nei dintorni la fama, corse colà, e lo richiese se volesse essere trasferito a Bargone, ove sarebbesi provveduto ai suoi bisogni. Non avuta nessuna risposta, 1a buona signora temé fosse per morire senza gli ultimi conforti della Religione, per cui di nuovo esortollo di recarsi a Bargone, ove Ella avrebbe chiamato, da Cremona il Padre Domenico dei Domenichi Carmelitano suo Confessore, uomo insigne per pietà e chiaro per dottrina, che fu poscia Vescovo di Sitia nella Grecia, il quale l’avrebbe confortato in quegli ultimi istanti. Alzò le mani al Cielo in così udire Orlando e piegando il capo mostrò aggradire l’offerta.
Non interpose dimora la Marchesa; ma tosto fatto ritorno al castello, spedì un messo a Cremona con lettera d’invito all’anzidetto P. Domenico, perché subito venisse a Bargone. Frattanto Orlando nella notte seguente récossi alla porta della Chiesa Parrocchiale di Bargone, nella quale entrò la mattina, e, rifiutato il letto offertogli dalla Signora, volle adagiarsi su poca paglia. Sparsasi una tal novella nelle vicinanze accorse numeroso il popolo desideroso di vedere Colui. del quale erasi fra loro da tempo divulgata la fama.
Giunto finalmente il Padre Domenico portossi alla chiesa: salutò affettuosamente Orlando, dichiarandogli in pari tempo, esser Egli mandato dalla Signora del luogo per conferire seco Lui delle cose dell’Anima. In udire tali parole Orlando fè cenno colla mano che, allontanata la moltitudine chiudesse la porta della Chiesa. Come ebbe ciò fatto il Padre Domenico si fece a persuaderlo, con testimonianze divine ed ecclesiastiche, dover Egli rompere finalmente il rigoroso silenzio che si era imposto; corrergli 1′ obbligazione in quegli estremi di aprire al Confessore la sua coscienza; molto piú, che, non ostante la severa penitenza cui si era assoggettato, poteva esser-caduto in qualche inganno; avvenendo talora che l′Angelo delle tenebre si trasformi in Angelo di luce.
Si arrese a queste considerazioni Orlando, e rotto il silenzio per 26 anni scrupolosamente serbato, espose al dotto Carmelitano; come Egli avesse intrapreso quel genere di vita mosso da ispirazione divina; e come da quel momento si abbandonava interamente alla sua direzione. Diessi quindi ad aprire la sua coscienza al Religioso, il quale poscia ebbe ad attestare che dopo severo e diligente esame aveva rinvenuto: Non essere Orlando durante la sua vita solitaria caduto in nessun peccato di pensieri, di parole, d’opere, e d’ommissioni. Confortatolo quindi cogli altri Sacramenti passò seco Lui i pochi giorni che ne precessero il transito in ragionamenti delle cose celesti. Accostandosi l’ultima sua ora Orlando fece palese al P. Domenico che era giunto 1′istante, nel quale dovea unirsi al suo Dio, poiché vedeva l’ Arcangelo Michele, circondato da altri Spiriti Celesti, tenere una Sindone candida in atto d’accogliere l’ anima sua.
Morì Orlando pieno di virtù e di meriti nel giorno 15 Settembre 1386; ed appena spirata l’Anima Beata volle Iddio attestare la santita’ del suo Servo operando un prodigio. Le campane della Chiesa senza concorso umano suonarono, ed a questo suono trassero numerosi gli abitanti di quei luoghi a venerar quelle spoglie e riportarne segnalatissime grazie. Reso, consapevole dalla moglie di tutto che era avvenuto il Marchese Nicolò Pallavicino, recossi a Bargone, e quivi uniti molti chierici e laici fece trasportare le spoglie del Beato con solenne pompa a questa città Capo luogo del suo Stato; e quivi ordinò venisse onorevolmente sepolto nell’ Oratorio di S. Nicolò, che trovasi presso l’Insigne Collegiata, e Parrocchia Chiesa di S Bartolomeo, Oratorio che poscia venne chiamato del Beato Orlando, ed ora è dedicato alla Santissima Trinità.
Ma altri non pochi miracoli Iddio operò che viemeglio illustrarono la fama di Santità del Beato Orlando, il cui patrocinio, nei cinque secoli ormai decorsi dalla sua preziosa morte fu specialmente sperimentato efficacissimo a sanare i suoi devoti da inveterati mali di capo.
Il culto. di questo Beato, che i Bussetani si gloriano di annoverare fra i loro speciali celesti patroni, e del quale il sacro corpo si conserva in ricca marmorea urna sotto l'altare maggiore del sunnominato Oratorio, venne formalmente approvato o confermato da S. S. Papa Pio IX il 22 Settembre 1853, e, se ne celebra la festa in questa città e in tutta la Diocesi di Borgo S. Donnino il 13 Settembre d’ogni anno”.

Nella chiesa bussetana della Santissima Trinità, le spoglie si trovano dietro l’altare maggiore. Il sepolcro porta una lastra in marmo bianco, voluta da Gian Lodovido Pallavicino nel 1464, in cui spicca un bassorilievo che vede raffigurato il beato, in estasi, e la leggenda “Beatus Rolandus de Medicis”, con lo stemma dei Pallavicino e le iniziali di Gian Lodovico. Una reliquia, quella del Beato Orlando, di inestimabile valore. La testimonianza della presenza di una persona che, un po’ sullo stile di san Francesco d’Assisi, ha vissuto nella povertà ed ha avuto, col Divino, un dialogo continuo e misterioso.

Per quanto riguarda la figura di Domenico de Dominicis (Domenico da Cremona), come si legge anche sul sito della Treccani, nacque probabilmente a Cremona, nella prima metà del sec. XIV.  Deve probabilmente identificarsi con il "Dominicus de Cremona, alias de Dominicis, natione Langobardus, patria Cremonensi, carmelita in suo instituto celebris", di cui si parla nella Bibliotheca carmelitana del 1752.

Le prime notizie che riguardano D. risalgono a un periodo compreso fra il 1369 ed il 1372 e si riferiscono alla sua attività in seno all'ordine carmelitano a Montpellier, Tolosa ed Aix. Nel 1381, nei capitoli generali di Vienne, fu nominato "diffinitor provinciae Lombardiae", insignito del titolo di "magister" ed eletto "provincialis" per la Provenza. Da questo momento legò il suo nome alla storia dei rapporti della Repubblica di Genova con Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde, mediatore della pace di Torino, che pose fine alla guerra di Chioggia fra Genova e Venezia nell'agosto del 1381.Il successivo 7 novembre fu firmato fra Amedeo VI e la Repubblica genovese un trattato segreto di difesa reciproca contro qualsiasi nemico, fatta eccezione per il papa e l'imperatore. Fu, a quanto sembra, in quella occasione che si formò a Genova un partito segreto, diretto da Nicolò Fieschi, conte di Lavagna, il quale, con il pretesto di porre rimedio alla precaria situazione della città, teatro di lotte intestine, si fece sostenitore della dedizione di Genova al principe sabaudo. I primi contatti con Amedeo VI in tale senso furono forse presi dal figlio di Nicolò, Giovanni Fieschi, proprio durante le trattative per la sopra citata alleanza o subito dopo, sotto la copertura di reclami territoriali e pecuniari, indirizzati al Conte da parte di Nicolò. Li prosegui, nella primavera del 1382, D., il quale, secondo l'interpretazione di E. jarry, grazie "alla felice combinazione di una missione segreta e di richieste dichiarate", ebbe "non soltanto il caloroso appoggio dei Genovesi che condividevano le sue speranze, ma anche lettere di raccomandazione del doge e degli Anziani, tratti in inganno dallo scopo apparente dell'ambasciata".

Infine, per quanto riguarda la chiesa della Santissima Trinità, luogo dove il beato riposa e dove si conserva anche una bella statua dello stesso, anche qui i legami cremonesi non mancano. C’è l’altare maggiore in marmi policromi, riconsacrato (dopo che era stato violato da mano ignota) dal vescovo cremonese monsignor Antonio Novasconi il 24 ottobre 1861. Ma c’è, soprattutto, la pala dell’altare maggiore, la “Crocifissione con Dio Padre e le sante Apollonia e Lucia” del pittore cremonese Vincenzo Campi {1579) di cui si parlerà il 21 novembre prossimo nell’ambito degli eventi legati al Giubileo straordinario concesso in occasione del Quinto Centenario della Croce processionale, opera dei fratelli Jacopo Filippo e Damiano De Gonzate (1524) che è tra le massime realizzazioni dell’oreficeria italiana del primo Rinascimento e costituisce uno degli arredi sacri più preziosi del tesoro della chiesa collegiata. Il prossimo 21 novembre proprio  nell’Oratorio della Santissima Trinità si terrà la presentazione del dipinto “Crocifissione con Dio Padre e le sante Apollonia e Lucia” di Vincenzo Campi {1579), pala d’altare esposta nell’Oratorio stesso, a cura di Alessandra Mordacci e, a seguire, si terrà un concerto di Alessandra Vavasori, organista e mezzosoprano, con brani sul tema della Croce, tra cui la <Canzonetta spirituale sopra alla nanna> del compositore bussetano Tarquinio Merula (Busseto, 24 novembre 1595 – Cremona, 10 dicembre 1665), organista, violinista e maestro di cappella del re di Polonia. In occasione della festa di santa Cecilia, patrona della musica e dei musicisti, e dell’anniversario di Tarquinio Merula.

Eremita del Po

Paolo Panni


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