24 gennaio 2025

Il Cristo di Scandolara Ravara: il Medioevo Cremonese nel Museo Diocesano. La storia della sua scoperta casuale. Un'opera d'arte straordinaria

Tra i tesori più preziosi della storia delle comunità rurali cremonesi nel Medioevo, il nuovo e moderno Museo Diocesano creato nel seminterrato del palazzo Vescovile di Cremona, custodisce lo splendido Cristo di Scandolara Ravara. Nonostante sulla targa che accompagna l'opera sia citata come provenienza la Chiesa 'nuova' di Scandolara edificata a fine Seicento e gli inizi del Settecento, il Cristo è stato per secoli nella 'Chiesa vecchia', cara a tutti i rivieraschi, posta lungo un antico argine o terrapieno come suggerisce la sua posizione sopraelevata, lungo un antico corso del Po. La scultura lignea del XII secolo, è miracolosamente giunta sino a noi grazie alle intemperanze di due giovani seminaristi scandolaresi, tra cui Don Peternazzi, parroco di San Martino del Lago, recentemente scomparso dopo una vita passata nelle missioni. I due giovani, originari del paese, negli anni Cinquanta per osservare da vicino i curiosi affreschi della antica Chiesa, si arrampicarono sulla vecchia bigoncia del portale, un catafalco ligneo utilizzato da ingresso dell'edificio, dove trovarono abbandonato e appoggiato da un lato il crocifisso. Nessuno di loro, quando diedero la notizia del ritrovamento allo 'storico' parroco Don Veronesi, per 40 anni a Scandolara, avrebbe mai immaginato che il crocefisso fosse un 'pezzo' di storia della 'Gèsa Vècia' che aveva viaggiato nel tempo quasi indenne ben 800 anni per raccontarci le sue, ovvero le nostre origini. Non è un caso che dallo stesso luogo che in epoca romana sorgeva sulla 'Postumia degli Argini' via che collegava Cremona a Brixellum (Brescello), ci sia pervenuto un altro importante elemento della nostra storia, questo antico di oltre 1900 anni, l'Ara romana in pietra di Ilumvio (https://it.wikipedia.org/wiki/Scandolara_Ravara), non è chiaro se fosse un cippo funerario o un altare per i sacrifici, 'riscoperta' da chi scrive nel 2004 nel cortile del Museo Archeologico di Milano.

Il Cristo di Scandolara è un'opera artistica che, nella sua pur semplice e in alcuni tratti rozza realizzazione, è carica di significati simbolici. La figura smagrita del Cristo in croce, l'umanità che traspare dalle fattezze del corpo, la sofferenza del volto con quelle labbra così secche che sembrano quasi implorare dell'acqua da bere, ci conducono nel pieno della temperie del medioevo lombardo con una forza superiore a qualsiasi descrizione letteraria, a qualsiasi spiegazione accademica. La storia cremonese, quella più rude e sanguigna, quella degli ultimi, emerge qui con tutta la sua forza evocativa in tratti di un realismo quasi senza paragoni per l'arte cremonese, suggerendo una chiave di lettura a metà tra arte e storia suggerita dalla grande professoressa Ardea Ebani, prima conservatrice del Museo Civico Ala Ponzone scomparsa nello scorso decennio. Lì in quel volto emaciato, in quella bocca che sembra sdentata di un giovane invecchiato precocemente, potevano riconoscersi i contadini sfiancati dal duro lavoro della terra, sempre minacciati dalle esondazioni del fiume con le sue alluvioni distruttrici e portatrici di carestia, trovando un conforto, un loro simile che si stagliava nel buio misterioso del sacello campestre. La semplice veste, le costole in evidenza, la fragilità del figlio di Dio, tutto rimanda a una raffigurazione del Cristo vivo, presente, completamente diverso dalla figura eterea e quasi standardizzata propria delle età immediatamente successive. Un aspetto ancor più entusiasmante se si pensi che di legno erano fatte più del 70% delle sculture e degli oggetti sacri in uso nel Medioevo, specie nelle chiese di campagna, purtroppo irrimediabilmente perdute. Come di legno erano case e suppellettili, cucchiai e scodelle, secchi, la maggior parte degli strumenti della vita contadina. Giorgio Milanesi nel 2010 nell'ambito di una pubblicazione rinvenibile in www.ricerchedisconfine.info, ha posto in dubbio alcune supposizioni del Voltini autore nel 1991 di una pubblicazione scientifica del manufatto in occasione di una mostra sull'arte romanica ai tempi di Wiligelmo e Matilde di Canossa ospitata a Mantova. In particolare il crocifisso, secondo l'autore non sarebbe da collocare nelle opere di tradizione germanica così ricca di crocifissi legati allo stesso soggetto, rinvenibili in alcune sculture del trentino (crocefisso di San Candido e di Bolzano) e della Baviera ma piuttosto nella tradizione della Francia settentrionale. Grazie a una serie di paragoni, analizzando l'aspetto della barba ad esempio e i tratti del viso, l'autore pone il crocefisso in dialogo con l'opera del sommo scultore Wiligelmo che sappiamo essere stato sicuramente attivo a Cremona insieme al suo gruppo di lavoro, e di cui nel museo è presente una parte di telamone proveniente dai tanti 'pezzi' scultorei afferenti alla prima cattedrale distrutta da un terremoto nel XII secolo. Della cattedrale perduta restano molte vestigia. Sia nella parte posteriore del Duomo, dove Ugo Gualazzini e Ardea Ebani hanno ipotizzato essere presente l'antica porta rivolta a oriente, così come nel piano interrato del Torrazzo di cui resta visibile da un vetro, un antica finestra in pietra abbellita da colonne ed altri elementi architettonici del medesimo periodo.

Il Crocefisso e la sua potenza evocativa ci mettono in contatto con un mondo lontano che credevamo definitivamente scomparso: i secoli della nascita del libero comune di Cremona e del suo rapporto con gli imperatori germani, Federico Barbarossa in primis che ha restaurato la Chiesa vecchia nel corso del suo lungo rapporto coi cremonesi. Un passato remoto che riemerge in molti ambiti, archeologici, linguistici, storici, culinari e anche sociali della cultura cremonese, in diversi scorci e studi sulla città, a testimoniare la natura e le fondamenta più profonde delle nostre tradizioni. Il Cristo di Scandolara ci guarda così come guardava i nostri antenati, lasciandoci pieni di dubbi sui luoghi comuni che spesso vengono riferiti al Medioevo, mettendoci in connessione con un mondo tanto lontano quanto vicino per chi sappia guardarlo con i suoi occhi, tra le pieghe del suo povero saio attorcigliato al ventre, in quel volto così vivo ed espressivo per chi sappia riconoscerne i significati.

Stefo Mansi


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commenti


Michele de Crecchio

26 gennaio 2025 15:04

E' decisamente straordinaria, per la drammatica capacità espressiva che la caratterizza, questa antica statua in legno, da secoli ospitata nella cosiddetta "chiesa vecchia" di Scandolara Ravara e credo recentemente trasferita nel Museo Diocesano di Cremona. Mi auguro che il grave danno arrecato alla "chiesa vecchia" sia stato, almeno in parte, "risarcito" collocando in tale edificio una copia, ben fatta, della statua originale.
Se la memoria non mi inganna, nello straordinario film "Il mestiere delle armi", realizzato anni or sono da Ermanno Olmi, un gruppo di lanzichecchi sbandati, non esitava, per difendersi dal freddo notturno, a bruciare gli arredi in legno della chiesa nelle quale si erano rifugiati. Tra questi arredi il film evidenziava come, per alimentare l'improvvisato falò, i lanzichenecchi avessero sacrificato anche un Cristo ligneo le fattezze del quale mi ricordarono proprio quelle del Cristo di Scandolara Ravara. Qualcuno mi disse allora che il drammatico episodio, una delle parti meglio riuscite di quello straordinario film, era stato suggerito ad Olmi da qualcosa di simile accaduta durante l'ultima guerra. Sarei lieto se qualche lettore, meglio informato di me, potesse confermare o meno, questo mio non sicuro ricordo, forse frutto solo della sincera emozione che pochi fotogrammi di quello straordinario film mi avevano provocato. Grazie.