30 maggio 2021

Il diario di Luigi Cappellini, partito da Casalbuttano per il Brasile. Il lungo viaggio, il duro lavoro. 100 anni dopo una strada in suo nome

Ore 9. Un vecchio fazenderos, appena entrato si avvicina a noi e ci domanda: italiani? Lombardi? Si rispondeva: cremonesi tutti. Si? Ebbene volete venire con me? Sappiate che nella mia fazenda ho molti cremonesi fra i quali: Caramatti, Bosi, Nolli, Capellini Pietro, Zaniboni ed altri. Io cerco appunto i cremonesi perché è gente che lavorano molto e come loro stanno bene, voi anche, voi sarete dei fortunati. la mia fazenda è vicina a S. Paulo.

Luigi Capellini ha 17 anni il 3 novembre 1897, arriva dalla nebbia di Casalbuttano al sole scorticante di Campinas, in Brasile. Arriva con tutta la famiglia e con altre famiglie del paese, sono i Ruggeri i Valerani e i Fanni, tutti hanno lasciato un mese prima la Torre della Norma per l'immenso centro di contrattazione dei braccianti nel sud del Brasile. Quindici compresi i piccini che piangono per la fame, alcuni piangono per altri motivi. Altri osservano quella marea di gente da tutta Europa ordinatamente disposta dentro un hangar enorme, loro dovranno sopperire alla crescente richiesta di lavoro nelle fazende. Strappare la terra alla foresta e renderla produttiva sarà il loro lavoro, lavoro che però non funziona come ai tempi in Italia, le famiglie accettano l'offerta di qualche fazenderos ma viene stilato e depositato un regolare contratto a tutela dei braccianti, il contratto fa fede alla richiesta di espatrio fatta dall'Italia con destinazione finale già decisa.

Chi sa leggere e scrivere è avvantaggiato, ma solo da quel momento.

Luigi è l'unico della famiglia in grado di farlo, pur senza avere nulla da mangiare a Casalbuttano è stato in grado di ottenere la licenza elementare. Bravo Luigi, sarà questo il valore aggiunto nel nuovo mondo che aspettava lui e la sua famiglia.

A Casalbuttano viveva nella miseria di fine XIX secolo, “il babbo a fare il bifolco prendeva ora 120 all’anno, 24 decalitri di frumento, 24 di granoturco e 250 fascine, poche gallette. Arrivò anche la moria delle galline” scrive Luigi nel suo diario. Da qui la scelta, drammatica ma ragionata, di andarsene. Si liquidano i pochi averi e si pagano i debiti, il babbo Giovanni non vuole partire lasciando pendenze. 60 lire per 33 ore di lavoro, 150 vanno al salumiere sig. Seniga di Casalbuttano che per fortuna si era fatto carico di fare credito alla famiglia. Masserizie e legname valgono 350 lire, da far bastare per tutto il viaggio. Sono felici, il cambiamento è necessario, la cugina Maddalena è la più triste di tutti perché dovrà restare a Cremona con il nonno, Luigi trova un lapis e qualche centesimo per il notes sul quale racconterà questo radicale cambiamento che segnerà la sua vita. Il viaggio è pesantissimo già solo per arrivare alla stazione di Cremona destinazione Genova, poco cibo e si dorme nelle stalle per affrontare a piedi i primi 18 chilometri.

Da quel momento il gruppo cremonese si fa più grosso, si aggiungono i Manfredini di Scandolara e da Polengo i Ferrari con i Degani e i Castellini. Luigi è dovuto crescere alla svelta, perché la fame, il lavoro e la famiglia che si allarga ti fanno crescere per forza. Sa bene che forse sarà l'ultima volta in cui potrà vedere in lontananza il Torrazzo, ma la tristezza di un addio non ha la stessa forza di una vita senza un futuro. Osserva il babbo, a cui vuole un bene dell'anima, mentre da anni cerca di dare un minimo di sopravvivenza alla famiglia, piatti vuoti, mani callose e occhi gonfi di lacrime sono le immagini della disperazione italiana di fine '800, disperazione che sembra non essere mai sparita del tutto nei secoli successivi.

Il racconto di Luigi è straordinario e commovente. La cronaca del suo viaggio è quella di un ragazzo che si emoziona alla vista del mare o di una nave la Manilla per l'attraversata, Genova per lui è un mondo nuovo e diverso, incredibile da un certo punto di vista, ciò che conosce di quel microcosmo che lo circonda è scandito dai lustri passati con suo padre a cercare una cascina nel cremonese che garantisse una minima sopravvivenza al nucleo familiare. In Sud America cercano manodopera ma che sia di nome e di fatto, come gli viene spiegato dal responsabile dell'emigrazione a Genova. Presentati sempre e comunque come contadino all'ufficio immigrazione durante le pratiche per l'ingresso nel paese gli viene ripetuto all'infinito. Saper scrivere e leggere, all'arrivo in Brasile, non è un vantaggio anzi, è peggiorativo della tua condizione, laggiù non cercano chi conosce, ma chi sa lavorare la terra. Quando avrai il contratto di lavoro in mano potrai tranquillamente sfruttare la tua alfabetizzazione, non farti ingannare dai fazenderos, cerca un posto di lavoro in una fazenda vicino alla città o finirai in zone talmente desolate da fare tristezza.

I Capellini e gli altri cremonesi finiranno in una fazenda nei dintorni di Campinas, a pochi chilometri da San Paolo, nel suo racconto, un vero e proprio tributo a quella scelta senza alternative, Luigi descrive l'enorme impatto, ma anche la freddezza, di un paese che si stava espandendo non solo a livello geografico.

Babbo Giovanni è stanco di cercare di comprendere il portoghese e chiede a Luigi di prendere le redini della famiglia, sai leggere e capire questa lingua dirà al figlio già sul carro che, il 4 novembre, li porta per la prima volta verso la fazenda, prenderai tu le decisioni per noi. In quella fazenda tra i campi di canna da zucchero e piantagioni di caffè lavoravano circa 150 persone tra italiani, alemanni e francesi, convivenza difficile, sole che spacca la testa e malattie esotiche dal nome quasi impronunciabile. La vista mozzafiato delle colline si affiancava ad un lavoro pesante ma, almeno, gratificante per lo stomaco come non lo era mai stato per Luigi e la sua famiglia negli ultimi 17 anni.

Pochi mesi dopo il suo arrivo Luigi diventerà il nuovo direttore della struttura grazie al suo lavoro onesto e meticoloso, dovrà gestire i braccianti ma potrà avere quelle soddisfazioni che non riusciva a trovare nel cremonese, come un cavallo e un fucile per andare a caccia sulle colline verdi come lo smeraldo.

Oggi l'aerea di Campinas ha quasi 3 milioni di persone, in città il cognome Capellini è quasi un marchio storico tra aziende, negozi ed addirittura con una strada dedicata, forse, agli eredi di quel Luigi che, senza aver visto il mondo, seppe descriverlo in maniera eccelsa in questo suo diario. 

Marco Bragazzi


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