Il Santo dei paria. È in corso la beatificazione di Padre Silvio Pasquali, nato nella Cascina Cambonino e missionario in India
Fino a qualche decennio fa, padre Pasquali era pressoché sconosciuto a Cremona. Ci sono solo un paio di articoli l’anno dopo la sua morte, nel ’24: (la sua storia in India, a cura di Isidoro Pagani, in “Le Missioni Cattoliche”; il ricordo del suo primo parroco, a Genivolta). A parte alcuni occasionali riferimenti, bisogna aspettare il 1981 per ritrovare, nel libro “Cremona missionaria”, notizie di padre Pasquali.
-Chiediamo a Mauro Barchielli che ha studiato a fondo la presenza di questa figura nella realtà cremonese degli ultimi decenni dell’Ottocento, come nacque e crebbe un vera attenzione per la sua straordinaria missione?
"Importante per la riscoperta di questa figura a Cremona, negli anni Novanta del secolo scorso, è stato don Pierluigi Pizzamiglio che, in una lettera all’amico fraterno don Mario Binotto, parroco della chiesa di San Giuseppe al Cambonino, annuncia di aver trovato nel gennaio 1991, ad Eluru, nello stato indiano dell’Andhra Pradesh, la tomba di un missionario cremonese “che ha lavorato ed è morto in India in odore di santità… si tratta di P. Silvio Pasquali… un uomo estremamente mite, ma nel contempo capace di trasformare le situazioni in profondità. Ma il bello è che questo piccolo/grande missionario… è nato nella cascina Cambonino… Una bellissima figura, non ti pare? E per di più tale da illuminare le radici storiche della tua stessa parrocchia”. Don Pizzamiglio, poi, a Eluru, in una piccola chiesa, ai piedi dell’altare maggiore trova una lapide di marmo a segno della sua sepoltura e una iscrizione: “Padre Silvio Pasquali nato il 6.4.1864; ordinato sacerdote il 17.12.1887; giunto in India l’ottobre 1897; morto il 7.7.1924.” Alcuni versetti biblici commentano la sua opera. Essa, dopo 70 anni, è sede di tanti pellegrinaggi. In molti, da Eluru e anche da più lontano, vengono a visitarla, pregando e spargendo fiori e vi accendendo lumi secondo l’usanza locale. Molti i segni di grazia ricevuti, così come sono i bambini che i genitori fanno battezzare col nome di Pasquale.
Don Mario, da sempre interessato alle missioni e sensibile all’impegno sociale, si entusiasma per questa scoperta e si adopera affinché la si approfondisca; inoltre incarica il sottoscritto di far conoscere la vita di questo missionario, cosa che inizialmente faccio trasferendo in un ciclostilato il riassunto della sua biografia recuperata presso il Pime (Pontificio Istituto per le Missioni Estere). Qualche tempo dopo, in collaborazione con il Centro missionario del Seminario, la parrocchia organizza una mostra di documenti e oggetti relativi a padre Pasquali e alle missioni.
Nel frattempo, a livello diocesano, Giovanna Gregori Maris illustra con efficacia, a puntate su “La vita cattolica”, la storia di padre Pasquali in India (“L’amico dei Paria. La vicenda di un missionario cremonese, nato al Cambonino e morto in India, dove è venerato come santo.”). Da parte mia, decido di studiare più a fondo la figura e le opere di questo personaggio, con particolare riguardo al suo ministero nella nostra diocesi. Ne scaturisce un lungo saggio (“Gli anni del ministero di padre Pasquali prima della partenza per l’India”, Bollettino Storico Cremonese, 2013-2014)".
-Oltre alla proficua esperienza del tuo bellissimo saggio, ce n’è un’altra che sicuramente vorrai illustrare: la tua presenza, a rappresentare con il parroco don Alberto Martinelli, la comunità dei credenti del Cambonino, nella delegazione diocesana, guidata dal vescovo Dante Lafranconi, in India per i festeggiamenti dei 150 anni dalla nascita di padre Pasquali e i 100 della fondazione della Congregazione di suore da lui fondata.
"Da quell’occasione ho ricevuto un enorme impatto emotivo e spirituale. Come premessa voglio prima ricordare che questa Congregazione in India conta più di quattrocento suore che lavorano in oltre sessanta centri, alcuni di notevole importanza. Da qui il ritmo incalzante che ha caratterizzato ogni giorno di presenza in quel paese. Se tra i vari momenti vissuti non posso dimenticare la principale celebrazione religiosa, svoltasi alla presenza del card. Toppo, di sedici vescovi, di quattrocento sacerdoti e di un migliaio di fedeli, ciò che più mi ha colpito è stato il patrimonio spirituale lasciato in eredità da padre Silvio, a partire dal servizio educativo e di sostegno sociale portato avanti dalle suore della Congregazione da lui creata. Così siamo stati Atmakur, città dello stato dell’Andhra Pradesh; qui le suore gestiscono un grande complesso scolastico con oltre 2.500 studenti, dall'asilo alla scuola superiore. Un altro importante complesso visitato è stato quello di Nalgonda, capoluogo dell’omonimo distretto, dove studiano 3.300 tra bambini e ragazzi, diversi dei quali sono ospiti del convitto gestito sempre dalle suore. Va rilevato che quelli cristiani sono in netta minoranza, mentre in stragrande maggioranza sono musulmani e soprattutto indù. Nello spirito e sull’esempio di padre Pasquali, mi diceva una suora: “la nostra è soprattutto un'opera di promozione umana, perché non ci è possibile annunciare il Vangelo durante le ore scolastiche. Puntiamo sulla testimonianza, sul nostro essere vicini al prossimo.”
Avendo studiato la storia umana e sacerdotale di Padre Silvio, ho avuto la prova della grande coerenza e saldezza dei suoi principi morali e spirituali, nonché dei suoi modi di esplicarli in contesti culturali e sociali tra loro molto. Ma questa saldezza, che poteva trasformarlo in un uomo duro, era unita a mitezza e bontà che affascinavano chiunque incontrasse, credenti o non credenti. In tutta la vita, padre Silvio mise le sue qualità, a partire dallo spirito di accoglienza, a disposizione dei deboli, lottando per la loro dignità.
-Come mai, malgrado la sua fama di santità, solo nel 2013, cioè dopo tanti anni, venne iniziato il percorso di beatificazione?
"Io penso che tutto questo sia frutto dello sviluppo che, nel tempo ha avuto la Congregazione da lui fondata. Premesso che si tratta di materia che da noi andrebbe conosciuta più a fondo, ricordo che è nel 1914 che padre Silvio affidò alcune ragazze di un villaggio indiano alle suore di Sant’Anna di Torino che, come vedremo, già lo aiutavano nella missione. Più tardi le mandò a Secunderabad (città separata da Hyderabad dal lago artificiale Hussain Sagar) “ove si iniziò il noviziato delle ragazze sudra, (di casta) per avere poi, dal 1943, una Congregazione diocesana di Suore Catechiste, -tutte native di quel paese- incaricate dei piccoli orfanotrofi di ragazzi paria (A. Lozza, L’amico dei paria, 1967).
Alla fine degli anni Settanta, le suore ridefinirono l’identità della loro Congregazione (con una più chiara determinazione dei vari ministeri da quello catechetico a quello educativo, dall’assistenza ai malati alla cura dei poveri, degli orfani e delle vedove) per giungere al 12 giugno 1999 quando, con l’approvazione delle nuove Costituzioni, la Congregazione venne riconosciuta di Diritto Pontificio da Papa Giovanni Paolo II. Essa ora opera, oltre che in India, anche in Africa e in Italia (Roseto, Como, Inveruno e Cremona, dove sono presenti nella Casa dell’Accoglienza, nella Casa della Speranza e nella Casa Santa Rosa di via Bonomelli). In questo modo, si è venuta evidenziando una nuova sensibilità missionaria che non si accontentava di esplicitarsi nel paese di origine.
Contemporaneamente si sono sviluppati i contatti con la Santa Sede e con alcune istituzioni religiose e culturali del nostro paese. In particolare quelli con il Pime hanno permesso di conoscere più a fondo la figura del loro padre fondatore. Tutto questo ha generato nella Congregazione la consapevolezza che la santità di padre Pasquali, già riconosciuta a livello popolare, dovesse trovare un riconoscimento ufficiale. Così, negli anni 2013/2014, a Eluru, si posero le premesse per la causa di beatificazione che ha avuto il suo inizio con la raccolta delle prove. Oltre alla stampa missionaria, ne hanno parlato quella locale, da Vita Cattolica a La Provincia e Mondo Padano. Poiché si tratta di una “causa antica” e non esistono più testimoni diretti, le testimonianze sono state raccolte, a cura della Commissione storica, da persone che hanno riportato quanto scritto o sentito da altri, così come da tutti gli scritti di padre Pasquali, sia quelli pubblicati come quelli non ancora pubblicati. In tutto questo lavoro è stata coinvolta anche la Diocesi di Cremona. Il processo diocesano si concludeva il 13 ottobre 2019 e con esso sono state raccolte un numero significativo di prove sulle virtù eroiche, la reputazione di santità e del potere di intercessione. Lo certifica il titolo di Servo di Dio concesso a padre Silvio Pasquali.
Tutto il materiale è stato trasmesso a Roma, presso la Congregazione per le cause dei Santi a cui compete esprimere il giudizio definitivo. Analogo il procedimento, con la partecipazione di periti medici, per l'accertamento di un miracolo.
La promulgazione dei decreti sull'eroicità delle virtù, sul martirio o sulla prova del miracolo spetta esclusivamente al Papa.
-Ora ti invito a una… impresa impossibile: condensare in poche frasi le notizie degli eventi e gli atti più significativi della sua storia di missionario.
In Italia, nel suo periodo di preparazione, i superiori del Pontificio Istituto Missioni Estere nutrivano qualche perplessità sul suo conto, quando chiese di essere destinato alla missione in India. Aveva già 33 anni (un’età considerata avanzata per affrontare le fatiche fisiche e il surmenage psicologico di una prima evangelizzazione) e nessuna conoscenza della difficilissima lingua locale: il telegu. Inoltre, era di salute fragile: un grave handicap per chi deve affrontare il clima tropicale. In ogni caso lui si prepara e, finalmente, può partire. Così il 20 settembre 1897, un felice Padre Silvio si avvia alla sua prima destinazione: Hyderabad, oggi una diocesi importante, retta in toto dal clero locale. Ma, all’epoca di Padre Silvio, era vescovo l’italiano monsignor Viganò, il quale, dopo qualche mese di orientamento, lo mise su un treno accompagnandolo solo con la sua benedizione e il nome della località cui l’aveva destinato: Raichur. Ha imparato il telegu, appunto, una lingua che gli darà sempre filo da torcere, ma che non gli impedirà di tradurre per primo, in questa lingua, il Nuovo Testamento.
Dopo qualche mese, padre Silvio fa arrivare dalla città alcune Suore di Sant’Anna di Torino. Il loro alloggio provvisorio è la casa-sacrestia. Quanto a Padre Silvio, lui, si sistema in una tenda in attesa che siano costruiti (e lo saranno) convento, scuola e dispensario. Uno stile di vita, questo, che lo caratterizzerà sempre e che gli servirà, insieme alla sua gran fede, a fargli spostare, letteralmente, montagne di pregiudizi sociali, di difficoltà economiche, di ostilità. La più fiera opposizione, neanche a dirlo, gli verrà dai signorotti locali. Per esempio: due anni dopo il suo arrivo a Raichur, una epidemia di colera preceduta da una carestia, miete vittime nella popolazione e anche tra i missionari. Padre Silvio, scortato dalle due suore, sale su un carro tirato da buoi (gli servirà, all’occorrenza, anche da altare) e si trasferisce a Beehr, dove non è sopravvissuto neanche un missionario. Tra affamati, colerosi, lebbrosi stanziati lì da sempre, Padre Silvio e le suore hanno il loro daffare: curano, soccorrono, sfamano per quel che si può, raccolgono bambini rimasti orfani, assistono i moribondi e battezzano. Il tutto, nel disinteresse teorico e pratico delle autorità locali, guidate da un principotto mussulmano il quale, a titolo di gratitudine, minaccia la prigione ai tre missionari: per propaganda sediziosa, diremmo noi.
-Quali sono i contenuti specifici che costituiscono la peculiarità della sua opera missionaria?
"La prima, mi pare sia la serietà con cui, ovviamente nei limiti della situazione in cui operava, prepara i battesimandi e i catechisti. Rifiuta forme di evangelizzazione superficiali e approssimate. Non è un atteggiamento di poco conto. Padre Silvio ha poi svolto un’azione fondamentale soprattutto nell’emancipazione sociale dei fuori casta indiani, i “paria”, i senza casta, gli intoccabili. Li aiuta con la carità, l’assistenza, ma anche promuovendo la loro emancipazione economica e sociale. Li mobilita e riesce a far applicare le leggi che permettevano di distribuire le terre incolte dei latifondisti, contro la loro dura opposizione, perché indeboliva la loro possibilità di avere a disposizione masse di uomini disposti a lavorare come schiavi. Inizia nella zona telegu della diocesi di Hyderabad, un movimento di massa che ha come riferimento e guida la Chiesa cattolica.
Ancora più memorabile (e siamo ormai al 1915), fu la creazione del “conventino delle piccole vedove”. Fino ai primi decenni del secolo nessuno era più misero di una vedova incolpata per principio di essere comunque la causa della morte del marito e che per questo doveva espiare salendo sul rogo funebre. Per fortuna, il governo inglese proibì la pratica. Ma, salvata da morte, la povera donna era ugualmente costretta a una vita di fatica e di emarginazione, vista in perpetuo come apportatrice di sventura. Alla fine il suicidio appariva la soluzione migliore. Se al contrario non dimostrava di avere tanto coraggio, allora le si apriva la via della prostituzione forzata. Un sari bianco, il capo rasato: questa era la divisa che ne additava il ruolo e che ne faceva una proprietà comune.
Medesima sorte era riservata alle piccole vedove, a quelle bambine, cioè, sposate dalle famiglie fin dalla prima infanzia, ma il cui “consorte” era morto anzi tempo, ancora in tenera età. Costrette a vivere tutta la vita da vedove, trascorrevano tristemente l’infanzia chiuse in casa. Giunte all’età adulta, le aspettava il medesimo destino delle altre. Nessuna meraviglia, quindi, se molte di queste sventurate accorsero numerose al ricovero preparato per loro da Padre Silvio. Lì, dopo una seria preparazione, venivano impiegate come catechiste, o aiutavano le suore nelle varie mansioni. In ogni caso, ritrovavano la propria dignità perduta. Ma anche nessuna meraviglia se le famiglie, prigioniere di radicate ancorché per noi incomprensibili tradizioni, reagivano rabbiosamente.
“È con gioia che ce ne andiamo”, mormorava Padre Silvio dal suo letto di morte. Aveva solo 60 anni quando morì, il 7 luglio 1924. Il giorno prima aveva voluto celebrare Messa. Nella malattia era stato assistito dai suoi paria, oltre che da un prete e dalle suore di S. Anna: tutti indiani".
Nelle immmagini a scorrimento Padre Silvio Pasquali e la celebrazioni liturgica in India nel 2014; poi i ragazzi della scuola, il vescovo Lafranconi con alcuni ragazzi della scuola e il vescovo Napolioni nella celebrazione al Cambonino nel 2019 con la superiora dell'ordine Madre Rose Linda
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti