5 febbraio 2025

Il sogno di Cremona: diventare capitale dello zucchero da barbabietola. 125 anni fa si inaugurava lo Zuccherificio di via Brescia. La benedizione del vescovo Bonomelli. La proprietà era straniera

Cremona all'inizio del '900 aveva un sogno: diventare la capitale delle zucchero da barbabietola. Alla fine dell'Ottocento iniziava la costruzione delle "Zucchererie" di Cremona e qualche anno dopo di quello di Casalmaggiore, due enormi stabilimenti che sarebbero entrati in funzione dando lavoro ciascuno a circa duecento persone (anche 400 quello casalese) che potevano raddoppiare nei mesi estivi quando avveniva il raccolto delle barbabietole e gli impianti erano in funzione 24 ore su 24. 

Lo zuccherificio di Cremona sorgeva nell'area compresa tra la Via Brescia e la stazione ferroviaria e costituiva il più grosso complesso industriale della città. La coltivazione della barbabietola da zucchero era stata introdotta da pochi anni in Italia anche se in Europa, soprattutto in Germania e in Francia, già si ricorreva alla barbabietola piuttosto che alla canna da zucchero, solo una decina erano sino a quel momento gli zuccherifici aperti in Italia. Il primo era stato avviato a Borgo San Donnino, l'odierna Fidenza, dopo che nel 1811 un decreto napoleonica aveva incoraggiato la coltivazione della barbabietola da zucchero, ma aveva presto cessato la sua attività col tramontare della stella di Napoleone. Successivamente, nel 1836 era stato il Conte di Cavour ad effettuare alcune prove di coltivazione nella sua tenuta piemontese di Grizzane.

Nel 1840 un piccolo zuccherificio era sorto a Sarno (Napoli), un altro a Treviso nel 1854 e ancora Castellaccio di Anagni nel 1869 e poi ancora a Rieti e a Cesa in Val di Chiana. Cessarono presto la loro attività anche se quello toscano era comunque riuscito a produrre circa cento tonnellate di zucchero all'anno. Di altre fabbriche si ha notizia a San Martino Buon Albergo (Verona) ed Acquafredda (Brescia), ma fu solo nel 1885 che la bieticoltura in Italia cominciò ad affermarsi soprattutto grazie all'opera di un grande chimico, Gerolamo Villavecchia e di un economista di valore, Emilio Maraini. La coltivazione della bietola apparve, in quegli anni di forti difficoltà per l'agricoltura, il mezzo ideale per sopperire alla grave crisi che si era prodotta col venire meno della coltivazione della canapa a causa dei bassi prezzi a cui veniva venduta nelle campagne lombarde, venete ed emiliane ove i terreni si dimostrarono ben presto adatti alla coltivazione della bietola.

Nel 1887 venne allora riattivata la fabbrica di Rieti, nel '91 venne perfezionata quella di savigliano ed immediatamente sorsero i grandi stabilimenti di Legnago e Senigallia cui seguirono tosto Genova, Cremona e Casalmaggiore.

L'apertura dello zuccherificio fu un grosso avvenimento per Cremona che comunque già vantava una tradizione storicamente profonda nel campo se è vero che uno dei primi stabilimenti di raffinazione dello zucchero di canna allestito in Europa era dovuto all'iniziativa della famiglia Affaitati che lo aveva fondato in Olanda nel sedicesimo secolo dando vita ad un'azienda che sarebbe durata alcune centinaia di anni.

"Una delle migliori fabbriche di zucchero d'Italia, per modernità di costruzione e di macchinario sarà certamente quella che sorge ora nel nostro sobborgo di Porta Venezia e che volge ormai al termine" confermava orgogliosamente il giornale locale il quale così proseguiva: "Detta fabbrica porterà fra noi un cespite non indifferente di maggiore entrata ai proprietari di terreni e un lavoro considerevole e, quel che più monta, ben retribuito ad un numero grandissimo di operai." Tecnologicamente si trattava di uno stabilimento avanzatissimo che aveva tra l'altro richiesto mesi per la costruzione e il superamento di ostacoli particolari come la deviazione del corso della Cremonella e la sistemazione di alcuni binari della vicina stazione.

Il fatto stesso che lo stabilimento potesse da sè provvedere alla produzione dell'energia elettrica di cui aveva bisogno per muovere tutti i suoi macchinari e le potentissime turbine che vi erano state installate costituiva un punto d'orgoglio per i progettisti e gli azionisti che avevano effettivamente creduto nelle potenzialità di sviluppo dello stabilimento e nella crescita della coltivazione della barbabietola nelle campagne cremonesi.

Un'opera ciclopica per quei tempi che venne realizzata in brevissimo tempo ed era dovuta alla preveggenza dell'avv. Bozzano che ne era stato il fautore principale e il realizzatore. L'inaugurazione dello stabilimento avvenne il 30 agosto del 1900 dopo due anni di intensissimo lavoro e alla vigilia della stagione delle pile alla presenza del Vescovo Bonomelli e di tutte le autorità civili e militari di Cremona.

Il vescovo arrivò puntualmente alle 14 in landò accompagnato da alcuni sacerdoti della Curia e dal parroco don Emilio Lombardi, ma non si limitò alla semplice benedizione dello stabilimento e degli impianti che gli furono illustrati dal cav. Paolo Bozzano. La direzione tecnica dello stabilimento era stata affidata ad esperti stranieri e stranieri erano pure i due azionisti principali, i signori Eugene Ficherfet e Victor Van Volsen, francese il primo, tedesco il secondo, col quale il prelato si trattenne a lungo parlando nelle loro lingue.

Il Vescovo Bonomelli si dilungò abbastanza in un discorso di elogio per l'iniziativa ricordando come solo un anno prima in quel luogo esistessero solo campi coltivati a frumento mentre ora ci si trovava davanti ad un'industria ricca e fiorente che certamente non avrebbe fallito i suoi scopi sotto la guida esperta del cav. Bozzano.

"Non è vero - affermava il vescovo - che la religione avversi il progresso: lo applaude, lo caldeggia, lo benedice, tanto nell'ordine del pensiero come in quello dell'azione...Il bisogno di lavoro è grande. Dello sviluppo di quest'industria mi rallegro pure sotto un altro aspetto: essa fornirà lavoro a centinaia di operai. L'elemosina si fa a chi è impotente: a chi ha salde e robuste braccia si dà lavoro, che vuol dire pane onorato."

Affascinati dallo spettacolo offerto da tanti macchinari sbuffanti, precisi come un orologio ad alta precisione, perfetti in ogni loro movimento, gli ospiti impiegarono un paio d'ore a visitare lo stabilimento, ma alla fine, "immersi in un bagno russo di sudore" arrivarono finalmente ai piani superiori ove era predisposto il ricchissimo rinfresco predisposto da Rodolfo Petrolini in persona: l'albergatore dell'Italia-Cappello aveva preparato infatti gelati e e granite e "lo scoppio delle bottiglie di champagne fu vivo, nutrito, come la mitraglia dei panini gravidi, che venivano serviti in piatti sontuosi."

Dal giorno seguente lo zuccherificio di Via Brescia entrò in funzione e per diversi anni fu uno degli stabilimenti più produttivi dell'intera area cremonese. 

DALLE "BARBE" ALLO ZUCCHERO 

Quasi tutta la lavorazione dello zucchero di barbabietola si svolgeva in un periodo di 40-50 giorni: in casi eccezionali si arrivava al 70 giorni. Le barbabietole venivano infatti raccolte tra i primi di agosto ed i primi di ottobre.

Tra il 15 agosto e il 30 settembre, per le varie vie di comunicazione dell'Emilia, del Veneto e della Lombardia, dove era concentrata la maggior parte della produzione, si vedevano sfilare una successione di carri a cavalli, di autocarri e anche di natanti lungo il sistema navigabile del Po e dei suoi affluenti e canali, che trasportavano il ricco prodotto dai campi allo zuccherificio che, così rifornito, lavorava incessantemente per tutte le 24 ore con tre turni di operai.

La via Brescia era uno spettacolo: centinaia e centinaia di carri facevano la spola dai campi, dalla stazione, dal Po. Si creava addirittura un piccolo mercato di ambulanti che vendevano i loro prodotti ai carrettieri in attesa di scaricare.

Seguiamo un carro al suo arrivo alla fabbrica. Veniva pesato e al suo guidatore, si dava un cartellino. Assistevano alla pesa due incaricati di cui uno rappresentava gli industriali, l'altro i bieticoltori. Da questo momento tutte le varie operazioni del ricevimento delle bietole, sino a quando veniva determinata la densità e quindi la quantità di zucchero contenuto nella partita di bietole recata dal carro venivano fatte in contraddittorio fra i due incaricati, sicché ogni singolo coltivatore era protetto dal rispettivo rappresentante. Le barbabietole venivano pagate in base alla quantità (titolo) di zucchero che contenevano (erano cioè acquistate dallo zuccherificio, come si suol dire, a titolo); era necessario perciò determinare con grande attenzione l'ammontare di tale caratteristica. Dal centro del carro venivano tratte alcune forcate di bietole che, immerse in un sacchetto, con un tagliando recante il numero del carro e perciò della partita di bietole consegnate, venivano inviate al laboratorio chimico.

Qui una serie di operai procedeva alla pulizia delle bietole, liberandole dalla terra aggrumata. Si eliminavano quindi le foglie e si tagliavano i colletti delle bietole e le parti rugose terminali; questa operazione era necessaria per la determinazione della "tara, in quanto il "colletto" e la "testa" delle radici contengono un minor titolo di zucchero.

Le bietole cosi ripulite venivano passate ad un altro reparto, sempre del laboratorio chimico, dove da ciascuna bietola viene prelevata una fetta che arrivava sino al centro. Tutte queste parti venivano poi pressate ed il sugo ottenuto versato in provette dove appositi strumenti ne controllavano temperatura e densità.

Un chimico, con un altro apparecchio, detto "polarimetro", analizzava il succo così ottenuto, previa ulteriore purificazione, e determinava la quantità esatta di zucchero contenuta nel campione, correlando questa percentuale col valore della densità precedentemente osservato.

Fatti i dovuti calcoli, il chimico era cosi in grado di stabilire quanto zucchero contiene l'intera partita di bietole consegnata e i relativi dati venivano segnati sul tagliando che accompagnava il campione, e tagliando che servirà di base per il computo del pagamento al bieticoltore.

Intanto le bietole venivano scaricate in grandissime vasche chiamate silos e da esse, mediante una corrente d'acqua, avviate alla fabbrica dove, nelle lavatrici, venivano ripulite dal terriccio e dalle impurità. In continuazione gli elevatori portavano ora le bietole nelle bilance automatiche.

Quando si veniva raggiunto un dato peso prestabilito la bilancia ne registrava la cifra e scaricava il vegetale zuccherino nelle tagliatrici; questo controllo era importante per conoscere la quantità di bietole lavorata dallo zuccherificio e correlare questa quantità con lo zucchero prodotto.

Nelle tagliatrici, le radici venivano in breve tempo sminuzzate in sottili fettucce che passavano in altri grossi recipienti, chiamati diffusori.

In questi apparecchi veniva immessa una corrente di acqua calda per sciogliere lo zucchero formando il sugo leggero grezzo; una soluzione contenente circa il 12% di zucchero insieme con alcune impurità contemporaneamente estratte dall'acqua agente.

Le fettucce cosi quasi completamente private delle sostanze zuccherine venivano per circa il 70% cedute agli stessi coltivatori e costituivano, fresche, un ottimo mangime per il bestiame. Il rimanente 30% veniva essiccato e venduto a prezzo di favore, sempre come mangime che poteva essere conservato ed impiegato nei mesi successivi, al contrario delle bietole fresche che devono invece essere consumate in breve.

Da questo momento, il processo di estrazione aveva molte analogie con quello praticato per l'ottenimento dello zucchero di canna.

Vediamolo rapidamente.

Per ricavare qui lo zucchero dal sugo leggero è necessario liberarlo dalle impurità che, altrimenti, ne ostacolerebbero la cristallizzazione; perciò si aggiunge al sugo dell'idrato di calcio (ogni zuccherificio è fornito di appositi forni che trasformano il calcare in calce spenta, la quale a sua volta viene trattata con acqua fornendo appunto una sospensione di idrato di calcio).

Questa operazione si chiama "defecazione" (eliminazione delle impurità) e il sugo defecato viene passato nei saturatori nei quali arriva una corrente di anidride carbonica; l'idrato di calcio precipita cosi sotto forma di carbonato, il quale viene separato dal sugo mediante filtri-pressanti.

La parte solida, costituita di carbonato di calcio, rimane nei filtri e il liquido filtrato viene sottoposto ad un secondo trattamento con calce, ad una seconda saturazione e filtrazione, e il filtrato viene infine inviato alla concentrazione.

Le parti solide che rimanevano nei filtri contenevono, oltre alla calce, anche ferro, fosforo e sostanze azotate che possono essere utilizzate in agricoltura come fertilizzanti. Il sugo filtrato e depurato conteneva a questo punto circa il 12% di zucchero e 1'88% di acqua. Per concentrarlo e facilitare così la cristallizzazione dello zucchero, íl sugo veniva fatto passare attraverso una batteria di evaporatori nei quali il líquido è posto a bollire, in parte sotto pressione e in parte sotto vuoto; da questi apparecchi il sugo usciva con un contenuto di acqua ridotto al 40% (sugo denso), il quale viene ulteriormente concentrato sotto vuoto nelle bolle (o vacuum) fino a tanto che lo zucchero cristallizzi.

La massa pastosa che se ne otteneva (massa cotta) veniva scaricata in apparecchi mescolatori, raffreddata, e poi centrifugata nelle centrifughe che separano lo zucchero grezzo dallo sciroppo commisto. Tale sciroppo, che conteneva ancora il 70% di zucchero, veniva passato alla cottura una seconda volta e di nuovo centrifugato. Si ottiene cosi lo zucchero greggio di secondo prodotto e il melasso, che è un sugo contenente ancora circa il 50% di zucchero. (Questo melasso viene generalmente sottoposto a fermentazione per la sua trastormazione in alcool).

Lo zucchero greggio di primo e di secondo prodotto venivaora passato alla raffineria e ridisciolto in acqua, il sugo ottenuto veniva decolorato attraverso filtri speciali e nuovamente concentrato, raffreddato e centrifugato per ottenere finalmente lo zucchero raffinato.

Nel tempo di 20 ore lo zucchero, che era entrato con le barbabietole, usciva dalla fabbrica già imballato nei sacchi.

L'attuale barbabietola da zucchero deriva dalle barbabietole bianche un tempo coltivate come foraggio e poi profondamente studiate nella Slesia.

All'inizio, quando venivano coltivate nell'Europa meridionale, il loro raccolto era annuale, ma quando la coltivazione fu trasferita più a nord, venne adattata alle diverse condizioni climatiche e il raccolto divenne biennale.

Nel primo anno si sviluppavano foglie e radici e si verificava l'accumularsi dello zucchero nella bietola. Nell'anno seguente si avevano flori e semi.

Con una sistematica selezione, il contenuto di zucchero è stato portato dal 5% ad oltre il 30% ed è stato anche possibile ridurre nel contempo le sostanze estranee e il contenuto salino della barbabietola, una pianta che cresce bene nei terreni fertili sabbiosi o argillosi e nei climi temperati caratterizzati da abbondante radiazione solare, da aria fredda e secca e con abbondanza di umidità in certi periodi del suo sviluppo, particolarmente durante la germinazione dei semi. Condizioni climatiche e del terreno che si trovano particolarmente nelle nostre zone che infatti furono le prime a dedicarsi alla coltivazione di questa nuova pianta e quindi ad incrementare la produzione dello zucchero.

LO ZUCCHERIFICIO DI CASALMAGGIORE

L'ex zuccherificio appartiene alla storia dell'industrializzazione casalasca e all'album dei ricordi di molti cittadini di Casalmaggiore. La costruzione è iniziata alla fine del secolo scorso su una vasta area, allora completamente disabitata, posta a ridosso della ferrovia, nei pressi della stazione. La nascita dello zuccherificio ha rappresentato un naturale sbocco industriale per la vocazione agricola che ha sempre caratterizzato il territorio casalasco. Le barbabietole coltivate nei campi del casalasco venivano lavorate direttamente a Casalmaggiore e trasformate in zucchero. Nel periodo di massimo sviluppo, intorno alla metà degli anni '50, lo zuccherificio di via Matteotti arrivò ad occupare circa 400 persone, per la maggior parte lavoratori stagionali, e a lavorare 40.000 quintali di barbabietole al giorno. Nel '75 fu acquistato dall'Eridanea, entrata successivamente a far parte del Gruppo Ferruzzi. Gli ammodernamenti ai processi produttivi apportati nel corso degli anni non riuscirono ad evitare l'eccessiva obsolescenza dell'impianto che non fu in grado di competere con altri stabilimenti tecnologicamente più avanzati. Tre anni dopo essere stato acquisito dall'Eridanea, nel '78, venne chiuso, l'area fu venduta e da allora iniziò il suo lento degrado. I locali vennero abbandonati e quasi tutta l'area passò nelle mani di Scaravonati, un imprenditore casalese che aveva fatto fortuna a Trento e Verona, come importatore di banane. Cedette in locazione alcune parti della grande costruzione, dove si insediarono piccole e medie aziende che nulla avevano a che fare con la lavorazione della barbabietola. Tutto questo fino alla metà degli anni Novanta quando Scaravonati, attraverso la sua società Eurofrigo, presentò un progetto per l'abbattimento di tutto l'ex zuccherificio e la costruzione di un centro direzionale per servizi, circondato da villette e palazzine residenziali. Il progetto è passato al vaglio del Comune e della Regione che hanno approvato il piano di lottizzazione. Le ruspe nel 1996 e '97 hanno iniziato ad abbattere quanto rimaneva della imponente struttura industriale d'inizio secolo. 

Nelle foto lo zuccherificio di Cremona e quello di Casalmaggiore

RC


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