L' 8 settembre 1943: ottant'anni fa la battaglia di Cremona contro l'assedio delle truppe tedesche. La difesa eroica della città e la resa finale dei militari italiani
La notizia dell’armistizio arrivò alle 19,42 dell’8 settembre 1943 con un comunicato registrato del generale Badoglio, che lasciava il Paese al proprio destino. Iniziava così, ottant'anni fa, la battaglia di Cremona. Alle porte della città avevano da tempo preso posizione le colonne della SS Panzer Granadier Division “Leibstandarte Adolf Hitler", pronte ad intervenire. Fin dai primi di agosto circa 600 militari della Wehrmacht erano arrivati a Cremona e si erano accampati nei campi al Migliaro.
In città le forze armate italiane erano distribuite nelle varie caserme. Varie centinaia di uomini tra allievi ufficiali, seicento reclute e addetti ai servizi erano dislocate presso il 3° Reggimento d’artiglieria di Corpo d’Armata comandato dal colonnello Sebastiano Caruso alla caserma Manfredini. Altri duecento artiglieri occupavano la caserma Pagliari di via Bissolati. Nelle caserme Sagramoso e San Martino (ex monasteri di San Benedetto e Corpus Domini) erano alloggiate due compagnie del 1° Battaglione del 2° Reggimento Pontieri di Piacenza, di trecento uomini ciascuna, armati del vecchio fucile modello 91 e senza munizioni, in attesa di partire per la Sicilia. Un distaccamento composto da un ufficiale e venti uomini presidiava la “Baldesio”. Altri ottocento uomini del 9° Reggimento Bersaglieri comandati dal colonnello Mario Cetta erano alloggiati alla caserma Paolini di via Palestro ed un altro reparto dislocato al foro boario di porta Venezia. A questi si aggiungevano pochi uomini del 17° Reggimento fanteria Acqui comandati dal generale Nicola Bruni nella caserma Eugenio di Savoia di via Ettore Sacchi, altri duecento in parte di guardia alla Polveriera di Picenengo e al ponte sul Po. Nella caserma Col di Lana erano rimasti solo una trentina di unità degli allievi del Collegio Militare di Milano ed un centinaio di militari della Scuola di Specializzazione della Regia Aeronautica, trenta Carabinieri occupavano la caserma Santa Lucia di viale Trento e Trieste, ed una sessantina tra ufficiali e militi componevano il 20° Distretto militare di via Colletta al comando del colonnello Umberto Marinoni.
Un comando tedesco, forte di una cinquantina di militari, fin da giugno si era alloggiato nella villa di Santa Maria del Campo del marchese Martucci in via Giuseppina. All’alba del 9 settembre trecento SS si erano aggiunti ai seicento militari attendati al Migliaro, presso la Trattoria Stallo di Rosa Donati, dandosi al saccheggio della frazione e delle cascine. Nel frattempo il comandante italiano Giacomo Florio, dal palazzo della Rvoluzione, assistito dall’ufficiale del presidio maggiore Gaetano Maggiulli e dai comandanti dei deposti, impartisce l’ordine di resistere, piazzando cannoni e mitragliatrici alle porte cittadine. Ma mancano le munizioni in quanto i tedeschi, intuendo il piano di difesa, avevano occupato la polveriera di Picenengo e da qui avevano preso a cannoneggiare le caserme. Nonostante l’allarme alla caserma Manfredini fosse già scattato alle 4 del mattino, alle giovani reclute non era rimasto altro da fare che piazzare un grosso cannone davanti all’ingresso principale di via Bissolari ed un altro alla porta carraia su via Massarotti. Altri due pezzi di artiglieria erano stati trasportati a difesa del Distretto e del Presidio in corso Vittorio Emanuele, uno al foro boario a supporto del reparto di bersaglieri poche mitragliatrici furono poste a difesa delle porte. Sotto i colpi dell’artiglieria tedesca viene posto un mitragliatore Breda alla porta carraia e le reclute, armate del moschetto 91, tre caricatori e una bomba a mano a testa, si appostano ai finestroni anteriori e laterali della caserma.
L’attacco alla città inizia alle 8, quando le truppe tedesche arrivano simultaneamente da via Bissolati e via Massarotti, da porta Milano e porta Po ed i carrarmati, accompagnati dal fuoco delle artiglierie, iniziano a muoversi lungo viale Trento e Trieste, via Dante e via Massarotti, via Mantova, porta Romana via Giordano e porta Po per poi dirigersi verso il centro cittadino per occupare le caserme, la sede del Comando militare e gli edifici pubblici. Alle 9 viene occupata la caserma Pagliari, poi l’attacco si concentra sulla Manfredini. Le reclute sparano dai finestroni, mentre il cannone posto su via Bissolati centra un carro amato, ma poi si blocca contro un muro della parte opposta della caserma. L’altra colonna tedesca su via Massarotti viene investita dall’altro cannone che, privo dei proiettili necessari, riesce usando granate e pallottole gradire a zero sparate in rapida success i one, e mentre fuori uso 6 mezzi pesanti. Dopo ave inflitto pesanti perdite al nemico, però esaurite le residue munizioni, verso le 11 gli assediati sono costretti alla resa. Da parte italiana sul terreno restano una trentina di feriti e due morti, l’allievo ufficiale Dante Cesaretti ed il sottotenente Mario Flores. Per vari giorni i resti di tre panzer rimasero abbandonati davanti al Vecchio Maneggio di via Bissolati.
Un’altra dura battaglia, intanto, si consuma in corso Vittorio Emanuele, dove il sottotenente Francesco Vitali fa fronte con i suoi uomini e con un vecchio cannone al fuoco delle SS e di Alpenjager che avanzano protette dai carrarmati e delle mitragliatrici appostate tra le colonne del teatro Ponchielli. In un altro duro scontro alle Poste Centrali rimane ferito il capitano del 9° Reggimento Bersaglieri Mario Tudisco di Avellino, che poi avrà parte attiva nell’insurrezione di Soresina il 16 aprile 1945. Si spara anche dall’Intendenza di Finanza. Ma non vi è nulla fare: il tenente Vitali viene falciato da una raffica di mitra ed i suoi uomini trascinano il corpo in via Ala Ponzone, dove resterà fino al giorno dopo.
Contemporaneamente viene attaccata la caserma Col di Lana dai mortai tedeschi nascosti nell’ortaglia della cascinetta Rosarino sul cavo Robecco, all’angolo tra via Brescia e via Rosario, cui fanno seguito i Panzer Grenadier della Divisione Adolf Hitler delle SS. La resistenza opposta dagli aviere dalle giovani reclute trasferite a Cremona dal Collegio militare Teullé di Milano è eroica. Rimasti senza munizioni sono costretti ad arrendersi, lasciando sul campo nove morti e numerosi feriti: tra questi gli avieri Mario Bazziga di Roncoferrato, Francesco Caponetto di Calama, Alessandro Cerioli di Camisano, Pasquale Palmaccio di Formia e il tenente Giovanni Palmeri di Palermo. Nella difesa del foro boario cadono i bersaglieri Bruno dall’Oglio di Bondeno e Armando Da Soghe di Barbarano, quest’ultimo dopo aver tentato di attraversare lo schieramento nemico ed aver ucciso 4 tedeschi, prima di essere colpito a sua volta. Un altro bersagliere, Erminio Buosi, appostato con una mitragliatrice in un campo presso le scuole elementari del Migliaro, tiene impegnato da solo un pattuglia di SS, consentendo in questo modo al suo reparto di riprendere la posizione, prima di essere ucciso. I tedeschi concentrano allora i loro attacchi contro la caserma Paolini di via Palestro, dove ancora resistono dalla mattina i bersaglieri. Verso le 13,30 occupano la caserma Santa Lucia, difesa da una ventina di carabinieri, e da qui e dal belvedere di villa Grassi iniziano a mitragliare la Paolini. I bersaglieri al suo interno non hanno che qualche vecchia mitragliatrice Breda e, quando verso le 14 un carro armato riesce a sfondare la porta carraia su viale Trento e Trieste ed un incendio scoppia nell’ala principale del fabbricato, non possono fare altri che arrendersi. Poco dopo tocca alle due caserme Sagramoso e San Martino, dove i tedeschi penetrano attraverso il passaggio della ex concessionaria di via Chiara Novella e, dopo un breve scontro a fuoco, dove cade il capitano Nunzio Barbagallo, fanno prigionieri circa 300 genieri. Altrettanti, però, erano riusciti a sfuggire saltando dalle finestre prima dell’arrivo dei nemici.
Alle 15 la città è ormai in mano alle truppe tedesche: ad una ad una cadono le caserme La Marmora, il Distretto militare ed il Deposito di via Massarotti. Una stima delle vittime italiane stilata il 12 settembre individua 31caduti, di cui 19 militari e 12 civili, e 34 feriti, di 22 militari e 12 civili. Vi furono anche vittime senza un nome, come un soldato sconosciuto che aveva perso la vita del ponte di Po e poi gettato nel fiume dai tedeschi od un altro visto morto nell’androne di un palazzo al numero 55 di corso Vittorio Emanuele. E tra le vittime ivili è da ricordare la studentessa ventenne Ekda Sacchi, volontaria delle CRI che alle 14, mentre andava a ritirare degli abiti civili per i soldati che si erano rifugiati nella sua abitazione di via Cadore, venne falciata in via della Colomba da una raffica sparata dalla caserma Eugenio di Savoia e morì poco dopo all’ospedale Ugolani Dati.
Sette i caduti tedeschi sepolti in vari punti della città, secondo un documento del Comune di Cremona del giugno 1944 inviato alla Prefettura: Heinz Trelle, Otto Kranz, Alois Kremer, Dietrich Geller, Wolfgang Jäger, Rudolph Gottschall e Gerold Janss, quest’ultimo sepolto la sera del 9 settembre vicino alla fontana nell’aiuola grande dei giardini pubblici di piazza Roma.
L’11 settembre, alle 6 di mattina, l’epilogo della gloriosa resistenza di Cremona: i circa 700 militari della Manfredini e della Pagliari vengono scortati alla stazione ferroviaria tra due file di SS armate di mitra, caricati su carri bestiame e trasferiti a Mantova prima di raggiungere, una quindicina di giorni dopo, il campo di concentramento di Amnesten in Pomerania. Stessa sorte per i militari delle altre caserme, rinserrati dapprima dell’ex zuccherificio di via Opifici e poi caricati il 12 settembre sugli stessi treni per essere trasferiti a Mantova e da nel lager di Thorn in Polonia. Molti soldati italiani, che, privi di ordini, si erano rifugiati nelle case dei cremonesi che li avevano nascosti, già il giorno successivo, quando si sparge la voce dei rastrellamenti tedeschi, prendono la via della montagna.
“A distanza di tanti anni - scriveva nel 2013 Mario Coppetti - possiamo riconoscere che nel dopoguerra non è stato sufficientemente riconosciuto il contributo dato agli italiani in grigio verde nella lotta contro i tedeschi e da quelle migliaia di soldati che preferirono la dura prigionia piuttosto che tornare in Italia al servizio della repubblica sociale. Molti ritengono che l’8 settembre ’43 abbia rappresentato il crollo dello Stato e l’inizio di una divisione fra gli italiani non ancora superata e pertanto, come accade per le sconfitte e le cose spiacevoli preferiscono dimenticare. Questa per me, e per tutti quelli che hanno lottato contro la dittatura e per la libertà è una interpretazione che non possiamo condividere perché se è vero che l’8 settembre lo Stato si è sfasciato ciò è servito soltanto a mostrare agli italiani ed al mondo intero l’inconsistenza, il vuoto che si nascondeva dietro le roboanti dichiarazioni di Mussolini e dei suoi gerarchi, che solo con la violenza e la sopraffazione avevano in combutta con la imbelle monarchia, governato l’Italia per 20 anni. Ma è proprio di fronte allo sgretolamento dello Stato monarchico-fascista e al fallimento della classe politica e militare di allora che assumono ancora maggior rilevanza i numerosi atti di sacrificio e di eroismo di soldati ed ufficiali che spontaneamente hanno resistito contro soverchianti forze tedesche a Cremona e in altre parti d’Italia e l’affetto dei comuni cittadini che intendevano scrollarsi di dosso la vergogna di 20 anni di fascismo. Ed è proprio per questi comportamenti, per questa nuova presa di coscienza che possiamo affermare che con l’8 settembre del 43 risorge la nuova Italia che vuole essere libera, partecipando ad una lotta di popolo come mai era avvenuto in passato, in quella stagione eroica e dolorosa che è stata la Resistenza”.
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commenti
ennio serventi
4 settembre 2023 14:15
La sbrecciatura nel granito, che di diparte dalla finestra fino al marciapiede del palazzo delle poste nel lato di via Cavallotti è, probabilmente, l'unica testimonianza fisica del cannoneggiamento al quale i tedeschi sottoposero la città il 9 settembre 1943. Va dato merito a chi, negli anni, non ha fatto cancellare quella testimonianza. Sarebbe opportuno che l'amministrazione comunale facesse apporre a futura memoria, sul luogo, una targa esplicativa dell'evento.
Questo è un mio ricordo preciso: Gherold Jansen, il soldato tedesco, venne sepolto nel lato corto, rivolto ad est, della rettangolare aiuola, da tempo scomparsa, che si allungava oltre la fontana delle naiadi. SUl tumolo, dai suoi camerati, venne posato l' elmetto sotto una croce.
enzo rangognini
5 settembre 2023 09:41
Una necessaria precisazione che ho già introdotto anche nella voce di Wikipedia relativa all'attività in Italia della 1.SS PanzerDivision. Il trasferimento per ferrovia nell'agosto 1943 di un composito contingente della stessa dal fronte sovietico di Kursk all'Emilia settentrionale aveva comportato per il Reparto anticarro (PanzerJaeger Abt.) la presenza degli ancora arretrati Marder "a cielo aperto" privi della copertura superiore. Furono essi, e non i carrarmati, a esser impiegati nella battaglia di Cremona, quindi le principali cause dell'alto numero di morti fra le giovani WaffenSs. Quello centrato da un nostro proiettile "ad alzo zero" proprio davanti alla mia abitazione di allora, posta all'attuale n.59 di via Bissolati, fece una vittima alla cui angosciante agonìa assistette anche mia madre..
ennio serventi
5 settembre 2023 14:01
La precisazione di Enzo, certamente sorretta da approfondita informazione costringe, in parte, ad una rilettura degli eventi cremonesi.
Già, in un inedito, la messa a confronto di tutto quanto in questi anni è stato pubblicato sull'argomento aveva evidenziato, senza nulla togliere alla ferocia nazista, alcune differenze ricostruttive. Si scrisse sempre di carri armati ed, in un caso, specificandone anche il tipo. Forse, più vicino alla realtà, è quanto sta scritto sulla lapide commemorativa posta sotto i portici del Comune dove si parla, senza specificazione, di "carri dell'invasore".