La città di Cremona in cammino verso la Casa della felicità. L'arcivescovo Delpini ha presieduta la celebrazione a conclusione del IV Centenario del Santuario lauretano
«C’è una casa nel cuore della città». L’eco delle parole dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini varca la soglia della Cattedrale dove, nella serata di giovedì 31 ottobre, ha presieduto la Messa di conclusione del quarto centenario della Santa Casa di Sant’Abbondio, concelebrata dal vescovo di Cremona Antonio Napolioni, dall’emerito Dante Lafranconi, dal vescovo di Trieste Enrico Trevisi, cremonese di origine, insieme a tutti i preti della città. Prima di chiudere il Giubileo dedicato al suo Santuario, tornando nella propria sede nella chiesa di Sant’Abbondio, la statua della Madonna nera di Loreto attraversa la città che da quattro secoli la venera come patrona.
Insieme all’immagine della Vergine la processione esce dal Duomo e si immette nella piazza, sulle strade e i vicoli, passando accanto a parchi e vetrine, sotto gli sguardi delle compagnie di ragazzi che si lasciano sorprendere da qualche attimo di silenzio che irrompe nella serata di dolcetti e scherzetti. Centinaia di fedeli in preghiera, accompagnati dalle insegne civili e dalla musica del corpo bandistico Città di Cremona, accompagnano la Madre nel suo ritorno verso la Santa Casa. Un ritorno che lascia il segno, come un palpito dal cuore spirituale della città, una storia di fede e di persone che irrora anche oggi la città. Come nel 1630, quando la cittadinanza, secondo la storia del Santuario lauretano, chiedeva alla Vergine la salvezza dalla peste, ancora una volta l’effigie della Madonna lauretana è accompagnata in processione dalle richieste di intercessione del suo popolo.
Ma che cosa chiede, oggi, la città di Cremona alla sua protettrice? In questo tempo, come sempre, è il desiderio della felicità a tenere inquieto l’animo di uomini e donne. Non di fronte a una peste medievale, ma in risposta alla solitudine e all’enigma della tristezza a cui l’arcivescovo Delpini ha messo di fronte i tanti fedeli presenti in Cattedrale durante la sua omelia: «Perché la gente preferisce essere triste, invece che lieta? Perché gli uomini, le donne, i giovani, gli anziani preferiscono essere rassegnati invece che audaci e sognatori? Perché preferiscono chiudersi in una solitudine desolata, invece che partecipare alla festa e cantare e danzare? Perché sulla bocca degli uomini è più popolare il lamento e l’infelicità, invece che il cantico dell’esultanza?». Domande che risuonano nella grande navata centrale che tiene il suo sguardo fisso verso la piccola statua vestita in abiti bianchi e dorati con un volto nero ma pieno di luce. «Gli uomini, a quanto pare, – ha proseguito Delpini – preferiscono una infelicità costruita con le proprie mani, piuttosto che ricevere il dono della gioia; preferiscono una solitudine in cui possono illudersi di essere padroni di se stessi e della propria vita, piuttosto che accogliere l’invito alla comunione in cui riconoscersi figli grati. Ecco, la gioia si può solo ricevere in dono, l’infelicità invece è opera delle mani dell’uomo».
Questo il senso profondo della preghiera, a cui la Chiesa cremonese, proprio nel mese di ottobre, guidata dal vescovo Napolioni, si è «allenata» negli incontri del martedì dedicati proprio alla scuola di preghiera. Il dono da chiedere e da accogliere affidandosi all’intercessione di Maria: «C’è una casa nel cuore della città, c’è una casa di cui la città è fiera e devota. C’è una casa per raccogliere le confidenze della giovane donna di Nazareth che ha accolto il saluto dell’angelo: “Rallegrati!”, cioè l’invito a essere felice. Non si tratta di conquistare un risultato, non si tratta di raggiungere una meta, non si tratta di meritare un premio. Una cosa sola è quella necessaria: accogliere la grazia. Se siete troppo indaffarati – ha proseguito Delpini – se siete sempre in giro a cercare quello che vi manca, come farà l’angelo di Dio a portare la gioia in casa vostra?».
Una casa: il luogo dell’incontro, dell’annuncio e dell’ascolto, dell’accoglienza e della grazia. È un luogo di comunità la Santa Casa. Lo ha ricordato ancora l’arcivescovo Delpini citando un passaggio significativo della lettera pastorale che all’inizio di questo Giubileo il vescovo Napolioni ha dedicato al Santuario lauretano: «Sì, il silenzio diventa subito facile e bello nella Santa Casa, un silenzio carico di intimità familiare, di confidenza filiale, di preghiera del cuore. Nel silenzio salgono subito all’anima le stesse parole dell’Angelo con cui salutiamo Maria. E fare delle nostre case luoghi in cui saperci fermare, riposare, dialogare, facendo buona manutenzione degli affetti».
Così «l’annuncio dell’angelo rivela il nome con cui possiamo chiamarci e indica la missione da compiere», quella missione che nel suo messaggio alla diocesi Napolioni aveva tradotto con parole precise: «Chiedo a tutti i membri delle nostre comunità di aver sempre cura di visitare le persone sole e ammalate in casa, di bussare senza paura alle porte dei vicini, di costruire instancabilmente rapporti cordiali nel condominio e nel quartiere, di riunirsi con gli amici e i conoscenti per qualche gesto di preghiera». Questa – ha quindi concluso la sua riflessione l’arcivescovo – è dunque la «via della felicità» su cui la Vergine lauretana precede il suo popolo, fatta di gratitudine, silenzio, fierezza e del coraggio di bussare alla porta accanto. Di casa in casa, proprio come nella serata che conclude il Giubileo lauretano: dalla Cattedrale alla Santa Casa, al cuore della città. (www.diocesidicremona.it)
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