5 giugno 2023

La Divina Commedia tradotta in dialetto cremonese, giovedì 8 giugno verrà presentato "L'Infeèrno a la me manéera" di Sergio Marelli

Dante Alighieri tradotto in dialetto cremonese. Non è uno scherzo, ma il lungo lavoro di Sergio Marelli, rivisto dal dialettologo Agostino Melega. Giovedì 8 giugno, alle ore 16.00 nella Sala dei Quadri del Palazzo Comunale di Cremona verrà presentato infatti il volume “L “INFÈERNO A LA ME MANÉERA” di SERGIO MARELLI, mentre il Dott. Agostino Melega e la moglie Rosella leggeranno alcune pagine, del nostro inconfondibile Dialetto, che ci richiama con la “parola” a ciò che di più bello ci appartiene sul piano culturale.

La Divina Commedia di Dante Alighieri è considerata uno dei capolavori della letteratura mondiale: dal Trecento fino ad oggi, essa è stata letta e commentata innumerevoli volte, ed è stata anche ripresa e rielaborata in diverse versioni, persino, nei tempi più recenti, attraverso i fumetti, i videogiochi, il cinema. In particolare, in Italia è stata sottoposta a diverse traduzioni dialettali, talvolta fedeli, talvolta parodiche, di livello certamente più basso dell’opera originale, ma sicuramente di alto interesse letterario e soprattutto linguistico.

Per il primo travestimento dell’opera dantesca si deve aspettare il Seicento, quando il messinese Paolo Principato, dell’ordine di san Francesco da Paola, la volse in siciliano. Solo due secoli dopo, tra il 1804 e il 1805, il milanese Carlo Porta si impegnò nel ridurre in vernacolo milanese i primi cinque canti dell’Inferno, di cui solo il primo integrale. Dall’opera del Porta comparvero innumerevoli versioni dialettali del capolavoro dantesco, ma veramente poche erano integrali: la maggioranza si limitava a una manciata di canti, alcune arrivavano a una sola cantica (quella dell’Inferno in particolare). Nella storia del Comitato di Cremona della Società Dante Alighieri, un posto privilegiato appartiene alla LINGUA, Italiano e Dialetto, proprio nella realtà della vicenda dantesca, pensando che Dante derivò il Volgare dai 14 Dialetti al suo tempo in uso, sia pure in realtà diverse.

Tra il 1304 e il 1307, Dante compose il “De Vulgari eloquentia”, un trattato in lingua latina, che rimase interrotto nel XIV capitolo del libro II. L’opera affrontava un problema che potremmo chiamare linguistico, perché, dopo avere cercato quale sia l’origine della grande varietà delle lingue parlate, che egli fa risalire alla torre di Babele, Dante si ferma a lungo sui numerosi dialetti italiani, e sulla lingua degli scrittori. Per Dante nessuno dei quattordici dialetti esistenti in Italia è degno di essere adoperato nelle scritture per le quali egli propose invece l’uso di un volgare che accogliesse in sé il fiore dei volgari italiani. Le ultime pagine italiane iniziano l’esame delle forme metriche, fermandosi sulla canzone, considerata come la più adatta agli argomenti elevati. Così, Dante si interessò di Lingua, per approdare ad una sola lingua che coincidesse con un progetto di “Unità” italiana, di cui faranno tesoro i cultori delle lingue in seguito. Nella storia del nostro Sodalizio, un posto privilegiato appartiene alla LINGUA, Italiano e Dialetto, proprio nella realtà della vicenda dantesca, pensando che Dante derivò il Volgare dai 14 Dialetti al suo tempo in uso, sia pure in realtà diverse. Tra il 1304 e il 1307, Dante compose il “De Vulgari eloquentia”, un trattato in lingua latina, che rimase interrotto nel XIV capitolo del libro II. L’opera affrontava un problema che potremmo chiamare linguistico, perché, dopo avere cercato quale sia l’origine della grande varietà delle lingue parlate, che egli fa risalire alla torre di Babele, Dante si ferma a lungo sui numerosi dialetti italiani, e sulla lingua degli scrittori. Per Dante nessuno dei quattordici dialetti esistenti in Italia è degno di essere adoperato nelle scritture per le quali egli propose invece l’uso di un volgare che accogliesse in sé il fiore dei volgari italiani. Le ultime pagine italiane iniziano l’esame delle forme metriche, fermandosi sulla canzone, considerata come la più adatta agli argomenti elevati.

Così, Dante si interessò di Lingua, per approdare ad una sola lingua che coincidesse con un progetto di “Unità” italiana, di cui faranno tesoro i cultori delle lingue in seguito. Noi, dietro questo lontano progetto, proponiamo la bellezza del nostro DIALETTO, che a Cremona ebbe ed ha una lunga storia, di cui noi pure ci siamo occupati in tempi diversi, con un vivo interesse culturale.

Alla fine della Presentazione e della Lettura, interverrà il “Coro Paulli” del M° Giorgio Scolari, con quattro Canti della nostra cultura contadina. Introdurrà il Sindaco Dott. Gianluca Galimberti, sottolineando la dimensione della nostra “Cremonesità” nel fascino del suo folklore.

L'inferno dantesco di SERGIO MARELLI (così ne parlava il Prof. Gianfranco Taglietti)

Entusiasta del vernacolo e innamorato del Sommo Poeta, ci ha lasciato una gradevolissima ricostruzione personale dell'Inferno dantesco.

Sergio Marelli, nato a Cremona il 6 maggio 1925, morì a Cremona il 12 ottobre 1996, dopo breve malattia.

Compiuti a Cremona gli studi medi, frequentò, a Roma, l'Istituto di perfezionamento per l'insegnamento dell'educazione fisica. Volontario in guerra, fu arruolato nella X Mas. Trovò, al ritorno, lavoro come impiegato alla Azienda Farmaceutica fino a quando, con la moglie Flora Ruggeri, gestì il ristorante "Centrale", dove prestò la sua opera fino a poche settimane dalla morte. Amante del lavoro, dedito agli affetti familiari, coltivò come hobby la numismatica, imparò a suonare la pianola e, da ul-timo, si immerse nella lettura della "Divina Commedia" di Dante; da qui l'idea (impegnativa!) di tradurre in dialetto cremonese l'intera opera.

Colpito da male crudele, morì nel 1996 con in mano la "Divina Commedia", mentre stava rivedendo alcuni passi della sua traduzione. L'Inferno alla mia maniera, cioè nel modo in cui l'ho interpretato io.

Questo il titolo della traduzione di Marelli, che ben si adatta al testo. Tra le varie "letture" a cui è stata sottoposta la Commedia, questa di Marelli assume il tono della favola, di racconto avventuroso da narrare alla nipotina. Egli la legge con l'ingenuo candore di un animo sgombro da erudizione, dalle elucubrazioni dei raffinati esegeti. L' interpreta a modo suo, con l'ingenuità di chi resta affascinato dal racconto di tutta la vicenda, dall'avventura ultraterrena di Dante e della sua Guida.

Se leggiamo con lo stesso spirito, gustando le immagini e le parole saporose del nostro vernacolo, si potrà godere la traduzione nella sua semplicità, nel suo candore popolaresco. E così capiremo perché la sua versione non è per nulla letterale, ma ricostruzione personale, una rivisitazione nuova, irrispettosa (se si vuole), ma di una vivacità spontanea, senza pregiudizi.

Si tratta, come all'inizio si diceva, di una traduzione originale, di un testo rivissuto con personale par-tecipazione. Il linguaggio è sapido, efficace, ricco di valore gergale, ben vivo e ben maneggiato. Valgano queste considerazioni a rendere appetibile la lettura di questa traduzione del "Divino Poema" e per rendere un postumo, affettuoso omaggio a Sergio Marelli, innamorato di Dante.


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