15 settembre 2024

La storia cremonese di Renato Vallanzasca: era un sedicenne quando entrò a Villa Gerani di Pizzighettone, ma la sua carriera criminale era già tracciata. La poesia inedita che scrisse nel reclusorio

Aveva appena 16 anni quando arrivò a Pizzighettone, a 'Villa dei Gerani', il riformatorio minorile, dove veninvano destinati ragazzi e ragazzini che già avevano avuto problemi con la giustizia. Parliamo di Renato Vallanzasca, classe 1950, che tutti ricorderanno per essere diventato uno dei più feroci criminali del nostro Paese, il 'boss della Comasina' (era nato a Milano), detto anche il 'bel Renè', l'uomo dagli occhi di ghiaccio che ha insanguinato le cronache italiane.

E il 'bel Renè' non aveva tardato a dare i primi segni di quella ribellione, quella capacità di essere un leader maledetto che poi lo avrebbero portato ad accumulare 4 eragstoli e 295 anni di carcere per i suoi crimini: già a nove anni si era messo alla guida di quella che oggi verrebbe definita una baby gang, riuscendo a liberare una tigre da un circo. Era ancora un bambino e quella tigre fu solo il primo di una infinita serie di atti criminali che hanno consegnato alla storia le sue azioni. Da questa 'bravata' infatti Vallanzasca passò presto ai reati veri e propri: furti, rapine violente, ma anche sequestri e omicidi. Una vita dannata e criminale la sua, senza pietà e senza rimorsi.

Una pagina del Corriere della Sera datata 19 luglio 1969 riporta la notizia di una tentata rapina attacando così il pezzo: "La prima impresa di un apprendista rapinatore è fallita ieri pomeriggio, ma poteva anche finire peggio". L'apprendista rapinatore era proprio un giovanissimo Vallanzasca, che nell'impresa non esitò a puntare la pistola contro due passanti e fare fuoco. Solo per miracolo, o per inesperienza, le pallottole non uccisero i due malcapitati.

Oggi è un uomo ormai anziano che dopo una vita consumata in galera non è nemmeno più nelle condizioni di restare in carcere perchè la sua salute è peggiorata, la sua mente negli anni ha subito un 'decadimento cognitivo', e la pietà umana, quella che lui non ebbe mai con le sue vittime, impone di trasferirlo dal carcere di Bollate in una struttura assistenziale con differimento della pena in regime di detenzione domiciliare. 

Decisioni che fanno sempre riflettere e lasciano interrogativi aperti. 

Ma qui non parleremo del vecchio Vallanzasca, oggi malato nel fisico e nella mente.

Parleremo del giovane 'Renè' che negli anni '60, poco più che ragazzo ma già con una lunga serie di reati alle spalle, finì anche nel reclusorio minorile di Pizzighettone, la famosa 'Villa dei Gerani', uno dei primi istituti di rieducazione minorili per il recupero dei giovani. Per questo non aveva sbarre alle finestre e aveva un nome quasi poetico. Era un po' il contraltare del Beccaria, che invece era un vero e proprio carcere minorile. 

Per questo Vallanzasca nel suo diario scrive che sarebbe stato mandato a Cremona (inteso Pizzighettone, in provincia di Cremona) e che da lì, non essendoci sbarre alle finestre, sarebbe scappato presto. Era il 1966 quando il bel Renè divenne a tutti gli effetti un 'baràbiin' (piccolo Barabba), come venivano chiamati i ragazzi passati da Villa dei Gerani. Tutti giovani con storie maledette alle spalle e un futuro tutto da riscrivere.

Villa dei Gerani era una struttura che si apriva al territorio, dove anche i ragazzi del paese potevano andare a giocare nella palestra interna o interagire con gli altri che vivevano nel reclusorio, proprio per la finalità di recupero che si poneva questo istituto. E di fatti Vallanzasca, una volta scontata la pena, sarebbe tornato più volte a Pizzighettone a trovare i suoi amici, presentandosi con una rombante fuoriserie.

Ma anche all'interno dell'istituto, il futuro boss della Comasina non mancò di dare libero sfogo a quella tigre che si voleva tenere in gabbia: una volta tenne in ostaggio per ore un professore puntandogli un punteruolo all'addome e minacciandolo di morte per la sola 'colpa' di aver interrotto, il giorno prima, un'aggressione ad una collega, pesantemente importunata dai ragazzi che, all'interno della Villa, frequentavano le lezioni per prepararsi agli esami di terza media. Alla fine lasciò andare l'uomo, dopo averlo terrorizzato, concedendogli che in realtà non era una cattiva persona e che pertanto lo avrebbe lasciato vivere. 

In un'altra occasione invece sfruttò un permesso di uscita per recarsi a Milano ed intrufolarsi negli spogliatoi dell'Inter, da cui rubò un paio di scarpe da calcio. Perchè? Perchè aveva promesso un paio di scarpe da calcio nuove ad un ragazzo che faceva la guardia carceraria a Pizzighettone e che giocava nella squadra giovanile.

Oltre agli aneddoti e ai racconti del ricercatore Gianfranco Gambarelli, della presenza del Vallanzasca sedicenne a Pizzighettone è rimasta una sua poesia intitolata “Un amore”

"Un amore

ricordi d'un tempo passato

d'attimi felici.

Un amore che mai doveva finire.

Come tenue fiammella

spenta

senza un perchè.

Andata

Come bianca corolla

rubata dal vento.

Di me un ricordo,

un'immagine,

o nulla più"

Una lirica delicata e struggente. Chissà se la scrisse davvero lui, quel sedicenne con una storia già segnata che di lì a pochi anni sarebbe diventato un feroce criminale, pronto a puntare la pistola in faccia alla gente e sparare senza pietà. 

Oggi Vallanzasca sta scontando quattro ergastoli e 295 anni di reclusione. Uscirà da dietro le sbarre per finire i suoi giorni in un ospizio del Veneto specializzato nel seguire pazienti con l'Alzheimer.. 

Michela Garatti


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commenti


Sergio

15 settembre 2024 12:08

Mio padre Mario Maggi è stato insegnante di musica a Villa Gerani , ed ebbe modo di conoscere anche il giovane Vallanzasca. Una bella ma complicata esperienza formativa che ricordava sempre sicuramente formativa.

Michele de Crecchio

15 settembre 2024 15:19

Nelle sue memorie, che lessi alcuni anni or sono, Renato Vallanzasca ricorda di avere, a suo tempo, in gioventù, tentato, senza successo, di riprendere gli studi che aveva lasciato interrotti anni prima. Credo che si riferisca al tentativo che fece di ottenere la maturità tecnica per geometri presentandosi come "privatista" in una scuola di Milano, nei primi anni 70, tentativo fallito perché la sua preparazione, soprattutto nelle materie tecniche, era decisamente troppo modesta. Posso citare questa vicenda perché, giovanissimo insegnante, facevo parte della commissione esaminatrice. Sicuramente la sua personalità doveva essere particolare e non priva di qualità se, dopo tanti anni, mi ricordo ancora certi dettagli del suo esame.