11 maggio 2022

La storia del "fabbro di Dio". Dalle mani sapienti di Enrico Sassi i lavori in ferro battuto degli arredi sacri delle chiese di Cremona

Un amico lo ha definito 'il fabbro di Dio'. “Non lo sono perché i fabbri erano artisti veri e propri che nella loro fucina, partendo da una zappa o un badile, sapevano fare di tutto tutto, oggetti stupendi come cancelli, lance, scudi. Io mi limito a qualche semplice ricamo”, si schermisce lui. Eppure Enrico Sassi, 74 anni, ex addetto dell'officina dell'Ocrim, crea articoli meravigliosi, pezzi unici, per lo più in ferro battuto, per il servizio liturgico che adornano alcune chiese cremonesi.
Gli sono sempre piaciute l'arte, la pittura, la scultura e sin da giovane è stato abile con le mani, ma la sua passione è sbocciata in tutta la sua potenzialità dopo essere andato pensione.
Il mio vecchio parroco di San Pietro, don Attilio Arcagni, mi disse che aveva bisogno di un supporto per il turibolo quando alle funzioni non c'erano il chierichetto o il sagrestano. Un giorno me lo vidi arrivare: 'Cos'è quell'affare lì? No, no, è troppo bello: diventerà il sostegno per il cero del Santissimo'. E così è stato. Dimenticavo: la base del turibolo non l'ho più fatta”.
Da quel momento Enrico scende regolarmente, 3-4 giorni alla settimana, nel piccolo scantinato di casa, freddo d'inverno e caldo l'estate, trasformato in laboratorio e, in silenzio, si mette all'opera. “Comincio con gli schizzi, disegni di 10 per 7 centimetri utili per l'idea che ho in mente e che sviluppo man mano”.
I suoi arnesi del mestiere sono fiamma ossidrica per saldare, che si fa prestare di volta in volta, martello, incudine, flessibile, scalpelli (realizzati da lui); il suo materiale, tondini di ferro, lastre di lamiera, fogli di piombo. Elementi informi da cui escono autentici capolavori come candelabri, decorazioni per leggio, cornici di quadri. I suoi soggetti preferiti sono i fiori (rose, gigli, magnolie), con le foglie che adornano la struttura delle opere. Un fiore richiede un giorno e mezzo di impegno. Per incidere una rosa si parte da due piccoli petali centrali, che vengono saldati al gambo creando così il bulbo. Poi si applicano le altre serie di tre petali. A seconda dell'apertura della rosa, si arriva a 11, 14 o 17 petali. “Alla fine i fiori sembrano così veri che viene voglia di innaffiarli”, sorride la moglie di Enrico, Mariarosa Bresciani, la prima esaminatrice: “Scendo nello scantinato e gli domando: com'è che sei riuscito a fare una cosa con quella leggerezza, quella gradevolezza?”.
La maestria e la generosità del marito sono volate sulle ali del passaparola. Gli sono stati 'ordinati' arredi per gli altari di altre chiese della città, oltre a quella di San Pietro: San Girolamo, Santa Rita, Santa Lucia, le Figlie di San Camillo, dei Mortini (in via Rialto).
A San Sigismondo è stato esposto un suo reliquiario in acciaio inossidabile che riproduce fedelmente una composizione floreale simile a quella disegnata e dipinta da Santa Teresa di Gesù Bambino per decorare un paramento liturgico, la pianeta, attraverso la quale la religiosa ha voluto rappresentare la sua famiglia. Il reliquiario sta girando per l'Italia e ora è arrivato in Brianza. “Ci ho messo un anno per terminarlo, lavorando poche ore al giorno. Non riesco a dire di no ai sacerdoti che mi chiedono una mano”.
Il grande portone della casa parrocchiale di San Pietro, dov'è cresciuto e a cui è legatissimo (“Ho passato tutta la mia vita qui”), doveva essere guarnito con 200 borchie, che però costavano 2 euro l'una. E così il fabbro che non si ritiene un fabbro ma “un semplice manipolatore del ferro” ha filettato, uno dopo l'altro, 200 chiodi (0,70 euro ognuno) per farli diventare borchie. E 32 sono a forma di quadrifoglio.
Il pensionato dell'Ocrim sta ultimando un altro reliquario, destinato alla chiesa di Sant'Imerio e San Pietro, e ha in programma un leggio per quella di Sant'Abbondio. “All'inizio mi stupivo anch'io di me stesso, ora meno. Perché faccio tutto questo? Perché me lo sento, uno risponde con le sue capacità alle necessità, ai bisogni che gli vengono segnalati. Mi basta che il risultato finale piaccia a me e al committente, non mi serve altro. Sì, lo faccio anche per fede, forse è una parola grossa, ma c'entra anche quella”.
 
nella foto Enrico Sassi davanti al quadro di Gesù Misericordioso a San Pietro e il reliquiario esposto a San Sigismondo e a seguire, alcuni dei suoi lavori per chiesa di San Pietro: il candelabro, il leggio, il portacero, la cornice del quadro 'Gesu' misericordioso', il portone di San Pietro. Poi il portacero a San Girolamo (riproduzione di una foto di Giancarlo Gobbi)

 

Gilberto Bazoli


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