La storia di Cremona nelle vicende degli ordini templari e la missione del vescovo inquisitore che li volle incastrare. Un racconto millenario del medievista don Massimo Fava
La conferenza “Templari tra Parma e Borgo San Donnino” che si è tenuta pochi giorni fa a San Secondo Parmense su iniziativa dell’associazione culturale “Vicus Petiatus” è stata anche l’occasione per mettere in evidenza e ripercorrere pezzi di storia cremonese legati appunto all’ordine dei cavalieri Templari. Relatore della serata è stato don Massimo Fava, parroco di San Secondo Parmense e archeologo medievista, autore di importanti studi e ricerche. Che è andato letteralmente a “scavare” tra l’archeologia dei documenti (molti dei quali inediti) e quella dei monumenti. In apertura di incontro si è soffermato sul Chronicum Parmense del 1309. Nell’agosto dell’anno precedente anche a Ravenna giunsero le bolle con le quali papa Clemente V annunciava l’apertura dei processi canonici contro i Templari, fissandone i criteri, i fini e le procedure.
Destinatario di tali documenti era Rinaldo di Concorrezzo, Arcivescovo di Ravenna, il quale, assieme all’Arcivescovo di Pisa, al Vescovo di Firenze ed al Vescovo di Cremona Rainierio del Porrina di Casole (vescovo di Cremona dal 1296 al 1312), avrebbe presieduto la commissione inquirente sui Templari nell’Italia centro-settentrionale: Lombardia, Marca Trevigiana, Istria, Aquileia, la provincia ravennate e la Toscana. Ij quanto al vescovo Rainerio del Porrina di Cremona va anticipato che quando le pressioni del re francese Filippo Il Bello, nei confronti dei Templari si fecero più acute, mantenne un atteggiamento risoluto in difesa dell'ordine. Papa Clemente V, costretto da Filippo IV, a condividerne le posizioni ostili ai Templari, dalla sua sede francese emise, nel 1308, la bolla Faciens misericordiam, con la quale nominava, anche in Italia, una commissione pontificia, ove insieme a Rinaldo da Concorezzo, arcivescovo di Ravenna, il domenicano fra Giovanni di Polo, arcivescovo di Pisa e Lottieri della Tosa, vescovo di Firenze (che nel frattempo morì improvvisamente), fu chiamato lo stesso Porrina, per indagare, sulle responsabilità dei cavalieri dell'ordine. In effetti però, le direttive, seppure non esplicite, invitavano ad eseguire una vera e propria inquisizione.
Il vescovo di Cremona fu impegnato in una lunga serie di missioni inquisitorie, sul territorio della penisola, spingendosi poi fino a Zara. Furono effettuate lunghe indagini e interrogatori, le cui verbalizzazioni furono poi mandate in Francia, presso la corte papale. Al contrario, però, di quanto avvenne altrove, lui e gli altri tre vescovi della commissione, che, si rammenta, erano stati tutti nominati da Bonifacio VIII, si rifiutarono, sempre, di usare lo strumento della tortura. Rainerio, nonostante le pressioni, in definitiva assunse un atteggiamento dilatorio, senza raccogliere alcuna prova sostanziale. In questa difficile controversia, alla fine, nel gennaio del 1309, Clemente V, con nuova bolla, Vox in excelso, dichiarò i Templari “sospetti di eresia”. Il Porrina insieme agli altri vescovi, riuniti nel giugno dello stesso anno, nel concilio provinciale a Ravenna, con una risposta coraggiosa, mentre da una parte con una deliberazione fece abolire l’uso della tortura, dall'altra insieme ai vescovi Rinaldo e Giovanni assolse, i Templari, già indagati singolarmente, riconoscendone l’innocenza. In questa ormai aspra contrapposizione, infine, il papa emise un'altra bolla, la Considerantes dudum, con la quale, in pratica, avocando a sé il giudizio finale sui dignitari dell'Ordine dei Templari, smentiva il Porrina e gli altri vescovi, costringendoli alla sottomissione. Gli eventi, che seguirono, confinarono Rainiero in una scomoda posizione. Pur rimanendo Vescovo di Cremona, venne utilizzato per altri incarichi il più noto dei quali, riguardò la sottomissione di alcuni seguaci dell'eretico fra Dolcino da Novara che ancora esistevano, tra i monti del Ducato di Spoleto nello Stato della Chiesa. Nel 1311, ormai avanti negli anni, partecipò al Concilio di Vienne. Insieme a Rinaldo di Concorezzo, fu espressione della corrente dei vescovi oppositori al papa, i quali negarono, ancora una volta, l'obbligo di obbedire, sempre e in tutto, alla volontà del papa, e, soprattutto, ribadirono la loro opposizione all'utilizzo della tortura.
Tornando alla conferenza di San Secondo Parmense e mettendo mano al Chronicum Parmense del 1309 don Fava ha ricordato che in quel tempo l’ordine dei frati Templari fu deposto in tutto il mondo per volere della Santa Chiesa e del papa perché incolpati di crimine e di eresia perché, tra le altre cose, a detta degli accusatori, negavano il fatto che Cristo fosse stato crocifisso e sputavano sulla Santa Croce in spregio allo stesso Gesù ed a tutti i cristiani. “Per questo – ha spiegato don Massimo Fava – si dice che l’arcivescovo di Ravenna venne a Parma e nelle altre terre di Lombardia (quindi anche Cremona?) su comando della Santa Sede Apostolica per emanare la sentenza di scomunica e di deposizione dell’ordine dandovi esecuzione. Va però detto che le poche righe del Chronicum Parmense sono piene di imprecisioni e, in realtà, l’Ordine del Tempio non fu soppresso nel 1309 come scrive il cronista, ma il 3 aprile 1312; la visite dell’arcivescovo di Ravenna Rinaldo da Concorezzo a Parma non è attestata nei documenti ed i fatti del 1309 sarebbero accaduti in autunno e non in giugno. Questo lo attesta un solenne atto rogato martedì 4 novembre 1309 dal notaio Bernardino Capra, scriba della Curia di Parma. In cattedrale a Parma si radunarono molti esponenti del clero, ci furono suoni di campane e squilli di tromba del banditore pubblico che annunciava la convocazione in duomo.
Giovanni da Castiglione, vicario dell’Arcivescovo di Ravenna, in quella occasione lesse pubblicamente, ad alta voce, le lettere di papa Clemente V contro l’ordine Templare e quelle degli Arcivescovi di Pisa e Ravenna oltre che del vescovo di Cremona relative ai processi contro i Templari. Lo fece in latino ed in volgare di modo che tutti potessero capire bene”. Tra i presenti, quel giorno, anche Jacopo Manduca, cameriere del vescovo di Parma Papiniano della Rovere, Gerardo da Cornazzano (prevosto della pieve di Borgo San Donnino, l’odierna Fidenza, all’epoca in diocesi di Parma) e Alessandro Ganghettini, sindaco di Brescia. Come si era arrivati ad indire un pubblico processo contro i Templari? “Dopo la caduta di Acri del 1291 – ha spiegato don Fava – i Templari, fondati 170 anni prima da Re Baldovino II di Gerusalemme, avevano in qualche modo imboccato il declino. Dopo la caduta degli Stati Crociati a partire appunto dalla disfatta di Acri del 1291 cominciò anche la disfatta dei Templari in Europa. In Francia – ha ricordato – Re Filippo Il Bello, che voleva i loro beni, aveva iniziato una campagna diffamatoria capillare contro di loro culminata nel 1307 quando furono arrestati ed i loro beni vennero sequestrati. In un primo tempo, papa Clemente V che era in esilio ad Avignone, era offeso perché si era sentito scavalcato, nei suoi poteri, dal Re che, tuttavia, con astuzia, aveva minacciato di inscenare un processo per eresia a carico di papa Bonifacio VIII che era molto pochi anni prima e avrebbe quindi voluto farlo dichiarare eretico. Clemente V di fatto si arrese ma, pochi anni fa, nel 2010, Barbara Frale, archivista dell’Archivio Segreto Vaticano, ha ritrovato un documento che dimostra che quella di arrendersi al Re non era l’idea originaria del pontefice. Infatti a metà agosto del 1308 il papa, all’insaputa del Re, aveva convocato al castello di Chinon, sulla Loira, il gran maestro dell’ordine dei Templari Jacques De Molay, e lo aveva assolto dall’accusa di eresia riconciliandolo con la fede cattolica. Questo documento è stato pubblicato a Natale del 2010, dopo che da otto secoli gli storici lo cercavano.
La volontà del papa – ha aggiunto – era quella di ‘fregare’ il Re assolvendo i Templari ma il piano fu scoperto e a fine agosto, con la bolla “Faciens Misericordiam” (di cui uno degli originali è conservato nell’Archivio Vescovile di Parma) venne dato il via al processo esplorativo per vagliare se i Templari potevano davvero essere accusati di eresia o se invece assolverli riconciliandoli con la fede cattolica senza alcun colpevole, come avrebbe voluto papa Clemente V. Per l’Italia centro settentrionale il papa, non potendo presenziare al processo inquisitorio dal momento che si era in Francia, nominò una commissione composta dall’arcivescovo metropolita di Ravenna (dal quale anche Parma dipendeva), dall’Arcivescovo di Pisa, dal vescovo di Firenze che nel frattempo morì e dal vescovo di Cremona. Agli altri inquisitori locali era dato l’incarico di tenere in custodia cautelare i Templari, sequestrare i loro beni e ben amministrarli in attesa di darli ai commissari papali che, per la improvvisa morte del vescovo di Firenze, erano rimasti in tre. La Commissione Pontificia – ha ricordato – si riunì a Bologna nel settembre del 1309 per concordare una linea d’azione comune e ciascuno dei tre vescovi (compreso quindi quello di Cremona) si riservò di inquisire, senza essere assistito dagli altri due, nella propria diocesi e nella propria provincia ecclesiastica, delegando i propri poteri a vicari incaricati di pubblicare le bolle papali, le lettere dei vescovi e di ricevere i beni amministrati dagli incaricati di ogni città. Quella fu la prime solenne pubblicazione delle bolle pontificie in tutto l’Occidente e sempre il 4 novembre 1309 ci fu l’inventario dei beni dei Templari in Parma. L’inquisitore frate Salvino dei Domenicani (anche per la parte lombarda) consegnò l’inventario della Domus di Parma che comprendeva sia denaro che beni. Frate Salvino era vicario di frate Egidio De Prosperi, domenicano, inquisitor heretrice pravitatis in Parma ed partibus Lombardie inferioris”.
Il parroco di San Secondo Parmense si è quindi soffermato sui principali luoghi templari del parmense, vale a dire la Ecclesie Sancte Mariuae de Capite Pontis di Parma, la domus del Cerro in Plebe Burgi S. Donnini (l’odierna Toccalmatto in Fontanellato), fino alla Pieve di Cabriolo, “ecclesie, mansio et templum domini” a Fidenza, con una piccola motta designata con il toponimo Cacobrolo, Carabiolo, Carubiolo o Cacoprolo, senza dimenticare le 23 mansiones di Piacenza e quelle in Parma città. Grazie ad una attenta ricerca sulle fonti ha anche svelato tre notizie: “La “Domus de Cerro” a Toccalmatto nel 1170 era già attiva; nel 1227 certamente era presente la “Casa del Tempio” a Cabriolo; nel 1268 a Carubiolo c’era frate Gabriele; il 7 maggio 1310 a Cipro risulta un templare inquisito, che fu ordinato proprio nella a Fidenza. Ha anche mostrato un documento del 20 novembre 1309 in cui si evidenzia che nella Casa dell’Ordine dei Frati Predicatori di Cremona, l’inquisitore frate Guglielmo Cigala, domenicano, fece il rendiconto dell’amministrazione dei beni templari di Piacenza e, fra gli introiti, vennero registrati 189 soldi depositati per conto di frate Giacomo de Fontana dell’ordine dei Templari, mentre fra le spese figurava la somma di 100 fiorini d’oro dati allo stesso Giacomo de Fontana per far fronte alle necessità sue e al suo vitto. L’inquisitore ricorda anche che questo Giacomo de Fontana da un anno era ammalato dopo che, nell’agosto del 1308, era stato assalito, spogliato e picchiato nella Domus Templare di Cabriolo che era stata anche distrutta e bruciata.
In quanto all’Arcivescovo di Ravenna Rinaldo da Concorezzo, referente di tutte le diocesi per l’Emilia, questi per primo vietò l’uso della tortura per obbligare i templari - falsamente accusati di aver tradito la religione cristiana e processati davanti agli inquisitori - ad ammettere ciò che mai avevano commesso. Caddero così i 118 capi d’accusa e ci fu l’assoluzione in blocco dei templari. “Un antesignano dei diritti umani - come lo ha definito don Fava - e difensore della giustizia contro coloro che accusavano i templari di nefandezze per impossessarsi dei loro beni”. Per questa assoluzione in blocco dei Templari, papa Clemente V si sentì gravemente offeso dall’Arcivescovo ravennate e convocò il Concilio di Vienne, in Francia, proprio per discutere della questione templare. Il concilio si aprì il 16 ottobre 1311 e fu subito chiaro che la grande maggioranza dei vescovi erano favorevoli all’Ordine dei Templari.
A causa di questo il papa si sentì in grande difficoltà e tergiversò alcuni mesi, trovandosi da una parte gran parte dei vescovi schierati con i Templari e, dall’altra, il Re Filippo Il Bello che voleva distruggerli. Ma dopo l’arrivo del Re a Vienne dovette prendere una decisione e trasferì i beni templari non al re, che pur li voleva, ma ai Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme. L’ultimo gran maestro dei Templari Jacques De Molay, come ricordato ancora dal sacerdote, all’insaputa del papa fu arso sl rogo a Parigi il 18 marzo 1314 insieme a Geoffrey De Charnay, il gran precettore di Normandia. In terra emiliana, la Domus Templare di Parma, quella di Cerro e quel che restava della Domus di Cabriolo passarono invece all’Ordine degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, detti poi anche di Rodi e di Malta, Ordine religioso cavalleresco nato intorno alla prima metà dell'XI secolo (probabilmente nel 1048) a Gerusalemme, intitolato a San Giovanni Battista ed i cui membri erano detti anche cavalieri giovanniti o gerosolimitani. Tuttavia, a Parma, il ricordo dei Templari non venne certo meno tant’è che vennero “rievocati” durante le feste di Carnevale del 1318 e del 1327.
Tuttora questo ordine riscuote grande interesse, specie da parte di studiosi, storici, uomini della cultura ed ecclesiastici. Di certo non si può che definire ingiusta e violenta la soppressione avvenuta nel 1312: decisione che impietosa che condannò i Templari alla ‘damnatio memoriae’ e gran parte della documentazione attestante la loro presenza sui territori di tutta Europa finì, purtroppo inesorabilmente distrutta.
Eremita del Po
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