23 giugno 2024

Nella chiesa di San Marcellino (gremita) la straordinaria atmosfera della "Missa in Illo Tempore" di Monteverdi con l'Orchestra Modo Antiquo di Federico Maria Sardelli

Descrivere un concerto di Federico Maria Sardelli e della sua Orchestra Modo Antiquo è semplice come raccontare di Ermete Trismegisto. 

Ieri sera a San Marcellino, alla presenza di una platea gremita di pubblico, la trasmutazione si è felicemente compiuta, in occasione del Festival Monteverdi, che ha ospitato il Maestro e i suoi sodali per un programma articolato tra brani monteverdiani e due sonate del compositore veneziano Dario Castello. 

La Missa In Illo Tempore è una composizione che all’interno della produzione di Monteverdi è funzionale a un obiettivo: non sperimentazione ma dimostrazione tangibile del magistero compositivo del Cremonese, omaggio alla tradizione rinascimentale (come non pensare alla Missa papae Marcelli di Giovanni Pierluigi da Palestrina, anch’essa scritta per sei voci) ed esempio tangibile della dimestichezza con la prima prattica, nella scia dei grandi maestri fiamminghi: Gombert, autore del mottetto da cui Monteverdi estrae i temi per questa missa parodia, ma anche Josquin e de Vert, che era stato attivo a Mantova prima di Monteverdi. La musica sacra, per Monteverdi, non è luogo di sperimentazione radicale ma piuttosto di compiaciuta esibizione di dottrina, in cui lo stile antico è appena increspato dalle tentazioni del madrigalismo.

Il compositore cremonese rivolge lo sguardo al passato e costruisce un edificio perfetto: l’ensemble Modo Antiquo restituisce questo equilibrio con rigorosa compostezza. Già nelle prime note del Kyrie è contenuta l’essenza della scrittura contrappuntistica in cui le imitazioni e le messe di voce si rincorrono tra le parti mentre melismi si spandono fluenti sostenuti dal gruppo del continuo intorno a cui sono disposti i cantanti. Sardelli guida con mano sicura e non permette nessun manierismo, non illanguidisce, non concede: le voci procedono geometricamente spazializzate, guidate da un principio di pura astrazione. Non una direzione rigida, ma neanche aperta a un respiro di troppo, all’idea di una possibilità che prescinda dal logos che tutto presiede. Roberta Invernizzi spicca tra le voci per potenza, vis interpretativa e padronanza delle fioriture melismatiche, mentre nelle sezioni omoritmiche come ad esempio l’Et Incarnatus, la coralità verticale ritrova coesione ed equilibrio. 

Nelle due Sonate Concertate in stil moderno il pubblico viene trasportato in un’atmosfera sospesa: l’impasto timbrico dato da cembalo, cornetta, dulciana e tiorba ricrea la temperie della Venezia secentesca, e in assenza di parole ognuno può correre con l’immaginazione a un frusciare di vesti, allo spegnersi improvviso della fiammella di un candelabro, o ancora lo sciabordare lento dell’onda contro la scalinata di un palazzo nella laguna. I musicisti di Modo Antiquo si muovono a loro agio tra le insidie di questa musica nuova (per il suo tempo): le diminuzioni del cornetto sono un’ardua prova di agilità e la cadenza della dulciana lascia senza fiato. Parimenti si districano tra gli effetti di nuovissima fattura gli altri valenti musicisti. Nell’opera di Dario Castello, come chi era presente ha avuto modo di apprezzare nel precedente appuntamento di questo ricchissimo festival, c’è l’idea di quella rivoluzione che a breve succederà nella musica strumentale. Non ancora Vivaldi, ma parte della materia ribollente da cui verrà distillato il genio incombente.

Nel Confitebor tibi Domine e nel Dixit Dominus il focus si sposta sul Monteverdi più ardito e maturo, sperimentale: il cantus e l’altus si inerpicano tra cromatismi e modulazioni in un protagonismo che privilegia l’individualità dell’interprete, e così anche nel Laetatus sum che sorprende per l’ipnotico ostinato del continuo su una cadenza perfetta su cui si snodano le variazioni dell’ensemble, in un pattern sonoro di cui sarà debitore tanto minimalismo dei giorni nostri.

Gran finale con il Beatus Vir, salutato dai convinti e calorosi applausi del pubblico che si è guadagnato un gradito bis.

Fotoservizio di Gianpaolo Guarneri (Studio B12)

 

Angela Alessi


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