25 gennaio 2025

Pieve Fiamena, terra di confine col bresciano dove si veneravano i Santi Faustino e Giovita. Oggi resta una cappelletta sul terrapieno dove sorgeva l'antica pieve. Fu proprietà di Galeazzo Gallerani

Una cascina sulle sponde dell’Oglio, un antico convento e la devozione tutta bresciana verso i Santi Faustino e Giovita; ma non solo, perché ai più attenti non potrà sfuggire che due località dal nome tanto simile abbiano sul loro territorio dei luoghi di culto dedicati ai santi bresciani.

Partiamo dalla cascina: siamo a Scandolara Ripa d’Oglio e più precisamente alla cascina denominata ‘Pieve Fiamena’, un nome che già tradisce la presenza di un importante luogo di culto, una pieve appunto. 

Oggi all’esterno del complesso più antico della cascina resta una cappelletta circondata dagli alberi, su un terrapieno prossimo ai fabbricati: al suo interno un piccolo altare sovrastato dal dipinto che ritrae i due santi bresciani a cui è dedicata. Dell’antica pieve resta oggi solo questa edicola e il culto dei santi Faustino e Giovita.

Un territorio di confine 

Siamo in territorio cremonese, al confine col bresciano e la dedica dell’antica chiesa ai due santi venerati al di là dell’Oglio ci lascia supporre che questa proprietà rientrasse tra quelle dell’antico ed omonimo monastero di Brescia fondato nel 841.

Ad ogni modo, al netto delle ipotesi e delle supposizioni, la prima traccia scritta riferita alla Pieve dei Santi Faustino e Giovita la troviamo come sempre nel Liber Synodalium, dove vengono citate anche le chiese affiliate, ossia le cappelle di Binanuova, Levata, Torre Baruffi, Grontardo, Senigola, Alfiano, Rotorbergo (località non identificata) e San Giovanni del Deserto.

Da altri scritti, risulta quindi che la parrocchiale dei Santi Faustino e Giovita di Scandolara (diocesi di Cremona) era stata ‘accommendata’ a Galeazzo Gallerani, il fratello della celebre Cecilia, la ‘Dama con l’ermellino’, che nel 1498 succedeva anche alla commenda dell’abbazia di Ognissanti (leggi qui la storia).

Da altre fonti scopriamo poi che nel 1563 “la rettoria, detta anche Arcipretura, de SS. Faustino e Giovita di Scandolara, Diocesi di Cremona presso il Fiume Olio” venne conferita da Pio IV al nobile milanese Agosto de Capitanei de Scalve. Il fatto che si parli di un’arcipretura fa capire che si trattava sicuramente di una chiesa di grande importanza sul territorio, nonostante fosse decisamente decentrata rispetto al nucleo del paese.

La Pieve distrutta e poi ricostruita va perdendo importanza

In realtà troviamo date discordanti su questo periodo, ossia in altri documenti del 22 aprile 1519 la chiesa in questione veniva descritta dall’arciprete don Giacomo Brivio come “quasi totalmente distrutta” e addirittura nel 1573 risultava essere stata sostituita da almeno 50 anni dalla chiesa parrocchiale di Scandolara ma di nuovo nel 1579, solo pochi anni dopo, si parla di nuovo della chiesa dei Santi Faustino e Giovita, ancora definita ‘pieve’.

Ad ogni modo, al netto delle date, vi è per certo che l’antica pieve e l'intero complesso architettonico nel corso del XVI secolo andarono distrutta, per ragioni sconosciute, e le funzioni religiose vennero spostate nella chiesa del paese, dedicata a San Michele. Successivamente l’antico edificio sacro venne ricostruito, così come la cascina, anche se la sua funzione di pieve come centro aggregante della vita religiosa e civile era andato ormai scemando, anche in conseguenza del fatto che tutto il complesso dell’ex monastero era decentrato rispetto al nucleo abitato del paese. Tant’è che nel 1602, anno della visita del vescovo Speciano, risultava che la pieve non fosse più adibita al culto (pur essendo stata un tempo chiesa parrocchiale). Eppure fino al XIX secolo si parlerà ancora della chiesa, delle festività legate ai suoi santi patroni e del cimitero di Pieve Fiamena.

Il cimitero, le ossa e quel dosso a fianco della cascina

Sì, perchè sempre nella visita del 1602 si parlava anche di un cimitero in prossimità dell’antica pieve. Circostanza questa confermata anche dal fatto che in molte occasioni, durante scavi avvenuti anche in epoca piuttosto recente, sono stati rinvenuti resti di ossa umane nel terreno vicino alla cascina, fatto che concorda con l’antica usanza di seppellire i defunti nel camposanto a fianco di chiese o monasteri. Ma dov’era situata esattamente la chiesa rispetto ai fabbricati? Oggi troviamo la cappelletta, appena fuori dalla cascina, che sorge su un ampio terrapieno leggermente sopraelevato rispetto al campo ed al resto della campagna circostante. Come mai quel dosso? Forse lì sotto si trovano i resti dell’antica Pieve di cui stiamo parlando? E ancora la conferma deriva dal racconto di chi, negli anni passati, scavando in zona oltre alle ossa trovò anche delle parti murarie sepolte sotto lo strato di terra: parti di muratura e quella che sembrava la sommità di una volta. Gli scavi non proseguirono oltre, ma sicuramente già questa testimonianza ci aiuta a riunire tutte le tessere di questo puzzle e ipotizzare con una certa sicurezza che proprio sotto quel terrapieno si trovino proprio le fondamenta dell’antica Pieve abbattuta, ricostruita e poi lasciata andare a se stessa perché ormai sostituita dalla parrocchiale. Fortunatamente non è andata persa del tutto e, oltre che nei documenti, quella cappelletta rimane oggi a testimoniare l’antica presenza del luogo sacro.

La cascina Pieve Fiamena

Dopo la proprietà dei Fiamengo, da cui il toponimo Pieve Fiamena, i grandi feudatari del luogo furono gli Ala, poi Ala Ponzone, che nel 1963 vendettero la proprietà alla famiglia Bettoni, già fittabili della proprietà da alcuni anni. All’interno di questa cascina non si fatica a trovare ancora i segni della sua lunga e ricca storia: il caseificio con il soffitto a volta, la porcilaia, il fienile, i porticati con i suggestivi archi e le antiche case dei contadini, custodi di un passato che ormai è storia. Per esempio, negli anni ‘60 del secolo scorso, a Pieve Fiamena vivevano una decina di famiglie, oltre un centinaio di persone, che davano vita ad una comunità molto unita e forte, tanto che anche il pranzo diventava un momento di aggregazione: la gente infatti si riuniva per consumare il povero desco presso il portone principale della cascina. Un’usanza insolita non tanto per il fatto di sedersi fuori di casa a mangiare, che era piuttosto comune, quanto per la circostanza che in genere ogni famiglia sedeva davanti alla propria porta di casa, scodella in mano, a mangiare le poche cose che si riusciva a racimolare. A Pieve Fiamena invece il pranzo era un affare collettivo, consumato tutti insieme sotto il portone.

 

Michela Garatti


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