1 novembre 2024

Quella porzione di muro che è rimasta a testimoniare la storia dell'antica badìa di Ognissanti. Non venne mai abbattuto per devozione verso l'effigie di Maria

Della storia di Ognissanti abbiamo già scritto più volte ma, nonostante questa frazione di Pieve San Giacomo sia veramente piccola e oggi abitata da una trentina di anime, non smette mai di rivelarci segreti direttamente dal suo lontano passato e dalla sua lunga e variegata storia.

Basta un po’ di spirito di osservazione e quella curiosità tipica dei bambini, che davanti a qualcosa di insolito o sconosciuto, iniziano a interrogarsi e fare domande.

Oggi infatti a raccontare un altro frammento del passato di questo paesino è una porzione di muro sul lato di una cascina, che riporta tracce e testimonianze della storia non solo dell’edificio, ma dell’intero territorio già da prima dell’anno 1000. 

La Pieve voluta da Matilde di Canossa

Pensate che all’epoca di cui andiamo a parlare il paese di Pieve San Giacomo non aveva ancora una conformazione, bensì era poco più che un villaggio con una chiesa, che si era formato in un punto strategico lungo la via consolare Postumia. Diventerà invece un luogo importante per il territorio un paio di secoli dopo, intorno al 1100, quando la Magna Comitissa Matilde di Canossa eresse a pieve o chiesa plebana (ossia la chiesa madre, con fonte battesimale, centro di una circoscrizione territoriale civile e religiosa) la già esistente chiesa dedicata a San Giacomo Apostolo, di cui si ha testimonianza già nel VII secolo. 

Ma torniamo a quella parte di muro che ancora oggi si trova nella frazione di Ognissanti, appunto.

Qui, infatti, in quello che oggi si chiama vicolo don Gioachino Bonvicini, storico prete di Ognissanti nato nel 1849 a Santa Maria del Campo (quella imponente cascina che si vede appena prima di arrivare a Cremona, percorrendo la Via Giuseppina), in quel vicoletto appunto si nota il muro di una grande cascina, che riporta dei segni particolari e singolari. Sono chiaramente un rosone, un portale e una nicchia, oggi murati, sulla parete in mattoni rossi che da secoli ormai è parte di un barchessale della cascina. Ecco, quelle sono le ultime tracce dell’imponenete facciata a capanna di un edificio sacro che faceva parte del complesso di una badia, un’abbazia risalente al X secolo. 

“Ora et labora”

Addirittura potrebbe essere stato edificato inizialmente intorno alla prima metà dell’800, nello stesso periodo in cui sarebbero stati edificati i monasteri di Mottaiola de’ Padri (in territorio di Cappella de’ Picenardi) e di Dosso de’ Frati (nelle terre tra Cella Dati e Solarolo Monasterolo). Siamo nel periodo storico delle bonifiche di questi territori compresi tra due fiumi, il Po e l’Oglio; qui non esistevano paesi veri e propri perché la zona era appunto incolta e doveva essere bonificata per potervi creare e coltivare campi. Per questo nascono questi monasteri e ‘badìe’ dove i monaci benedettini, ligi alla regola dell’ora et labora lavoravano per rendere abitabili e coltivabili queste zone. 

Non lontano, infatti, come si diceva, troviamo ancora oggi in località Dosso de’ Frati, il complesso architettonico che una volta fu un cenobio di benedettini, oggi dedicato all’attività agricola, ma nato proprio dalla necessità di bonificare le zone paludose e acquitrinose lungo il corso del Po. Ancora qui si trova una chiesa (leggi qui la storia), dedicata ora a Santa Rita e con tutta probabilità ricostruita sulle rovine di un precedente luogo sacro all’interno dell’antico monastero.

Le badìa attraverso i secoli

Torniamo a Ognissanti: questo muro, come si diceva poco sopra, è rimasto al suo posto nei secoli travagliati in cui anche le nostre terre hanno seguito le vicende storiche del territorio, della Chiesa e del papato; per questo oggi è praticamente impossibile trovare documenti che testimonino con certezza le origini di questo complesso, distrutti probabilmente nel periodo delle rivolte luterane del XVI secolo che interessarono la zona.

Nel frattempo, Ognissanti aveva già assunto il suo toponimo attuale (leggi qui l’origine) ed era già parrocchia (lo sappiamo perché l’indicazione è riportata su un affresco presente nei musei vaticani); a poca distanza era già sorta da alcuni secoli la Pieve di San Giacomo su volere di Matilde di Canossa e sul territorio le altre sei pievi (Pieve Terzagni, Pieve Delmona, Pieve Gurata, Pieve d’Olmi e Pieve san Maurizio). 

Da badìa a cascina. Ma quel muro non venne mai abbattuto

Già verso il 1400 il complesso di cui parliamo aveva perso l’esclusiva funzione monastica in quanto sulla parte sacra dell’ora -rappresentata appunto dalla badìa- aveva preso il sopravvento il labora ossia il lavoro dei campi, e quindi la funzione di edificio adibito a cascina.

Quella vecchia chiesa, seppur modificata diverse volte nel tempo, rimase comunque il riferimento per la parrocchia fino al 1630, anno in cui venne edificata un nuovo edificio sacro su ordine della nobile Margherita Fraganeschi, vedova Cauzzi, in memoria del defunto marito, come era da tradizione. Il nuovo edificio nel tempo venne più volte rimaneggiato fino ad arrivare all’aspetto attuale. Ma il muro dell’antica badìa benedettina rimane ancora lì, vessillo della memoria dell’antico luogo di fede laddove oggi il complesso architettonico è diventato ormai interamente agricolo ed adattato a quello scopo. Eppure quella facciata, ‘tagliata’ nel lato sinistro, non è mai stata abbattuta interamente.

Perché dunque quell’antico muro -su cui spiccano ancora le sagome murate del rosone, del portone di ingresso e della nicchia- non venne mai completamente demolito e ricostruito, come tutto il resto dell’edificio? Si dice che in realtà quella fosse l’intenzione, ma nella nicchia sulla parte di parete che si è salvata era raffigurata l’immagine di Maria Vergine e nessuno, pertanto, ha mai osato abbattere un muro con l’effigie della Madonna.

Vuoi per devozione, vuoi per scaramanzia, ma si prese la decisione di mantenere la parete e di costruire il resto del portico partendo da lì, dove il dipinto di Maria è rimasto visibile ancora fino alla metà del secolo scorso per poi, pian piano, scomparire cancellato dal tempo.

Michela Garatti


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti