Preistoria e storia di un 25 aprile. La guerra di Umberto Cariani e il suo ritorno a casa. La scoperta degli scout
Attorno al 25 aprile 1945 mio padre Umberto Cariani, classe 1925, si trovava non molto distante da Praga. Stava tornando a casa, impresa che gli riuscì di completare soltanto il 15 agosto di quell’anno. Aveva iniziato il suo viaggio di ritorno a piedi da Zittau, distante circa 130 Km da Dresda, situata nella zona dei monti Sudeti proprio all’estremo confine della Germania con quella che allora era chiamata Cecoslovacchia, a sud, e la Polonia a est. Era finito in Germania perché di punto in bianco la sua compagnia vi era stata portata su un treno merci il 9 ottobre del ’44. Vennero scaricati a Berlino nella zona centro-nord presso Alexander Platz; era con lui Giudo Barbieri, suo compagno di scuola col quale condividerà buona parte della vicenda tedesca, ad eccezione degli ultimi mesi. Fresco di diploma di perito elettrotecnico conseguito all’APC qui a Cremona, Umberto venne inquadrato e preparato dai tedeschi come telebauer, installatore nel campo delle telecomunicazioni. Per conseguire la maturità scolastica, mio padre aveva interrotto il servizio militare quando ancora era in Italia e da Calalzo di Cadore era giunto a Cremona nel febbraio del ’44, data in cui quell’anno erano stati anticipati gli esami.
Racconta Guido Barbieri nelle sue memorie di guerra pubblicate nella Strenna dell’ADAFA del 2002: a Berlino «dovevamo essere sul posto di lavoro alle sei del mattino, per cui bisognava essere veloci nel lavarsi e nel rivestirsi con gli stessi indumenti che di notte quasi per magia si trasformavano in coperte. Usciti, i soliti quattro insieme (Umberto Cariani di Cremona, Valentino Chirone di Arenzano e, oltre a me, un mantovano di cui non ricordo il nome) ci siamo tuffati nel freddo della strada che ci portava alla U-Bahn di Alexander Platz. La fabbrica si trovava a Köpenicker Strasse, in una costruzione a tre piani quasi solitaria in mezzo a macerie che sembravano rispettare quelle che una volta erano strade». Mio padre raccontava che il lavoro consisteva nell’assemblare relè e morsettiere all’interno di cassette stagne in ghisa che sarebbero poi servite alla marina, forse installate nei sottomarini.
Sabato 3 febbraio ’45, san Biagio, ci fu un devastante bombardamento che nelle intenzioni doveva rompere la determinazione della popolazione di Berlino, ma mio padre diceva che invece la gente conservò alto senso civico e che le diverse procedure burocratiche continuarono a rimanere attive. Visto che la fabbrica venne distrutta, il lavoro diventò quello di riparare quel che si poteva dei danni, ma, ricordava mio padre, a quel punto i tedeschi non si occupavano di loro. A fine mese finalmente Umberto e Guido vennero trasferiti dalla capitale, non senza essersi prima presi anche il bombardamento del 26 febbraio in cui se la videro brutta perché rimasero come intrappolati nella stazione metropolitana di Alexander Platz, dove si incrociavano ben sei linee.
Lasciato il cumulo di macerie di Berlino, il loro treno puntò verso sud, passò per Görlitz e raggiunse Vienna. Da lì risalì verso Nord e a Brno in Cecoslovacchia venne riformato il contingente di telebauer che puntò sempre a nord di nuovo verso Görlitz, nella zona dei Sudeti, col compito di mettere in ordine le linee telefoniche. In una registrazione che ho effettuato il 15 ottobre 2020, su questo nuovo lavoro mio padre dice: «Lavoravamo per tratti brevi, a gruppi scaglionati a 50 km di distanza gli uni dagli altri. Con la linea siamo arrivati fino a Görlitz, al confine con la Polonia, dove però stavano arrivando i russi. Lì i tedeschi abbandonarono e noi cominciammo a scendere verso sud; con Giudo formammo un gruppo di cinque persone e puntammo su Praga». Avvertiti di non entrare nelle città da un giovane ceco della loro stessa età, che poi si scoprì essere di famiglia italiana, iniziarono il rientro a casa. Si era a fine marzo e Umberto si munì di un bastone da viaggio sul quale incise con un temperino “Dresda” e “Mamma ritorno”; è ancora conservato in casa mia in una teca.
La loro preoccupazione fu sempre quella di stare alla larga dei russi che erano in avanzata, ma in qualche occasione si trovarono a dover camminare, sia pur a debita distanza, al loro fianco lungo la Franz Josef Strasse. Una volta un giovane graduato li invitò a saltare sulla camionetta su cui si trovava e sia pur titubanti, finirono con l’accettare. Si rivelò molto cortese e gioviale, lui e mio padre si intesero col loro rispettivo tedesco da sopravvivenza. E così venne risparmiata una giornata di cammino.
Non so esattamente quando avvenne il fatto, ma è certo che fu per colpa di qualche patata ancora verde mangiata da mio padre alla sera. Al mattino seguente era in preda ad una dissenteria tale da non riuscire a ripartire insieme a Guido. Al momento nessuno dei due diede importanza al fatto, si salutarono convinti che si sarebbero riagganciati più avanti, come era già successo, stando alla testimonianza scritta di Barbieri: «Il 21 aprile ci siamo riuniti con il gruppo al completo in un’abitazione, sei italiani e undici tedeschi, e lì ho ritrovato in maniera del tutto inattesa anche l’amico Umberto Cariani». Ma quella volta non fu così, non si rividero più: ad un bivio Barbieri prese per l’Austria, verso Linz, mio padre invece rimase in Germania preferendo risalire il fiume Inn puntando verso Innsbruck e pensando di attraversare lì il fiume per raggiungere il Brennero. Purtroppo lungo l’Inn non c’era più un ponte in piedi, sicchè, presso il paesino di Ering, fuori Passau, fu costretto ad una sosta di oltre due mesi prima di riuscire a prendere il treno che lo riportò in Italia fino a Brescia. Probabilmente fu ad Ering che Umberto incise la data del “VIII.V.XLV” sul suo bastone e giorno dopo giorno vi appose una tacca. Se ne trovano esattamente cento, una sotto l’altra. E se dall’8 maggio si contano quei cento giorni, si giunge proprio al 15 agosto 1945, giorno dell’arrivo di mio padre in via San Quirico 11, oggi via Cipressi, a Borgo Loreto. Mentre Guido riuscì ad arrivare a casa due mesi prima di lui, il 16 giugno.
Ma torniamo nei pressi di Praga, attorno al 25 aprile 1945. Umberto notò alcuni giovani dalla strana divisa, tutti con un identico foulard avvolto al collo ed un insolito cappello; a gesti e con un tedesco comprensibile indirizzavano i gruppi di militari in cammino per tenersi lontano dalla città, dove stavano per arrivare i russi. Conservò di loro una buona impressione per lo spirito di servizio che avevano dimostrato nei riguardi suoi e di tutti i gruppetti di italiani e di tedeschi in movimento, anche se non capì bene chi fossero. Ma quando, ormai ritornato dalla guerra, il parroco di Borgo Loreto, don Franco Amigoni, gli chiese la disponibilità per attività educative da rivolgere ai numerosi e vivaci ragazzi del Borgo, Umberto si ricordò di quell’episodio e si informò di chi potessero essere quei giovani. Fu così che venne a sapere degli scout e così, frequentato il campo di formazione tenuto alla base scout di Colico dai leggendari fratelli Ghetti, l‘appena ventunenne Umberto Cariani riapriva a Cremona le attività scout dopo la lunga interruzione causata della soppressione fascista. Nel maggio 1946, infatti, a nemmeno nove mesi dal suo ritorno a casa, Umberto riprende in mano il suo bastone che lo aveva sostenuto nel suo lungo cammino e parte per la prima uscita scout alla guida del nuovo Reparto intitolato a mons. Giovanni Cazzani, con tanto di autorizzazione accordata dallo stesso vescovo di Cremona. Le ragazze dell’oratorio, sotto la guida delle suore, avevano preparato alla bell’e meglio le uniformi per i nuovi scout; tra esse anche Ernestina Pedretti che don Franco unirà in matrimonio a Umberto nella chiesetta del Borgo in via Litta nell’ottobre del 1954. Umberto raccontò queste origini “praghesi” dello scoutismo cremonese nel corso dell’incontro di presentazione del libro sulla storia dello scoutismo cremonese tenutosi in Palazzo Comunale nell’ottobre 2019.
«Ma càt, te ghìivet vìint’ànn, le gàambe le camìna sèensa tàanti càter». Umberto Cariani nella registrazione del 15 ottobre 2020.
Nella foto Umberto Cariani, il primo a sinistra, alla presentazione in Palazzo Comunale del libro sullo scoutismo cremonese. Sul tavolo il suo bastone del rientro dalla Germania e il cappello scout. Al collo il foulard del reparto da lui fondato nel 1946.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti
harry
24 aprile 2025 14:24
L'otto settembre 1943 i militari di allora optarono, credo di non sbagliare, per una di queste soluzioni.
La prima aderire alla repubblica di Salò.
La seconda disertare e unirsi ai partigiani.
La terza disertare e vivere alla macchia senza schierarsi fino alla Liberazione.
Dopo il 25 aprile 1945 cambiò tutto!