Quando la storia va a braccetto con la paleontologia: i fossili della Cattedrale di Cremona e del Battistero. Un'affascinante caccia al tesoro
Da centinaia di anni loro ci guardano dalla pietra dove la natura le ha conservate, ma quanti di noi le vedono? Ecco un affascinante caccia al tesoro, sulle tracce di ammoniti, belemniti e bivalvi incastonati nel Battistero, nel Torrazzo, nel Duomo e in altri monumenti e strutture lapidee di Cremona
Le pietre cittadine, se interrogate con curiosità e logica, sono in grado di spalancare finestre inedite e squarci inusitati su scene di vita vissuta, non solamente della storia umana (come abbiamo già visto su queste colonne discorrendo delle incisioni lasciate dai condannati a morte sul muro sudorientale del Battistero), bensì anche naturale.
Ammoniti, belemniti e bivalvi sono quei molluschi vissuti milioni di anni fa e rimasti incastonati nella roccia, utilizzata poi anche in lastre per strade e monumenti civici. Solitamente oggi chi desidera vedere dal vivo queste conchiglie fossili si munisce di zaino e scarponi per mettersi in viaggio verso le Dolomiti. In realtà basterebbe anche aguzzare la vista durante una rilassante passeggiata nel centro storico della propria città. Ne era già convinto Primo Levi, quando “leggeva” gli indizi sulla pietra dei marciapiedi di Torino, datando le lastre, riconoscendo in una sporgenza la presenza passata di una vena di quarzo o immaginando i paleontologi del futuro intenti a scoprire i tappi corona delle bottigliette o gli anellini a strappo delle lattine, incastonati nelle stratificazioni dell’asfalto «come gli insetti del pliocene nell’ambra». Insomma, “leggere” monumenti e strade significa anche scoprire che in essi convivono tempi storici e tempi geologici: i tempi dello stile artistico che li ha prodotti e dei fatti storici di cui essi sono fonti, assieme però anche a quelli delle pietre che li compongono (più lenti e dilatati, che «spostano alla deriva i continenti e rassodano la crosta delle terre emerse», per dirla con le parole del signor Palomar di calviniana memoria).
A Cremona uno dei siti più paleontologicamente fecondi è proprio Piazza del Comune, l’antica platea maior, ricca di monumenti e centro della vita religiosa e civile dal Medioevo in poi. Non appena ci si affaccia sulla piazza ecco subito comparire ammoniti e belemniti che fanno capolino dalla pietra. Si tratta di resti di Cefalopodi inclusi in calcare bianco, rosa o rosso (analizzati e classificati anni fa dal paleontologo Davide Persico, docente all’Università di Parma) che possono raccontarci quando sono vissuti o da dove provengono: quasi delle Cosmicomiche calviniane incastonate nella pietra a mo’ di fumetto preistorico.
La prima tappa di un ideale tour parte dal primo ritrovamento, all’angolo tra via Baldesio e Piazza del Comune. E’ una belemnite in sezione che, come una freccia scagliata verso il cielo, si trova a mezza altezza di una colonna rivestita di marmo rosso, proprio di fronte al negozio dell’Unicef. Questa belemnite, probabilmente una Hibolites hastatus, dovrebbe essere vissuta nel Giurassico superiore (Oxfordiano), tra 158-161 milioni di anni fa. Da qui, costeggiando il lato settentrionale della piazza, si giunge alla base del Torrazzo, dove, dopo aver salito i pochi gradini che accedono al portico della Bertazzola ed ispezionato un po’ il muro, si possono notare tre ammoniti di grandi dimensioni che occhieggiano educatamente tra le epigrafi sulla parete, quasi a rimarcare senza impegno la propria legittimità storica, oltretutto d’una storia in cui non solo i monumenti ma persino l’uomo stesso costituivano ancora nient’altro che una remota possibilità evolutiva.
Da qui poi, traversando trasversalmente la piazza in direzione di Via Sicardo, si arriva al Battistero. Alla base del lato di fronte alla Loggia dei Militi, in una lastra di marmo rosso di Verona troneggiano ben tre fossili: una belemnite e due grosse ammoniti. Qui la classificazione è resa più difficoltosa dal taglio in sezione verticale ed obliquo, anche se per l’ammonite più grande si potrebbe azzardare l’accostamento al genere Leptosphinctes, attribuendo la lastra contenente i tre fossili coevi al Dogger (tra i 161 e i 176 milioni di anni fa). Scendendo ora per via Gonfalonieri sino all’incrocio con via Monteverdi e svoltando quindi a sinistra sino all’angolo con piazza Marconi, perlustrando un po’ il pavimento di calcare grigio sotto il portico si notano alcune striature nere: sono segni che indicano la presenza di fossili di bivalvi sezionati, anche se è difficile la loro classificazione.
Come dimostrano le foto che pubblichiamo, molti sono i fossili che troviamo nei marmi bianchi o rossi del pavimento della Cattedrale.
Cremona, quindi, come anche ogni altra città, ha una frequenza di resti paleontologici talmente elevata da consentire agli appassionati di partire per spedizioni che fondono la storia dell’arte con la paleontologia». Quelli che abbiamo passato in rassegna sopra sono solo alcuni dei fossili reperibili negli edifici storici, ma molti altri attendono di essere scoperti e identificati nelle pietre dove riposano da milioni di anni. Neppure è necessaria un’attrezzatura da sopravvivenza: bastano un paio di scarpe comode, un eventuale guscio antipioggia, una macchina fotografica e, soprattutto, molta curiosità e capacità di osservazione: ad esempio per riconoscere le forme delle conchiglie nelle lastre di pietra; oppure per saper distinguere le rocce sedimentarie (generalmente fossilifere) dalle rocce ignee e metamorfiche (mai fossilifere); ma soprattutto serve la capacità di vedere la storia dell’uomo e tutti i suoi prodotti umilmente inserita nell’arco ben più vasto della storia dell’evoluzione della vita e, più in là ancora, della materia e di realizzare che persino belemniti e bivalvi, o addirittura l’elegante doppia elica del nostro antenato più remoto non sono che un tassello d’una storia a scala subatomica o pregalattica: per dirla con le parole di uno scrittore che a questa visione del mondo ha dedicato una vita intera, Italo Calvino, occorre «spostarsi verso una conoscenza in cui ogni ipoteca antropocentrica sia abolita, in cui la storia dell’uomo esca dai suoi limiti, sia vista solo come anello, lasciandosi inghiottire ai due estremi dalla storia dell’organizzazione della materia, da una parte nella continuità animale e dall’altra nell’estensione alle macchine dell’elaborazione dell’informazione».
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