Quella chiesa di Torre Berteri, località di Pieve San Giacomo al confine con Cella Dati e Sospiro diventata anche asilo. L' immagine di Maria trovata arando un campo
Chiesa, casa, scuola: un unico edificio ‘multifunzione’ per coprire le diverse esigenze di quel micromondo che fu Torre Berteri, località di Pieve San Giacomo al confine col territorio di Cella Dati e Sospiro.
Passando dalla strada provinciale che da San Salvatore porta a Cicognolo, Torre Berteri si trova sulla destra, subito dopo il canale Foce Morbasco: un pugno di fabbricati tra stalle, abitazioni, vecchi e nuovi edifici, raggiungibili percorrendo una breve stradina sterrata. In fondo a questa, si trova la facciata di un edificio timidamente addossato alla cascina e un po’ nascosto dietro ai rami di due alberelli che sono cresciuti proprio lì davanti. Questa facciata è decisamente spoglia, presenta un vecchio portone in legno a due ante sormontato da una finestra squadrata. Due coppie di lesene disegnano una cornice semplice che sale fino al timpano, appena segnato da un orlo in mattoni: queste sono le uniche decorazioni presenti sul muro scrostato che lascia scoperte le pietre rosse,
Un tempo questo modesto edificio assolveva alla funzione di chiesa ed abitazione dell’abate. Ma fu anche una scuola.
Passaggi di proprietà, un lascito testamentario ed infine la soppressione per diventare asilo
Questo piccolo borgo, che un tempo fu Comune autonomo, passò di proprietà in proprietà nel corso dei secoli. Come tutta la zona, anche Torre Berteri ha origini molto antiche, risalenti con tutta probabilità alle centuriazioni romane; alcuni dei campi in zona ancora oggi portano il nome breda, derivato dal longobardo ’braida’ (equivalente al latino praedium -podere, prato-) che significa di appezzamento, terreno.
Le prime notizie storiche certe però le troviamo a partire dal XIV secolo, da documenti datati 1329 dove si attesta che il proprietario del fondo di Torre Berteri era il nobile Giovanni Antonio Cauzzi. Non ci sono date precise a testimoniare la costruzione della chiesetta, dedicata all’Immacolata, ma sappiamo che la proprietà rimase in capo alla famiglia Cauzzi per oltre 3 secoli, fino al 1697, anno in cui morì l'abate Paolo Cauzzi, ultimo erede della famiglia (in realtà aveva una sorella, andata in sposa al nobile Giuseppe Zucchelli), il quale lasciò il fondo in eredità al Sacro Monte di Pietà di Cremona. Ne è testimonianza una lapide ancora presente all’interno dell’oratorio stesso, che recita “[...] Il sig. Abbate Gio. Paolo Cauzzi instituì suo herede universale il sacro monte di Pietà eretto in Cremona con obligo di far celebrare una messa quotidiana perpetua nel suo Oratorio di Torre de Berteri detto de Cauzzi [...] oltre il danaro per la maniten. dell’altare et habitato e mobili per il sacerdote [...]”. Quindi la chiesa era già presente.
Sappiamo poi che la proprietà confluì nei possedimenti dei conti Ugolani Dati, che la misero a disposizione dell’omonimo ospedale. E proprio nei ‘Rendiconti Patrimoniali, Economici e Finanziari’ del suddetto ‘Spedale Ugolani Dati’ leggiamo che nel 1884 “in seguito ad accordi con l’autorità ecclesiastica e col Comune di Pieve San Giacomo, [l’oratorio] veniva soppresso e convertito in asilo infantile” -intitolato proprio all’abate Gianpaolo Cauzzi- con un investimento di 1274,41 lire, mentre l’anno successivo vennero venuti mobili, libri di poco valore e soprattutto l’altare stesso del soppresso oratorio.
Così si concluse la vicenda di fede di quelle mura che prima accolsero le silenziose preghiere dei fedeli ed in seguito il vociare ed i giochi dei bambini a scuola.
Il XX secolo, il socialismo, la guerra e l’esodo dalle campagne
Passarono quindi gli anni, quell’edificio perse del tutto i suoi connotati sacri e divenne la culla delle giovani generazioni di Torre Berteri che, ad inizio ‘900, contava circa 350 abitanti.
Don Gioacchino Bonvicini, nelle pagine del suo diario ‘Memorie di un parroco cremonese’ riporta una vicenda curiosa che racconta di un fenomeno, il socialismo ‘dilagante’ nella zona. Era il 25 aprile del 1920 «Dopo mezzogiorno quest’oggi sono venuti dalla Torre Berteri e dalla Silvella, molte giovani delle più sfacciate a chiamare le giovani di Ognissanti per farsi iscrivere nel circolo socialista». Ne nacque un’accesa disputa tra le donne, con tanto di minaccia di prendersi anche qualche bastonata, oltre allo scambio di coloriti improperi «e qui si cominciò a darsi dei titoli, i più triviali le une e le altre». Un episodio che lasciò sconcertato il parroco e l’intera comunità ecclesiastica della frazione di Ognissanti: «Dove andremo a finire!» è la laconica conclusione delle riflessioni di don Bonvicini.
Altri anni trascorsero, le dispute politiche si fecero sempre più esasperate, dalle minacce si passò alle bastonate vere e proprie e di nuovo l’Italia si trovò ad affrontare l’orrore della guerra. Alla fine del secondo conflitto mondiale i sopravvissuti tornarono alle proprie case a cercare di ricostruire il mondo che avevano lasciato prima di partire per il fronte. Ma il mondo era inesorabilmente cambiato e nel giro di qualche lustro il progresso e la prospettiva di una vita migliore spinsero all’esodo dalle campagne ed anche le cascine di Torre Berteri si svuotarono dei loro numerosi abitanti, che si ridussero a poche unità. Conseguenza fu l’inevitabile chiusura anche della scuoletta nata nell’Oratorio dismesso.
Quel che resta di quelle storie di campagna
Oggi questo edificio è ancora in piedi ed è parte della cascina che nel frattempo ha cambiato la propria fisionomia per seguire le esigenze produttive moderne.
Solo la foggia della facciata, ad uno sguardo attento, rivela l’antico uso sacro per il quale venne edificata. Per entrare ci facciamo strada nell’edera che la ricopre ormai fino al tetto. Al suo interno non troviamo l’ambiente classico che ci si aspetterebbe, ma una insolita distribuzione di locali che tradisce i diversi utilizzi che se ne fece nel tempo. Ecco quindi una prima stanzetta d’ingresso, affiancata da due più piccole ai lati, dove è ancora presente una vecchia ‘tromba’ dell’acqua. Da uno dei locali laterali parte una stretta scala che sale verso il piano superiore, dove si trovavano gli alloggi dell’abate: come siano oggi, resterà un mistero perché quei vecchi scalini, in parte in muratura ed in parte in legno, non promettono di essere particolarmente resistenti.
Proseguiamo, confidando nelle capacità ingegneristiche dei costruttori dei tempi passati, ed entriamo in un’ampia stanza, quella che in origine era la navata della chiesa. Oggi nulla ci lascia intendere che fu un luogo di culto: sul pavimento, coperto da decenni di polvere e calcinacci, sono stati accatastati nel tempo vecchi oggetti, mobili, sedie. Dalle finestre entra poca luce attraverso le foglie degli arbusti che si arrampicano sui muri e si insinuano incuranti fin dentro la stanza. Solo topi furtivi e gatti curiosi sono ora i fedeli e silenziosi frequentatori di queste stanze. Le pareti scrostate e rigonfiate dall’umidità sono ancora di un colore azzurrino marezzato da ragnatele cariche di polvere; nessuna decorazione nè traccia di sacro, ad esclusione della lapide in marmo nera con le ultime volontà dell’Abate Cauzzi, che chiedeva la celebrazione della messa quotidiana e il mantenimento dell’altare e degli arredi sacri, quelli che invece furono venduti un paio di secoli dopo perché lì ormai non sarebbe più stata celebrata alcuna messa.
Eppure la storia ha voluto ridare un segno di sacralità a questo luogo: diversi anni fa, durante l’aratura di un campo, fu ritrovato un tondo marmoreo, un bassorilievo con l’immagine di Maria con in braccio Gesù Bambino ed alcune iscrizioni in latino. Non sappiamo l’origine esatta di questo oggetto, né se sia parte dell’altare presente nell’antico oratorio o se, ancora, derivi da altri luoghi di culto della zona. Ad ogni modo, oggi si trova al riparo all’interno di una nicchia realizzata appositamente per accogliere questa Madonna, segno comunque di una devozione che né il tempo né le vicende umane hanno allontanato del tutto da queste terre.
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commenti
Anna
1 aprile 2024 07:58
Bellisima chiesetta proporla al Fai o alle belle arti per un restauro andrebbe conservata e meta di turismo e patrimonio artistico.