27 settembre 2021

Quindici anni fa ci lasciava Sandro Talamazzini, cantore del Po e della gente, maestro d'immagine e "il più grande personaggio della televisione cremonese”

Quindici anni fa, il 27 settembre 2006, ci lasciava Sandro Talamazzini, “il più grande personaggio della televisione cremonese”, come è stato giustamente definito. Era nato nel 1922 in via Del Sale, strada di pescatori e renaioli a due passi dal fiume, ai margini di una città non ancora totalmente urbanizzata. E fin dagli esordi il filo conduttore della sua multiforme attività è facilmente individuabile nell’ambiente cremonese circondato dalla campagna e dal Po, due elementi essenziali che caratterizzano inizialmente le sue opere. E, ancora, la sua costante e profonda attenzione verso una dimensione esistenziale, quella degli umili osservati nell’ombra, delle semplici azioni di tutti i giorni, portatrice di dignità e valori intrinseci. Questo motivo ricorrente è ben visibile nella maggior parte dei suoi film in cui dà voce agli emarginati, a quel mondo appartato, campagnolo, travolto dall’incalzante progresso e appiattimento dell’individualità; e proprio nei suoi film gli individui trovano espressione del loro sentire. Perché in questo microcosmo in apparenza privo di interesse o esperienze grandiose vi è un valore indiscutibile, e, come scrive egli stesso in un suo racconto, “il mondo non è poi così grande come sembra ma tutto è relativo a quel che noi sentiamo, proviamo, immaginiamo”. 

Talamazzini si diploma all’Istituto Magistrale di Cremona e frequenta i Corsi universitari di Comunicazione Sociale. Non si può spiegare la sua carriera come regista di film documentari premiati sia in Italia che all’estero, senza l’esperienza del Centro Sperimentale di Cinematografia Educativa, nato per l’intuizione del provveditore agli studi Casella nel giugno 1945 che, vista la passione del giovane maestro, gliene affida la direzione. E Sandro crea dal nulla, nel 1951, un corso di cinematografia presso l’Istituto magistrale Anguissola. Prodotti di queste prime esperienze cinematografiche sono le cosiddette “filmine”, strisce di pellicola su cui vengono stampate delle diapositive, che possono essere facilmente proiettate durante le lezioni. Ne furono realizzate 16 con i soggetti e la sceneggiatura, ovviamente, di Talamazzini.

Nei vent’anni di attività del Centro il maestro Sandro percorse quindicimila chilometri per fornire 3000 filmine e 300 diapositive, e visionare 900 film, tra cui alcune sue fortunate produzioni come “Il pulcino”, “Michelina Mangiafuoco”, “Il fratellino di latte”. Già i suoi primi film sono caratterizzati da un’impronta pedagogica, quali “Il radiologo”, il primo filmato di Sandro del 1954 con protagonista il dottor Marzio Della Salda, radiologo presso la Casa di Cura San Camillo, e gli alunni della scuola elementare Leonida Bissolati (miglior film didattico per le scuole elementari), “Il pulcino” del 1955 (premiato al Concorso Nazionale della Federazione Italiana dei Cineclub di Montecatini Terme tra ben 215 film), trasmesso in Rai e alla Televisione di Montecarlo, e “Il porcellino d’India”, del 1956 nei quali la riflessione è veicolata da un linguaggio immediato, sebbene inusuale e poco tradizionale per la scuola elementare verso cui era maggiormente rivolto. Il primo film narra la storia di Roberto, un ragazzo che ha avuto un infortunio giocando a calcio e viene trasportato in ospedale. In questo caso, il regista coglie l’occasione dell’infortunio del ragazzo per poter inserire all’interno del film una parte didattica sulla strumentazione scientifica del reparto di radiologia. Il secondo film racconta la storia di un pulcino trovato da alcuni ragazzi in un’aia; infine, “Il porcellino d’india” parla di un bambino, Luciano, che cerca di liberare la cavia utilizzata dal padre per fare esperimenti. Il film, sostenuto da Paolo Negroni, e girato in parte in un reparto della ditta e in parte presso l’Istituto Nazionale Assistenza Malattie di via Persico, è interpretato da un alunno della Bissolati, Maurizio Maioli (vincitre della coppa Mario Dell’Amore), e dalla moglie Adriana Dossena. 

Il fine didattico di Talamazzini lo porta a realizzare laboratori di film-making assieme a studenti di scuole medie, per insegnare loro come utilizzare gli strumenti cinematografici della macchina da presa e del montaggio, in collaborazione con la moglie Adriana, che sempre si occupò del montaggio dei suoi film. Nel 1962, in contemporanea con “Il pulcino”, Talamazzini lavora anche a uno dei suoi primi documentari dedicato al fiume della sua terra, “I Renaioli del Po”, nel quale illustra la vita dei lavoratori che estraggono la sabbia e la ghiaia dal fondo del fiume. Il Po è anche al centro del film‐documentario che riscopre il territorio cremonese: “I nipoti di Mark Twain”, del 1969, un bianco e nero che tratta della navigazione fluviale in chiave economico‐industriale, e in particolare dei marcatori dell’acqua che misuravano la profondità dell’acqua per permettere la navigazione dei grossi battelli, in un momento in cui la navigazione fluviale sembrava entrare in crisi dopo gli entusiami dei primi anni Sessanta. Un’altra opera che ben rientra nell’immaginario del regista è “La mia terra” del 1964: uno dei primi film sull’esodo dai campi negli anni Sessanta, la cui fama giunse anche sulla carta stampata nazionale. Il suo lavoro dichiaratamente preferito, “Michelina Mangiafuoco” (1957), segna invece una evoluzione sul piano tecnico della produzione, dove il montaggio si fa più serrato e le sequenze più fluenti, e per questi motivi e per la sua delicatezza nel trattare la dimensione umana è stato premiato in numerose occasioni. Persino Roberto Rossellini gradì così tanto la pellicola da definire Talamazzini “maestro dell’immagine” e non manca chi vi ha individuato elementi tipici della prima produzione felliniana. 

Anche i primi racconti, iniziati a scrivere nel 1979, nella sequenza di inquadrature che si susseguono una dietro all’altra, nella semplicità della scrittura veloce, intuitiva ma stilisticamente molto curata, non sono altro che sceneggiature per film mai girati. Ciò è evidente nei suoi primi libri di racconti, che riguardano il mondo dell’infanzia da lui vissuto e i suoi temi preferiti: “Racconti di casa mia‐i film nel cassetto”, “Una manciata di favole”, “Il tempo delle margherite”, “I racconti del fiume”, “La classe degli asini”. Non di minor importanza i racconti “Un mondo che scompare”, “Storia di una testa di bronzo”, “La favola dello spazzacamino”, “La bottega dei miracoli”. La caratteristica moraleggiante di Talamazzini di evocare un mondo scomparso, ai margini, per richiamare all’attualità si trova anche nella sua produzione giornalistica. Talamazzini inizia la sua carriera giornalistica televisiva fondando, insieme ad altri, Video Cremona, e poi lavorando per Video Onda Nord. Per quest’ultima ha realizzato numerosi servizi e interviste per le rubriche “Agricoltura oggi”, incentrata soprattutto sulla realtà rurale lombarda, “Il sabato del villaggio”, percorso culturale attraverso le provincie della Pianura Padana, e “La bottega dell’artigiano”, in collaborazione con l’Associazione Artigiani della provincia di Cremona, per promuovere il lavoro artigianale locale. Infine approda a Telecolor, con una collaborazione che ha segnato senz’altro un capitolo fondamentale della carriera di Sandro Talamazzini: iniziato in sordina attraverso servizi e contributi giornalistici, il rapporto tra l’autore e la rete si è evoluto al punto di permettere al primo di diventare ideatore di programmi come “L’angolo della ricerca”, “I mercoledì di Sandro”, “La perla di Sandro” e “L’occhio magico”, che sono divenuti capisaldi della rete. 

 

 

 

 

 

Fabrizio Loffi


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