Sant'Antonio d'Anniata, lungo la trafficata via Mantova (a Pessina Cremonese) uno straordinario capitolo di storia con lapidi da restaurare e una chiesetta da riscoprire
Il terzo millennio ci ha consegnato una società sempre più flagellata dalla fretta e dalla frenesia quotidiana. Un flagello, sì, perché non si ha più, o non si vuole avere, il tempo per ritagliarsi l’occasione per andare alla scoperta di ciò che ci circonda, magari nei nostri piccoli centri di campagna, dove a volte, all’apparenza, può sembrare che non ci sia nulla di che e invece tante e diverse sono le occasioni per conoscere, osservare e valorizzare il nostro patrimonio, fatto di storia e di cultura, di memorie e di peculiarità.
Quando si vuole conoscere la storia dei nostri villaggi di campagna va ricordato che questa non è custodita solo nei libri, negli archivi o sul web, ma è anche celata tra i cassetti di casa, nei ricordi dei nostri anziani (che andrebbero ascoltati tenendo sempre un taccuino in mano per non disperdere alcun ricordo del passato) ed anche nelle pietre, vale a dire nelle lapidi che, spesso, troviamo (il più delle volte senza farci caso) nelle piazze, nelle chiese, nei cimiteri, sulle case, sui municipi, lungo le vie porticate e, talvolta, anche lungo gli angoli delle strade. Lapidi che, purtroppo, in non pochi casi, rischiano di essere cancellate dal logorio del tempo. Come nel caso di Sant’Antonio d’Anniata, minuscolo centro posto lungo la strada statale 10 Padana Inferiore. Qui, sfiorando (nel vero senso del termine) la vecchia chiesa, da tempo inutilizzata, sfrecciano ogni giorno miglia di mezzi tra camion, auto, moto. Certamente senza notare i particolari, come quello delle lapidi che si trovano sulla facciata esterna del sacro edificio. Entrambe sono ormai quasi illeggibili e, soprattutto, sembrano essere finite nel “dimenticatoio” nonostante parlino, a chiare lettere di veri e propri pezzi di storia. Una di queste ricorda il sacrificio di Claudio Leonida Magrini, partigiano, nato a Milano il 21 ottobre 1918 e ucciso a Pessina il 26 aprile 1945, a guerra quindi conclusa da un giorno. “Alla memoria di Claudio Leonida Magrini – si legge – che il 26 aprile 1945 qui immolò la giovane vita ricca di tante promesse. Perché nel suo sangue e nel suo esempio la patria avvilita ritrovasse la coscienza del dovere presente e la fede nell’avvenire”. Magrini faceva parte della Brigata Garibaldi “F. Ghinaglia” che, durante la lotta di liberazione, si estese a gran parte del cremonese, del casalasco e del cremasco.
A Pessina, lungo la via Mantova, furono erette le barricate e nei combattimenti persero la vita, oltre a Leonida Magrini, anche Aristodemo Orlandi, Rosolino Gosi e Andrea Boccoli.
La seconda lapide, decisamente molto più rovinata della precedente, è un altro importante “libro di storia” in cui si legge: “S. Antonio d’Anniata ebbe un castello che fu dei Dovara eretto dai cremonesi nel 1163 e distrutto da Gabino Fondulo ebbe di poi un’abbazia ed una chiesa consacrata nel 1350 dal Vescovo di Cremona Ugolino Ardengherio trasformata nel XVI secolo in commenda ultimo titolare della te….a fu il conte monsignore don Carlo de Villana Perlas abate in S. Antonio d’Anniata 1788… Alfonso Negri banchiere ed agricoltore nel 1797 acquistò queste terre dal pubblico demanio e dal di lui figlio Ing. architetto Giuseppe Negri Senatore del Regno… furono riordinate e livellate convogliando le acque stagnanti costruendo un apposito cavo per l’irrigazione delle terre asciutte iniziando pel primo nella provincia di Cremona la coltivazione dei prati marcitori. Il paese di S. Antonio d’Anniata e la cascina Fienile furono da lui completamente ricostruiti ed ampliati con mirabile preveggenza dei tempi e dello svilippo dell’agricoltura moderna. Il 22 gennaio 1899 il Comune per volontà dei popolo volle quale segno di imperitura riconoscenza fosse denominato S. Antonio Negri. A perenne memoria il Comune pose 1928 anno VI E.F.”.
Entrambe meritano di essere restaurate, valorizzate, tutelate, al più presto: prima che sia troppo tardi. La località, pur nelle sue modeste dimensioni, ha una storia importante. Nel 1451 Sant’Antonio d’Anniata è elencato, con la denominazione Villa Daniata, tra le “terre” del territorio cremonese e godeva di esenzioni fiscali, in quanto “tenuta” dal precettore dell’abbazia di Sant’Antonio (Elenco comuni contado di Cremona, 1451). Sant’Antonio d’Anniata è elencato tra i comuni del Contado di Cremona nel 1562 (Repertorio scritture contado di Cremona, sec. XVI-XVIII) ed elencato sempre tra i comuni del Contado nel 1634 (Oppizzone 1644). Nel “Compartimento territoriale specificante le cassine” del 1751 Sant’Antonio d’Anniata era una comunità della provincia inferiore cremonese, dato confermato anche dalle risposte ai 45 quesiti della giunta del censimento, datate 1751 (Compartimento Ducato di Milano, 1751; Risposte ai 45 quesiti, 1751; cart. 3058). Dalle risposte ai 45 quesiti emerge che la comunità, non infeudata, era amministrata dal fittabile dell’abbazia di Sant’Antonio d’Anniata, proprietaria di quasi tutto il perticato, che svolgeva le funzioni di deputato al governo del comune; unico ufficiale del comune era il console. Alla metà del XVIII secolo il comune era sottoposto alla giurisdizione del podestà di Cremona e il console, tutore dell’ordine pubblico, prestava giuramento alla banca criminale della provincia inferiore della curia pretoria. All’epoca la comunità contava meno di 100 anime (Risposte ai 45 quesiti, 1751; cart, 3058) Nel compartimento territoriale, pubblicato con editto datato 10 giugno 1757, risulta aggregato a Pessina (editto 10 giugno 1757).
Il centro prende il nome dal locale oratorio dedicato a S. Antonio Abate, da tempo in disuso, costruito verso la metà del XIV secolo da alcuni frati antoniani della regola di S. Agostino di Cremona che vi possedevano dei fondi. Trasformato sul finire del ‘500 in commenda, fu conferito a cardinali e grandi personaggi. La riforma amministrativa della Lombardia decisa dall’imperatrice Maria Teresa nel 1757 soppresse il comune annettendolo a Pessina Cremonese, ma una speciale dispensa continuò a configurarlo separatamente ai fini censuari, con confini ufficialmente definiti. Dieci anni più tardi, nel 1767 il conte monsignor Carlo de Villana Perlas lo fece riedificare nelle forme attuali e la chiesa fu restaurata nel 1846. Tante poi le notizie che si possono ricavare in quella “pietra miliare” di storia locale che è la “Descrizione dello stato fisico-politico- statistico-storico-biografico della Provincia e Diocesi di Cremona” di don Angelo Grandi che ricorda che il luogo era definito anche come “Sant’Antonio della Mata o Matha” e, parlando dei restauri dell’oratorio avvenuti nel 1846 grazie all’iniziativa del proprietario terriero Giuseppe Negri da Milano, ed evidenzia che nel timpano è effigiato il santo titolare mentre l’aula a navata unica è impreziosita da finestre a vetri colorati e la volta fregiata a chiaroscuro con medaglie eseguite dal Longhi e l’altare in marmo bianco. Inoltre, la sagrestia con belle suppellettili e pregevoli abiti sacerdotali. In più il campanile dotato di orologio. In particolare don Grandi esalta l’opera munifica di Giuseppe Negri, nella cura e nell’organizzazione anche dei fabbricati esterni. “L’esistenza di questo villaggio – scrive ancora il sacerdote – risale per lo meno al XIV secolo, risultando da una lapide posta nell’antica facciata dell’attuale oratorio sacro à s.Antonio abate, ictata in una memoria mss. di G.Battaglia parroco in Pessina circa l’ultima metà dello scorso secolo, esistente presso l’archivio parrocchiale di detto luogo, che l’oratorio e chiesa che fosse venne costrutta a tre navi dai frati, detti Ospitalieri di S.Antonio abate o Antoniani sotto la regola di S.Agostino, che avevano convento con ospitale in Cremona, ed un ospizio per 6 od 8 monaci in questo villaggio di loro proprietà in un col latifondo, e che l’accennata chiesa fu nel 1350 consacrata da Ugolino Ardengherio vescovo di Cremona. Vuolsi parimenti che questa chiesa fosse costituita in parrocchia diretta dagli stessi monaci, a cui presiedeva un abate, ed avesse soggetti alla parrocchiale sua giurisdizione i villaggi di Pessina e di Stilo dè Mariani”.
Don Grandi ricorda quindi che a Pessina si trovavano anche i frati Carmelitani con un oratorio privato, dove successivamente sorse la proprietà del nobile cavaliere signor Baroli. “Soppressi i monaci Antoniani sul declinare del secolo XVI – scrive di nuovo don Grandi – la chiesa abaziale di S.Antonio abate venne mutata in commenda e conferita a cardinali e gran signori, e forse a quest’epoca cessò di essere anche parrocchia, ridotta a frazione della nuova eretta parrocchiale di Pessina. A tempi dell’imperatore Carlo VI ebbe a commendatore monsignor Carlo de Villana Perlas, di nazione spagnuolo e figlio del gran cancelliere del detto imperatore. Per ordine di monsignor Perlas nel 1767 la chiesa di S.Antonio abate venne sotto diverso disegno costrutta e ridotta com’è di presente ad una sola nave col titolo di oratorio. Dell’antica chiesa sussiste ancora una traccia nei pilastri compresi nella nuova parete, che veggonsi nell’interno della bella ed elegante casa del signor Negri. Ripetendo il villaggio la sua denominazione del Santo che quivi è venerato – si legge ancora – sembra che niuna relazione si abbia l’aggiunto nome d’Anniata a quello di Sant’Antonio, e siamo tentati a crederlo piuttosto un travisamento di parola, che, invece della vera applicata in antico della Mata, col progredir del tempo corrompendono la voce sia erratamente pronunciato d’Anniata per della Mata. Ciò che ci appaja non inverosimile lo si deduce dall’uso che mai sempre s’è praticato per distinguere un luogo dall’altro, di aggiungere cioè una denominazione qualunque d’un paese il nome del fondatore o del proprietario, ed a quella di un Santo, come nel nostro caso, applicare il nome del casato da cui deriva, o del luogo ov’ebbe la culla, o quello in cui si segnalò per integrità di vita o sapere, oppur del luogo ove avvenne la morte, ed in fine ove trasportare furono le sacre ceneri. Nessuna cronica pertanto ci pone sott’occhio che esistito abbia una famiglia per nome Anniata; né il nobile ed illustre casato di S.Antonio abate ebbe così nomavasi, non la terra in cui ebbe i natali, chiamata Coma, vicino ad Eraclea città d’Egitto; non il luogo ove fondò un monastero o spirava l’anima, appellato Colzin, monte vicino al golfo arabico o mar Rosso; sibbene il luogo ove per ultimo venner collocate le sacre di lui spoglie chiamasi Mata o Matha, terra presso a Vienna di Francia. Ce ne porge di ciò fede il cremonese Merula nel suo libro portante il titolo ‘Santuario di Cremona’, il quale narrando in compendio della gesta di S.Antonio abate, dice: ‘Che certo Jocelino gran barone della città di Vienna nel Delfinato, trasportò intorno al 1070 da Costantinopoli le sacre ceneri del Santo alla predetta città, e nel 1096 recandosi in Francia il pontefice Urbano II per animare i principi cristiani a mover guerra contro i Turchi, ordinò che quel sacro corpo fosse con maggior onore e riverenza posto in alcuna chiesa, ed essendo morto il detto Jocelino, che lo possedeva, gli eredi elessero per quest’effetto una lor terra detta la Mata, che poi del Santo ne prese il nome, innalzando a di lui onore una chiesa’. Dell’esposto appare facile il poter ammettere che a questo villaggio gli convenga meglio l’applicazione di S.Antonio della Mata, dal luogo ove riposte sono e venerate le insigni reliquie del Santo anacoreta”. Alla fine la denominazione non è mai mutata ed ancora oggi la località si chiama Sant’Antonio d’Anniata, una chiesa dalle dimensioni modeste ma dalla storia importante, “attraversato” ogni giorno da migliaia di passanti che sfrecciano in mezzo alla storia. Chissà che almeno le lapidi possano essere tutelate ma il sogno non può che essere quello di un recupero anche della bella chiesa.
Eremita del Po
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