Sant'Antonio, l'abate della tradizione contadina e il suo culto nelle campagne. Il 17 gennaio la benedizione degli animali e delle stalle, tutto l'anno filastrocche e preghiere "fatte in casa"
Tenere vive le tradizioni, custodire e promuovere i saperi per far crescere e tutelare l’identità dei nostri territori; fare, del passato, il patrimonio del presente e il perno del futuro. Vivere la fede popolare come occasione di festa e di rinnovata ricerca di quei valori che hanno sempre impreziosito le nostre terre.
Mentre il tempo del natale è ormai alle spalle e l’inverno avanza arriva puntuale, come ogni anno, una delle ricorrenze più attese, sentite e celebrate di qua e di là dal fiume: quella di Sant’Antonio Abate, uno dei cosiddetti santi “mercanti della neve”. La festa forse più popolare, tradizionale e più antica di quelle celebrate nel cuore della campagna, di qua e di là dal Po (ma anche nel resto d’Italia). Già per la vigilia di questa ricorrenza, e quindi il 16 gennaio, è sempre stata una speciale usanza quella di pulire per bene la stalla, i pollai, i giacigli e le gabbie degli animali.
La sera della vigilia è meglio non restare ad ascoltare gli animali perché si dice che parlano tra loro e si confidano i maltrattamenti e le crudeltà degli uomini. Sono parole segrete, arcane e difficili da comprendere: per questo non vanno ascoltate e non devono essere disturbati; anche perchè si racconta che nei secoli passati, chi l’ha fatto, poi è morto. Sempre per la vigilia, un tempo, anche il contadino più miscredente celebrava un rito singolare accendendo un cero di fronte all’immagine del santo nell’edicola a lui dedicata e posta, abitualmente, sopra l’ingresso principale delle stalle, recitando un rosario seguito da specifiche giaculatorie mediante le quali veniva invocata.
Su tutte le famiglie di animali, di grande come di piccola taglia, suino incluso, esistenti nella sua proprietà, una specie di protezione del santo stesso. A lui si chiedeva inoltre di difendere tutti, la casa e le cose, specie il fienile (una delle ragioni per cui, generalmente, nelle immagini del santo compare anche il fuoco).
Nel giorno del Santo (17 Gennaio) è usanza, in molte località, quella di benedire gli animali, le stalle e gli allevamenti, oltre al sale e al pane durante le cerimonie religiose. Numerose sono le località in cui i parroci si recano di persona, nelle aziende agricole e negli allevamenti, per impartire la benedizione. Per Sant’Antonio non si devono uccidere gli animali, e quindi ci si è sempre guardati bene dall’immolare, ad esempio, una gallina o un coniglio. Chi lo ha fatto, sempre secondo la tradizione, avrebbe visto ben presto i propri allevamenti decimati da qualche epidemia.
La sera di Sant’Antonio, popolari sono poi i famosi falò propiziatori che vedono mescolarsi tradizione sacra e pagana. I falò simboleggiano la volontà di bruciare il vecchio e il negativo ma, secondo altri usi, anche il gettare tra le fiamme una lista dei desideri da benedire con il fuoco. Un modo anche per celebrare o per “accelerare” la fine dell’inverno. La ricorrenza del celebre asceta, uno dei più rigorosi eremiti di tutti i tempi e grande padre del monachesimo orientale, è da sempre accompagnata da una serie di riti molto antichi, legati strettamente alla vita contadina, che fanno di Antonio Abate un vero e proprio “santo” del popolo.
È notoriamente considerato il protettore contro le epidemie di certe malattie, sia dell’uomo, che degli animali. È invocato, in particolare, come protettore del bestiame ma anche per scongiurare gli incendi, e non a caso il suo nome è legato ad una forma di herpes nota come “fuoco di Sant’Antonio” o “fuoco sacro”. Antonio Abate è anche considerato il patrono del fuoco e diversi riti che riguardano la sua figura testimoniano un forte legame con le culture precristiane, soprattutto quella celtica. È nota infatti l’importanza che il rituale legato al fuoco rivestiva presso i Celti come elemento beneaugurante.
Ci sono poi i detti popolari, uno su tutti “Par Sant’Antoni Abà, un’ura sunà”, a significare l’allungamento significativo che le ore di luce hanno ormai subito dalla notte del solstizio del 21 dicembre. Tanti altri sono poi i detti che, da sempre, si tramandano in terra cremonese, cremasca e casalasca:”Per Sant Antòni se cùr i serióoi se inpiena li bùti e i benasòoi” (Se piove per S. Antonio ci sarà una vendemmia abbondante); “Sant Antòni el fà i póont e San Pàaol el i a ròomp” (Per S. Antonio si fanno i ponti di ghiaccio, ma durano poco: infatti per S. Paolo – 25 gennaio – si scioglieranno); “Per Sant Antòni dèla bàarba biàanca se ghè mìia giàs, la néef ne la màanca” (in questo caso c’è la conferma della rigidità di metà gennaio: se non c’è ghiaccio, certo non manca la neve); “Sàant Antòni gluriùus; fìi végner bòon el me murùus che l’è rabìit tama ’n demòni, fème ’sta gràsia, Sàant Antòni” (Altra qualità dell’Abate era quella di far tornare la pace tra gli amanti arrabbiati); “Sàant Antòni chisulèer, el vèen al dersèt de genèer: in che méès végnel?” (indovinello che si faceva ai bambini cercando di confonderli).
Atro detto molto famoso è “Sàant’Antòni da la bàarba biàanca, faame truàa chèl che me manca”: più che un detto, una preghiera che pronunciavano le nostre nonne nella speranza di trovare ciò che avevano perso. Gli Antoniani lo rappresentavano regolarmente col campanello perché durante la cosiddetta “cerca” si annunciavano usando un campanello legato al bastone. I fabbri ferrai, invece, lo raffiguravano col fuoco ai piedi e lo hanno sempre venerato come loro protettore.
C’è anche una formula magica “Aqua de fòs, àaqua de bìs, Sant’Antoni la benedìs” grazie alla quale era possibile bere l’acqua di qualsiasi fosso o canale. Il giorno del santo, il 17 gennaio, si è decisamente caricato di tali e tanti significati, che vedono intrecciarsi fede e superstizione, tradizioni ancestrali e riti propiziatori ed anche di numerose leggende legate per lo più all’allevamento del bestiame.
La confraternita, divenuta comunità conventuale durante il pontificato di papa Bonifacio VIII col titolo di Canonici Regolari di Sant’Agostino del Viennois ma ben presto ribattezzata semplicemente come “Antoniani” giunse a Cremona nel XIV secolo. I monaci indossavano la tonaca nera ed il mantello con una “Tau” azzurra. Di certo nel 1388 Gian Galeazzo Visconti concesse al monastero di Cremona l’immunità e il relativo diritto di asilo. Gli Antoniani si sistemarono presso una piccola chiesa che sorgeva dove oggi si trova il Centro Pastorale Diocesano e da subito si adoperarono per ampliarla ed abbellirla. Nel 1441 la chiesa fu consacrata dal vescovo Venturino de Marni mentre un po’ di anni prima., nel 1429, venne eretto un ospedale per i malati di “herpes zoster” o “fuoco di Sant’Antonio” che veniva curato, dai frati, con applicazioni di lardo ed è epr questo che a loro era concesso di tenere i maiali entro le mura cittadine. In città e nel contado questi frati divennero ben presto molto popolari ed è certo che un convento sorgeva anche a Sant’Antonio d’Anniata, oggi in territorio di Pessina Cremonese dove tuttora si trova la chiesa, da tempo inutilizzata con una vasta corte in cui, verosimilmente, si conservano parti del vecchio complesso monastico.
Col tempo iniziò poi il declino degli Antoniani e nel 1611, nonostante la forte opposizione dei frati francescani, vennero sostituiti dai Padri Teatini di Sant’Abbondio. Già da tempo, tra l’altro, l’ospedale era divenuto alloggio della cavalleria al punto che ogni anno, per Sant’Antonio, i frati beneficevano i cavalli e l’incarico passò poi ai teatini fino al 1788 quando la chiesa fu soppressa e il terreno acquistato dal conte Giorgio Barni che ne fece una Ortaglia mentre la Contrada Sant’Antonio divenne via Sant’Antonio del fuoco.
Tra le usanze di un tempo, quella di preparare un pane molto lungo che veniva tagliato poi in numerose fette in base a quanti erano gli animali in cascina: questo pane veniva quindi messo sulla tavola apparecchiata come nelle grandi occasioni di festa ed il tutto veniva fatto benedire dal bambino più piccolo della casa al quale si era fatta bagnare la manina. Quindi i familiari, insieme, distribuivano questo pane agli animali. Ma c’era anche l’usanza della “pulèenta infazulàada (polenta e fagioli) che le famiglie più ricche o comunque benestanti distribuivano a quelle più povere. Assai ricca e particolare era poi la festa che si svolgeva nei pressi di Casalmaggiore con protagonisti, ancora una volta, gli animali che venivano tutti condotti sul sagrato della chiesa e quindi benedetti e, per l’occasione, i moscardini del posto potevano fare la loro bella figura cavalcando ciò che ci poteva essere di cavalcabile. C’era poi chi, in cascina, davanti all’altarino o all’immagine del santo, dopo la benedizione (ottenuta in cambio di una offerta in prodotti della terra) recitava il rosario. Tutti gesti antichi che, purtroppo, si stanno in larga parte estinguendo e che andrebbero invece recuperati prima di perderli per sempre.
Si è detto della chiesa, da tempo in disuso, di Sant’Antonio d’Anniata, ma non stanno andando incontro ad un destino migliore nemmeno l’imponente chiesa di Sant’Antonio Abate che si trova nella cascina Canova di Martignana di Po e l’oratorio di Sant’Antonio Abate a Scandolara Ravara. Chissà che per entrambe queste chiese, nonostante il declino, possa arrivare il momento del recupero e di una nuova valorizzazione. Discorso totalmente diverso invece per la suggestiva cappella dedicata al Santo si trova a Cappella di Casalmaggiore all’incrocio fra tre strade comunali ed è, con ogni probabilità, un ex voto.
La piccola ma bella edicola è privata e sorge su terreni della famiglia Barbiani. La raffigurazione interna fu sistemata (probabilmente si trovava anche una raffigurazione precedente andata irrimediabilmente perduta nel tempo) nel 1987 grazie al volere di Maurizio Araldi, Gianni Cagna e Primo Amadini. L’opera fu realizzata dall’artista Ambrogio Ghezzi, autore per altro di numerose testimonianze nei cimiteri della zona. A questo luogo di autentica fede popolare gli abitanti di Cappella, e non solo, sono molto affezionati e, per questo pochi anni fa è nato un comitato ad hoc che si è occupato del restauro ed è stato composto, tra gli altri, da Giuseppe Zani, Silvana Ghezzi in Lini col marito Giuseppe Lini, Giuliano Braga, Don Angelo Bravi, don Alfredo, Renato Barbiani e la figlia Valentina Barbiani. Ad occuparsi materialmente dei lavori è stata Elisa Lena. Un bell’esempio ed una bella testimonianza, quella della gente di Cappella come la è stata quella degli abitanti di Ardola di Polesine Zibello (Parma) che, a loro volta, si sono costituiti in comitato ed hanno salvato e recuperato la chiesa del paese che, da tempo, era in disuso.
Chissà che non possano nascere anche comitati o associazioni spontanee che possano dare avvio al recupero di quei luoghi, dedicati a Sant’Antonio Abate (Sant’Antonio d’Anniata, Martignana Po e Scandolara Ravara) che sono custodi silenti ma tenaci della fede dei nostri antenati. Nel frattempo saranno numerose le funzioni che si terranno nel cremonese per la ricorrenza di Sant’Antonio Abate. Giusto per citarne alcune, la messa che il 17 gennaio, alle 21, sarà celebrata in chiesa a Cingia dè Botti. Lo stesso giorno la messa sarà celebrata alle 19 nella chiesa di Stagno Lombardo e, di seguito, la tradizionale cena nel Salone dell’Oratorio.
Durante la giornata il parroco passerà per la benedizione delle stalle là dove richiesto. Sabato 18 gennaio, invece, alle 18, nella chiesa di Vicoboneghisio, messa con affidamento a Sant’Antonio e possibilità di benedizione degli animali e, a seguire, cena. Sempre sabato 18, alle 19.30, a Isola Dovarese, nel teatro San Nicolò, Cena di Sant’Antonio organizzata dall’Unità pastorale di Isola Dovarese, Pessina, Villarocca e Stilo dè Mariani. A Vescovato, invece, venerdì 17, su iniziativa dell’Unità pastorale Cafarnao, alle 18 messa nella chiesa parrocchiale di San Leonardo e, a seguire, benedizione dei piccoli animali sul sagrato della chiesa e, infine, cena nell’oratorio La Rocca.
Sulla sponda emiliana del Po, a Vidalenzo di Polesine Zibello, su iniziativa dei monaci benedettini "Custodi del Divino Amore" sarà celebrata la messa alle 16.30 in chiesa parrocchiale. A Pieveottoville, il 17 e 18 gennaio il parroco don Benjamin Ayena benedirà le aziende agricole; inoltre, venerdì 17, sarà celebrata la messa nel caratteristico oratorio di sant’Antonio Abate e, alle 16.30, saranno benedetti gli animali in piazza Battisti. A Busseto (terra di Verdi) le messe saranno invece alle 7.15, 10.30 e 18 con benedizione del sale mentre gli animali saranno benedetti sul sagrato della collegiata alle 15, 16 e 17. Alle 18, dopo la funzione, ci sarà anche la processione verso la sede del gruppo Alpini Terre del Po, con benedizione degli animali e possibilità di gustare specialità tipiche.
A proposito di specialità gastronomiche, ecco che a Zibello, terra del celebre culatello, sono “di casa” gli gnocchi aperti, un piatto della tradizione delle famiglie locali. Venivano preparati soprattutto per Natale con un sugo ai funghi o col più semplice pomodoro. Sono gnocchi poveri fatti con solo farina scottata con acqua salata. Vengono fatte le bisce di impasto, tagliate a tocchetti e poi, con dita abili, vengono fatti i classici gnocchi facendo una virgola. In seguito vengono aperti e portati alla forma simile a quella delle orecchiette.
Eremita del Po
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