18 giugno 2021

Scoppia a Cremona la "Monteverdimania", ma non c'è alcuna lapide commemorativa su nessuna delle due case abitate dal Divino

Scoppia a Cremona la “Monteverdimania” e potrebbe essere questa l'occasione per ricordare, come è stato fatto nel caso della dimora nuziale di Antonio Stradivari in corso Garibaldi, la casa in cui nacque e quella in cui abitò, con una lapide commemorativa. Della prima non è rimasta traccia, anche se è stata identificata, non senza polemiche, con l'edificio di via Pallavicino n. 2, posto all'angolo con corso Matteotti. La seconda è posta al numero 25 di via Robolotti, ed è oggi sede di un B&B non a caso dedicato a Monteverdi ed è quella dove morì il vecchio padre Baldassarre. Ormai quasi mezzo secolo fa, quando si celebrò il quarto centenario, nell'identificare la casa natale del Divin Claudio si cimentarono due dei più noti ricercatori cremonesi, il giornalista Elia Santoro con la sua vis polemica, ed il professor Giuseppe Pontiroli, dando luogo ad una battaglia “archivistica” senza esclusione di colpi. Alla fine l'ebbe vinta Pontiroli che riuscì a dimostrare la propria tesi con un ultimo documento, che ben difficilmente avrebbe ammesso repliche. Era la supplica del padre di Claudio, Baldassarre Monteverdi, per realizzare una cantina di poco più di quattro metri di lunghezza verso il palazzo dei nobili Zaccaria, oggi Cavalcabò. Era la prova provata per smentire quanto aveva scritto Santoro qualche settimana prima, identificando la zona della casa natale con l'isolato compreso tra via Cavitelli e via Voghera, qualche decina di metri più avanti. Oggi possiamo ritenere, con una certa sicurezza, che sia proprio questa la casa natale di Monteverdi anche se l'unica traccia rimasta di quella originale è proprio nell'antica cantina. Per capire come si sia arrivati all'identificazione è però necessario fare un passo indietro.

Fino al 1967 si sapeva genericamente che Claudio Monteverdi era nato il 15 maggio 1567 nella giurisdizione della parrocchia di San Nazzaro e Celso, come risulta dall'atto di battesimo conservato nell'archivio della parrocchia di S. Abbondio. Lo avevano portato al fonte battesimale i padrini Giovanni Battista Zaccaria e Laura Fina, abitanti nella stessa parrocchia dove il padre Baldassarre si era trasferito dopo il matrimonio avvenuto con Maddalena Zignani nel febbraio 1566. Fino a quella data Baldassarre aveva tenuto in affitto una piccola bottega di cerusico in piazza del Duomo, ereditata probabilmente dal padre Luca, ed una spezieria con due occhi di bottega aprì anche nella nuova casa nel quartiere “Piazano” dove si era trasferito con la moglie. E' proprio sull'identificazione esatta del quartiere “Piazano”, e di conseguenza sulla posizione di questa casa in cui è nato il primogenito Claudio che si è scatenata la bagarre tra Santoro e Pontiroli, combattuta a suon di piante topografiche e di documenti d'archivio che ha avuto il pregio sia di stabilire con una certa esattezza quale fosse la dimora che di arricchire e definire la genealogia dei Monteverdi. Tutto ha origine da un atto di locazione rogato dal notaio Martino de Fino il 15 marzo 1576 da cui risulta che la casa di proprietà di Baldassarre Monteverdi confinava con un'altra che divenne pure di sua proprietà situata “sul cantone de bellefiori della vicinanza de s.to nazaro quarterio piazano”. La locazione riguardava “domum seu petiam terre casatam iacentem in vicinia Sancti nazarii (il particolare è che Sancti Nazarii è stato soprascritto ad omnium sanctorum, dopo averlo cancellato), ac cum occulo appothece curia canepa subterranea ed canepelo putheo ed aliis hedeficiis in ea cui coheret a duabus partibus strata ad alia et ab aliis duabus partibus predictus dominus baldesar”.

L'identificazione si è giocata tutta sul significato da dare al termine “cantone”: Santoro riteneva che significasse lo spigolo sporgente rispetto all'altro collocato sull'altro lato della stessa via che si immette in una trasversale, mentre Pontiroli pensava che avesse il semplice significato di angolo di casa posto all'incrocio tra due vie. Sulla scorta del Bordigallo, Pontiroli limitava il quartiere di S, Nazaro a quattro zone: il quartiere Strate recte, il quartiere ecclesie, il plazonorum e il quartiere Poffe Canum. A questa parrocchia seguiva quella di Ogni Santi dove aveva sede la “via noncupata pigolia”, oggi via Luigi Voghera, ma Claudio Monteverdi era stato battezzato nella prima: il confine tra le due doveva essere o nelle contrada Pegolia (via Voghera), oppure in quella Bellefiori, cioè via Cavitelli. La correzione posta dal notaio, sostituendo vicinia omnium sanctorum con Sacti Nazarii, derivava con ogni probabilità dalla facile confusione per la diversa appartenenza parrocchiale dei due cantoni all'inizio della stessa via. Sicuramente, secondo le conclusioni del Pontiroli, al quartiere Piazano apparteneva una parte dell'isolato di case compreso tra le attuali via Girolamo da Cremona, via Pallavicino, corso Matteotti e via Cavitelli. La parte restante apparteneva alla parrocchia di S. Michele Vecchio, in quanto uno stesso isolato poteva appartenere a due parrocchie diverse. Nel censimento del 1576 nel “Quarterio Piazano” si trova residente “ms. Baldesar de monte verdj speciijaro”, nella casa che Pontiroli identificava con il numero 2 di via Pallavicino all'angolo con via Matteotti.

E' lui che lo spiega: “La casa Monteverdi infatti era confinante con altra, che divenne pure di loro proprietà,sul cantone di Belli Fiori nel quartiere piazano, dopo intricatissime vicende. Trattandosi, per quest'ultima, di casa sul cantone, all'imbocco della strada di Belli Fiori o Pulchri fiori, come è detto altrove, oggi via L. Cavitelli, ho dimostrato trattarsi di quello appartenente al quadrilatero tra il corso Matteotti, via U. Pallavicino, via Gerolamo da Cremona e via L, Cavitelli. Quindi, a mio giudizio, le case, una di cui di abitazione di Baldassarre Monteverdi, a cui s'aggiunge l'altra sul Cantone di Belli fiori, occupavano, di questo quadrilatero, nella parte della parrocchia di S. Nazaro, nel quartiere Piazzano, tutto il lato dell'odierno corso Matteotti e non il lato, di altro quadrilatero, tra via L. Cavitelli e via L. Voghera, un tempo Pegolia, in quanto quest'ultimo tratto era sotto altra parrocchia nel 1576. Questo secondo le informazioni del censimento spagnolo, e così, nel 1515, secondo il Designum Urbis del Bordigallo. Ma la prova migliore che la casa di abitazione, almeno dall'anno del matrimonio e per un decennio, quindi dove nacque Claudio Monteverdi, mi è data da un documento, scelto tra quelli segnalati, ma non intesi, dal Santoro. Il documento, senza data, è nella filza dei Fragmentorum del 1576. Ed ora, valendoci della sola pianta di Cremona di Antonio Campi,del 1583, quindi redatta appena sei danno dopo la Supplica, possiamo fare le seguenti osservazioni: dove oggi v'è palazzo Cavalcabò di corso Matteotti, numero civico 31, vi era la casa di Alfonzus Zacaria, dietro alla quale stava l'abitazione di Iulius Fabagrossa cap (itaneus). Orbene lo speciaro Baldassarre Monteverdi chiede di poter fare verso il palazzo dei signori Zaccaria, cioè odierno Cavalcabò, dove è assai spazio, come oggi, una cantina sotto la sede stradale per una lunghezza di otto braccia. Se la casa fosse stata in via L. Cavitelli, non avrebbe potuto il Monteverdi spingere tale scavo sotto la sede stradale troppo angusta e non avrebbe avuto davanti assai spatio e non sarebbe stato appresso allo mg.ci sig.ri di Zacaria ed esattamente diverso [sic] detti sig.ri di zacharia! Ma ancora! Ho fatto un sopraluogo ed ho constatato che la caneva esiste ancora, proprio com'è descritto nel documento, sotto la sede stradale, dove c'è lo spazio libero, difronte a palazzo Cavalcabò, quindi sull'altro cantone”. Dunque al n. 2 di via Pallavicino.

Più semplice è stata l'identificazione dell'altra casa dei Monteverdi, quella in cui abitò sicuramente il padre Baldassarre con i fratelli di Claudio, Giulio Cesare e Filippo, almeno sino alla data della morte avvenuta il 10 novembre 1617. E' possibile che vi abbia soggiornato anche Claudio nei suoi ritorni a Cremona, da cui se ne era già andato verso i 24 anni di età., quando nel 1591 riuscì a farsi assumere tra i musicisti al servizio della corte dei Gonzaga a Mantova, di cui era allora duca Vincenzo I. Di sicuro tornò a Cremona nel 1607, quando il 10 agosto fu ammesso all'Accademia degli Animosi, prima di recarsi alla volta di Milano. Fu di nuovo nella casa paterna a trascorrere le ferie estive del 1608, per un periodo di riposo dopo la stesura dell'Arianna e de “Il ballo delle ingrate”. Il lavoro intensissimo, unito certo al lutto per la perdita della moglie Claudia Cattaneo, alle scarse soddisfazioni economiche e all’irregolarità dei pagamenti delle sue spettanze, spinsero il compositore a far scrivere al padre suppliche ai duchi (9 e 27 novembre 1608) per chiedere il permesso di licenziarsi, o quanto meno una riduzione dei suoi impegni. Non ottenne né l’uno né l’altra: richiamato a Mantova, ebbe solo la soddisfazione di vedersi riconosciuto dal duca un vitalizio (19 gennaio 1609), che però avrà costantemente difficoltà a farsi liquidare.  Claudio tornò nuovamente a Cremona nell'estate del 1612, dopo essere stato licenziato insieme al fratello Giulio Cesare dal nuovo duca duca di Mantova Francesco. Ai primi di ottobre 1613 Monteverdi si trasferì definitivamente a Venezia col figlio Francesco e la serva, per ricoprire il ruolo di maestro di cappella della basilica di San Marco.

Dallo Stato d'anime del 1634 della soppressa parrocchia di San Siro e Sepolcro, si apprende che la casa, che forse figurava già vuota, era la penultima di contrada Confettaria, poiché la successiva era la Casa santo Francesco sul Cantone di Confettaria verso santa Maria Elisabetta. Si trattava di una cappella situata all'incirca dove oggi sono i numeri 15 e 17 di via Aselli, non presente nella mappa di Antonio Campi in quanto, come ci informa il Bresciani, fondata nel 1598. in cui nel 1620 venne sepolta una Monteverdi non meglio specificata. Nelle vicinanze di S. Elisabetta era anche la casa del liutaio Cironi, morto il 18 agosto 1649: La casa dei Monteverdi è dunque quella oggi al numero 25 di via Robolotti, già di proprietà del cavalier Spartaco Stringhini. Per questa casa Filippo era tenuto a pagare ogni anno 10 lire imperiali ai frati di San Francesco “per un livello da loro istituito sulla sua casa d'abitazione sotto la parrocchia di S. Sepolcro, di cui è cenno anche nello Stato d'anime. Confinante con questa vi era la casa di Cesare Bissolotti che aveva fatto un prestito ai figli Filippo e Giulio Cesare per pagare in funerali del padre quando Claudio era gà a Venezia. Gran parte di queste case figurano vuote nello Stato d'anime del 1634 perchè probabilmente colpite dalla peste del 1630, come è il caso dell'abitazione di Pellegrino Merula, parente del musicista Tarquinio, posta all'inizio di via Borghetto. Nonostante le migliorìe edilizie apportate a questa zona negli stati d'anime della parrocchia di San Sepolcro compaiono sempre di seguito la casa Bissolotta, la casa Monteverda e la Casa sancto Francesco sul Cantone di Confettaria. L'estensore dello Stato d'anime ci informa che, voltato l'angolo, lungo quello verso Santa Elisabetta si incontra la Casa del Spaderino, quindi la Casa alla stalla s.ri Hasti, segnata nella mappa del Campi come proprietà di Gerardus Astius, posta proprio sull'angolo della contrada Bissone, oggi via Pecorari, dove è la Casa di Cura delle Ancelle della Carità. Passando oltre si trova la Casa Alias Fusaro in Bissone, oltre la quale vi è il retro di casa Bissolotti la cui fronte, come visto, è in via Confettaria. La casa di Sancto Francesco sul Cantone di Confettaria dove avere allora, come oggi, l'ingresso su via Aselli, come è possibile riscontrare nella pianta della Regia Città di Cremona del 1852.

Fabrizio Loffi


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commenti


Gualtiero Nicolini

18 giugno 2021 17:31

Strano che non si sappia che la casa di Stradivari in corso Garibaldi indicata con tanto di targa NON sia la vera casa di Stradivari !!!!

michele de crecchio

6 novembre 2022 22:03

La strenua contesa tra Santoro e Pontiroli riportò alla memoria, dei pochi cremonesi che ebbero la pazienza di leggerne le dotte disquisizioni, anche il desueto termine di "stretta sedile", cioè del vicolino, sostanzialmente riservato al solo scarico di acque piovane e luride, non sempre tombinate, provenienti dalle proprietà confinanti (in altre città, maggiormente memori del linguaggio latino, veniva detto "ruella acquaria"). Tali "strette" furono, nel corso dell'ottocento, fatte oggetto a Cremona di particolari attenzioni da parte della amministrazione comunale che, a seguito delle accresciute sensibilità sanitarie, ne impose la definitiva regolarizzazione e chiusura (ben tre faldoni dell'archivio comunale sono dedicati alle relative pratiche!). Pochi anni dopo la lunga disputa tra i due eruditi cremonesi, il gustoso film di Pasolini dedicato al ""Decamerone" di Boccaccio, fece poi rivivere una di quelle antiche "fogne a cielo aperto" nello spassoso episodio che narrava della disavventura capitata all'impacciato Andreuccio da Perugia (interpretato da uno straordinario Ninetto Davoli) che, cercando di liberarsi del "soverchio del ventre", era, per l'appunto precipitato in una di tali "strette sedili", assai maltenuta e, di conseguenza, ripiena di liquame verdastro e maleodorante! Pochi cremonesi credo però che, assistendo al film e ridendo di gusto alla vista del faccione stralunato di Davoli che riemergeva dal luridume, abbiano allora ripensato alla casa di Monteverdi che, a suo tempo, aveva appunto la caratteristica di confinare con una analoga antiigienica strettoia!