23 maggio 2024

Se n'è andato Padre Amedeo per tanti anni priore dell'Abbazia di Chiaravalle della Colomba

Una vita all’insegna del celebre motto “Ora et Labora”, percorsa passo dopo passo nella continua contemplazione del volto di Cristo, sia nelle attività lavorative che durante le ore della preghiera quotidiana.  Dedicando sempre un sorriso, una parola saggia a coloro che incontrava, animato da una fede incrollabile che, in un silenzio che sapeva essere speciale, lo ha caratterizzato in ogni momento. Così, in poche righe, si potrebbe tratteggiare la figura umana e religiosa di padre Amedeo Parente (Tommaso), spentosi in “punta di piedi”, in linea col suo straordinario carisma, all’età di 89 anni. Un volto molto noto anche ai cremonesi, quello di padre Amadeo, per tanti anni priore della storica e meravigliosa Abbazia cistercense  di Chiaravalle della Colomba, speciale oasi di silenzio e di spiritualità immersa nel verde e nella pace della Bassa emiliana, a due passi da Cremona. Proveniente da Casamari (luogo in cui si trova la casa madre dei monaci Cistercensi), dove era nato il 3 ottobre 1935, dal 1965 era a Chiaravalle della Colomba dove non era solo il priore (sarebbe addirittura riduttivo definirlo soltanto priore) ma era, soprattutto, l’ “anima”, la “colonna portante” dell’Abbazia ed un amico, vero e fidato,  di coloro che avevano bisogno della sua parola, della sua vicinanza, di un suo sorriso.  A Casamari, suo luogo di origine, aveva fatto la professione semplice per poi trascorrere gli anni del liceo alla Certosa di Firenze. Aveva quindi studiato filosofia alla Certosa di Trisulti e teologia di nuovo a Casamari. Quindi, dal 1965 la presenza costante, e soprattutto preziosa, a Chiaravalle della Colomba, in quella splendida Abbazia che ha profondamente amato, per la quale ha promosso opere ed iniziative importanti. Ha saputo valorizzarla, tutelarla, ha dato vigore alle iniziative monastiche e parrocchiali, da autentica figura poliedrica quale è sempre stato.

Tra le tante attività realizzate, su tutte, da sempre, un appuntamento molto caro, sentito e seguito anche dai cremonesi, vale a dire l’allestimento della celeberrima “Infiorata” del Corpus Domini. Ricorrenza, questa, con cui si porta avanti una tradizione quasi millenaria fatta propria dai monaci cistercensi che hanno inteso solennizzare la festività del Corpus Domini, estesa alla Chiesa universale da papa Urbano IV, nel 1264, per intercessione di Santa Giuliana da Liegi, monaca cistercense.

Un luogo, l’Abbazia di Chiaravalle della Colomba, ormai quasi millenario. La sua fondazione ufficiale si attribuisce al solenne documento dell’11 aprile 1136 – espressamente chiamato «institutionis paginam» – con il quale Arduino, vescovo di Piacenza, concede al monastero i primi beni terrieri. Altre donazioni vennero da due potenti signori della zona, i marchesi Oberto Pallavicino e Corrado Cavalcabò (della nobile famiglia obertenga che per anni ha portato avanti il suo dominio a Cremona). I Consoli e il popolo di Piacenza stabilirono il prezzo dei terreni che dovevano cedere al monastero. La «institutionis paginam» già cita il nuovo nome dell’antico Careto,  ricordandone il titolo di «Colomba». Vorrebbe la leggenda che una bianca colomba avesse delineato con pagliuzze, dinanzi ai monaci, il perimetro dell’erigendo complesso religioso. In realtà è probabile che l’intitolazione a «Santa Maria della Colomba» (nome dedicatorio autentico della basilica e del monastero) si riferisca al mistero dell’Annunciazione, armonizzandosi così molto bene con la spiritualità mariana  cistercense. Questa riflessione ci riporta direttamente alla persona del fondatore San Bernardo, il grande abate di Clairvaux (Claravallis) a cui Dante nella Commedia fa pronunciare la celebre preghiera  «Vergine Madre figlia de tuo Figlio», il quale – dopo la riforma benedettina sgorgata su finire del sec. XI dal monastero di Cîteaux (Cistercium), e che privilegiava il lavoro manuale agricolo –riceveva continuamente richieste di fondare nuove abbazie sia per il suo zelo nel difendere la Chiesa  che per  la fede operosa dei suoi monaci. Come aveva accolto le suppliche dei milanesi, il 22 luglio 1135, istituendo l’abbazia di S. Maria di Roveniano (l’odierna Chiaravalle Milanese), così pochi mesi dopo accolse quelle di Arduino, con il suo clero e il suo popolo, insediando alcuni confratelli, con a capo l'abate Giovanni, nei nostri luoghi campestri.   A S. Maria della Colomba spetta dunque la gloria della filiazione diretta dal grande riformatore della spiritualità dell’«ora et labora». Il 7 febbraio 1137 Innocenzo II indirizza a San Bernardo stesso il primo privilegio papale riguardante il monastero, mentre il medesimo verrà accolto sotto la protezione della Sede Apostolica con un atto del pontefice Lucio II, datato dal Laterano il 12 luglio 1144. La storia dell’Abbazia vede una lunga e operosa presenza dei monaci  che bonificano, coltivano e allevano animali, senza dimenticare la diffusione della loro spiritualità. In diverse zone dell'Italia settentrionale lavora il seme religioso che realizza l’apertura di un gran numero di dipendenze, maschili e femminili (almeno venti), sino alla lontana laguna veneta. Nel parmense sono ben note le abbazie monumentali di Fontevivo e di S. Martino de' Bocci. I fatti civili, da parte loro, hanno inciso non lievemente sulla vicenda della comunità cistercense. Nel 1214 è registrata una prima grossa depredazione militare. Il 15 giugno 1248 Federico II di Svevia, sconfitto presso Parma da Gilberto IV da Correggio, porta il suo esercito a Chiaravalle e dopo aver ucciso diversi monaci saccheggia e incendia il monastero. In una nicchia dell’angolo orientale del chiostro una lapide ricorda il lontano eccidio. Nel 1444 l’Abbazia, benché benemerita per le grandi attività religiose, scientifiche, letterarie e agronomiche, fu purtroppo concessa in commenda. L’istituto della «commenda» consisteva nell’assegnazione del titolo formale di abate a illustri personaggi, i quali vivevano lontani dal monastero ma ne incameravano le cospicue rendite. Tuttavia non tutti gli abati commendatari trascurarono l'abbazia, per questo il complesso degli edifici si ampliò notevolmente anche nel XVII e XVIII secolo. Nel 1769 in seguito ad un decreto di soppressione da parte del Duca di Parma i monaci lasciarono l'abbazia e furono accolti in quella di  S. Martino de' Bocci che il sovrano non aveva soppresso. Nel 1777 dopo aver pagato un riscatto, i monaci poterono ritornare nella loro abbazia, ma non per molto perché due decreti napoleonici, nel 1805 e nel 1810, confiscarono i beni e soppressero l’istituzione monastica. I religiosi vennero allontanati, rimasero a Chiaravalle due monaci, uno come parroco e uno come insegnante e un converso con funzioni di sagrestano. L’archivio, la biblioteca e gli arredi vennero dispersi; i mille ettari di terreno e i fabbricati divennero proprietà degli Ospedali Civili di Piacenza.
Sino al 1937 la cura della parrocchia e dei locali dell'abbazia fu affidata  di un abate-parroco del clero secolare, mentre l’insigne monumento fu esposto ad ogni genere di usi e abusi. Mons. Guglielmo Bertuzzi, dagli inizi del XX secolo abate parroco di Chiaravalle, iniziò a recuperare la storia e i locali dell'abbazia, convinse la Sovrintendenza a realizzare delle campagne di restauro che permisero di far emergere capolavori come la Crocefissione della Sagrestia e di consolidare gli altri locali. Riuscì anche a far tornare i monaci cistercensi attraverso un accordo, nel 1937,  tra il Vescovo di Piacenza e la Congregazione cistercense di Casamari. Nel 1976 il complesso architettonico è diventato proprietà demaniale e le Soprintendenze statali hanno continuato quel lungo itinerario di restauri che hanno portato l'abbazia ad essere splendente come un tempo. Chiaravalle ha ripreso ad essere sede di convegni di studio e vede un continuo afflusso di visitatori. Questo grazie anche, e soprattutto, alla attività instancabile di padre Amedeo che, di questo luogo, conosceva ogni millimetro. I Monaci cistercensi vi rinnovano la spiritualità della vita claustrale, contemplativa e attiva. La ricorrenza liturgica oggi qui più nota è quella, già citata, della festa del Corpus Domni durante la quale i fedeli possono ammirare la celebre «infiorata»: un magnifico tappeto di petali floreali che corre dall’ingresso al presbiterio della basilica raffigurando motivi eucaristici, o sacri, di bellissimo effetto. Un appuntamento capace sempre di richiamare anche tanti cremonesi e cremaschi. In ogni momento dell’anno i visitatori possono invece trovare i prodotti dell’impegno laborioso dei monaci: i liquori benefici, le tisane, le varie medicine naturali tratte dalle erbe, i profumi, il miele e suoi derivati. Molti di questi preparati dalle abili mani di padre Amedeo, custode autentico dei saperi e dei segreti cistercensi.

Da ricordare, infine, che proprio una delle ultime attività di padre Amedeo ha interessato il territorio cremonese. E’ stato infatti un fondamentale punto di riferimento nella stesura del recente racconto del giornalista e scrittore cremonese Roberto Fiorentini L’Abbazia del sangue di Cristo” (Roca Editore) impreziosito dalle immagini del grande fotografo Raffaele Rastelli.  I funerali di padre Amedeo avranno luogo venerdì 24 maggio, alle 15, nell’Abbazia di Chiaravalle della Colomba. Oggi, giovedì 23, alle 20.30, in Abbazia sarà invece recitato il Rosario. Padre Amedeo poi riposerà in eterno nella sua terra natale di Casamari ma vivrà, per sempre, nel ricordo dei tanti (anche cremonesi) che lo hanno conosciuto e stimato. 

Eremita del Po

 

Paolo Panni


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti