Senza Andrea Mosconi la liuteria cremonese sarebbe stata dimenticata. Donato un suo strumento al Museo del Violino. La commozione dell'amico fraterno Salvatore Accardo
Quando una celebre casa di pasta, per realizzare una clip pubblicitaria, scelse il violino Stradivari Cremonese 1715 come emblema di eccellenza alto artigianale italiana fu proprio Andrea Mosconi, all’epoca conservatore degli “Archi di Palazzo Comunale”, a suggerire come lo strumento non fosse “solo 382 grammi di acero dei Balcani e abete della val di Fiemme”. Aveva pienamente ragione. Un violino è espressione di contenuti oggettivi e simbolici, sapienza antica e passione rinnovata ogni giorno, materia e gesti, unicità e bellezza.
La donazione al Museo del Violino, da parte dei familiari di Andrea Mosconi, di un suo strumento, realizzato nel 1950 – ufficializzata ieri (mercoledì 12 gennaio) in Auditorium Giovanni Arvedi – non può essere celebrata solo dal punto di vista storico o delle collezioni, quanto piuttosto deve stimolare una riflessione più ampia. “Il percorso del professor Mosconi – osserva Gianluca Galimberti, sindaco e presidente del Museo – è la storia della città. Tocca momenti chiave come la riscoperta e valorizzazione della liuteria, l’impegno nella formazione e l’importanza di trasmettere il saper fare. Questi temi ci dicono chi siamo e ci indicano dove andare”.
“Mio padre – ricorda Mario Mosconi – amava profondamente Cremona, i suoi luoghi e le persone che li popolano. Questo violino, che da oggi vivrà al Museo, è la rappresentazione più chiara possibile di questo sentimento verso la propria città. Vivrà in un luogo unico perché credo incarni l’essenza più intima della città: la sua sensibilità culturale e l’esigenza di comunicarla. Sapere che uno dei suoi violini è esposto qui inorgoglirebbe molto (o inorgoglisce, chissà, da qualche parte) mio padre. Ne sono certo, perché questo museo include molte cose, molte idee e molti concetti che hanno dato senso alla sua vita, intesa come un percorso. In quest’ottica se la musica è la scienza del muovere bene – come scriveva Sant’Agostino - è anche uno sprone etico, individuale e comunitario, che induce a migliorarci”. Così, alla proposta di donazione suggerita da Fausto Cacciatori, conservatore del Museo del Violino, “la mia mamma e le mie sorelle abbiamo accolto con entusiasmo l’idea. Oggi non riteniamo di separarci da questo strumento, donandolo, ma al contrario di avvicinarci a esso ancora di più poiché la bellezza, quando condivisa, si moltiplica”.
Un accrescitore è anche la formazione. “Andrea Mosconi ha sempre creduto molto nello studio e nei giovani", ricorda Antonio De Lorenzi, che ne ha sottolineato l’impegno prima come insegnante, direttore della scuola civica di musica Monteverdi e coordinatore dei corsi di alto perfezionamento dell’Accademia Stauffer. "Dietro al rigore, esatto da sé prima che chiesto agli altri, si celava una persona generosamente attenta ai progressi degli allievi e alla buona condotta delle lezioni, partecipe quasi in modo paterno. La stessa dedizione ha profuso per oltre cinquant’anni, come curatore delle collezioni civiche di liuteria. Da fedele ministro officiava quotidianamente un rito fatto di competenza e passione, alternando sui violini più preziosi al mondo scale e arpeggi a brani concertistici”.
“Ha indicato una strada originale e importante nelle pratiche di conservazione – osserva Fausto Cacciatori – badando alla tutela non solo della materia ma anche della funzione, presidio importante nel percorso conoscitivo e concorrente ad lettura consapevole e completa sul piano estetico oltre che storico”.
“Le sue vaste competenze, dalla scuola di liuteria al diploma in conservatorio, dalla laurea alla Facoltà di Paleografia alla collaborazione con Simone Fernando Sacconi gli consentivano – sottolinea Roberto Codazzi, direttore artistico musicale del Museo - di affrontare con completezza i temi legati alla storia e alla conservazione dei beni liutari. Ma ancor prima era una persona onesta, intellettualmente e professionalmente. Lancio una idea: questa celebrazione non resti episodica ma trovi continuità, sviluppando quelle tracce proposte con intelligenza dal professor Mosconi nel proprio lavoro”.
Il tratto umano è al centro del commosso ricordo di Salvatore Accardo: “È stato il fratello che non ho mai avuto. Un’amicizia immediata e spontanea, sbocciata quando, giovanissimo, tenni il primo concerto a Cremona. Mi affidò proprio lo Stradivari Cremonese 1715. È stato il primo di tanti progetti condivisi. Tra i più belli ricordo l’idea dei Corsi di Alto perfezionamento dell’Accademia Stauffer. Andrea veniva spesso a Siena, dove tenevo i corsi all’Accademia Chigiana. A un certo punto mi chiese se non avremmo potuto fare qualcosa di simile anche a Cremona. Iniziò un paziente e alacre lavoro, che avrebbe dato origine all’Accademia Stauffer. A quelle lezioni si sono formati grandi talenti. Ho appena incontrato Massimo Quarta e Giuseppe Gibboni, due premi Paganini. Tra gli allievi molti sono vincitori di importanti premi internazionali. Ebbene senza Andrea Mosconi questo non sarebbe stato possibile”. Goethe, cui le note erano familiari quanto la poesia, affermava come la musica da camera fosse un dialogo tra persone giudiziose, intente a intrattenersi a vicenda in una conversazione.
Così Salvatore Accardo imbraccia il Cremonese 1715, lo strumento cui Mosconi era più legato, e suona la Sarabanda dalla seconda Partita di Johann Sebastian Bach. È un dialogo intenso e lirico, vibrante, intimo e vero. Come si conviene tra amici.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti