Settant'anni fa se ne andava Emilio Rizzi, uno dei più grandi artisti cremonesi di respiro internazionale. Le sue opere dal 2005 al museo civico
Scompariva settant’anni fa, il 22 dicembre 1952, Emilio Rizzi, uno dei più grandi artisti cremonesi del Novecento. Nel 2005 la figlia Mietta ha donato al Museo civico Ala Ponzone un nucleo di opere che sono andate ad incrementare lo scarso patrimonio museale che documenta a Cremona, città dove era nato il 5 maggio 1881, l’attività dell’artista. Nonostante Rizzi abbia poi lavorato a Milano, Roma, Parigi ed infine a Brescia, rimase legato alla sua città, dove la famiglia possedeva una proprietà a Crotta d’Adda, paese di cui era originario il padre Giuseppe, e la tenuta del Baccanello a Pieve Delmona. A Cremona, peraltro, mantenne i contatti con altre personalità artistiche: Giovanni Bergamaschi, allievo dello Scuri, suo primo maestro; Vespasiano Bognami, suo insegnante a Brera, ed Alceo Dossena, oltre a vari mecenati ed amici tra cui gli Stanga, i Soldi e gli Sperlari.
Dopo aver compiuto gli studi presso l’Accademia di Brera, il giovane Emilio, vinta una borsa di studio triennale del Comune di Cremona, seguì a Roma un corso di perfezionamento alla scuola di Antonio Mancini e tenne lezioni regolari all’Accademia di Belle Arti. Di questi primi anni sono conservati alla Pinacoteca Ala Ponzone due “Mietitura” del 1901, “L’orfanella” del 1904 ed un “Ritratto di giovane donna”, che altro non è se non la moglie Barbara Anselmi, del 1906, dove l’artista si dibatte ancora tra suggestioni scapigliate e simboliste e un verismo ritrattistico di tradizioni lombarda. Nel 1909 si trasferì a Parigi dove eseguì molti ritratti, sia per commissione, che su propria iniziativa ritraendo la moglie Barbara, che era già stata sua modella al tempo degli studi romani. Nel 1913, votato per il “Gran Prix” riservato agli artisti francesi, vi rinunciò per non perdere la cittadinanza italiana, ricette allora “Le Palmes d’Officier d’Academie”. Di questo periodo trascorso in Francia la collezione dell’Ala Ponzone possiede il bozzetto della “Tazza dorata” e la sanguigna “Dolce far niente” ancora molto accademica. Alla vigilia dello scoppio della guerra mondiale rientrò a Cremona, dove dipinse una serie di interni del Duomo, uno dei quali oggi al museo civico, dove nell’uso del colore si coglie una forte impronta impressionista. Nel 1920 fu a Brescia, dove rimase fino al 1938, per poi ritornarvi dal 1943 al 1952, anno della sua morte. Di questo ultimo periodo sono presenti nelle collezioni Ala Ponzone un ritratto e due autoritratti che confermano la predilezione dell’artista peri il genere ritrattistico puro. Ha scritto di lui Mario Monteverdi: “Naturalista scapigliato, ai suoi esordi, verista manzoniano nella prima giovinezza e contemporaneamente simbolista, boldiniano a Parigi e quindi, sempre in Francia, di nuovo naturalista ma in chiave neoimpressionista, novecentesco in termini d’aperta adesione ai fenomeni naturali, in un recupero dei valori tradizionali del paesaggismo e della ritrattistica lombardi, nel periodo fra le due guerre ed infine palesemente riassorbito dal fascino d’una realtà poetica spoglia d’ogni orpello e d’ogni complicazione intellettualistica nell’estrema sua stagione pittorica”.
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commenti
michele de crecchio
21 novembre 2022 22:19
Emilio Rizzi, quasi omonimo e quasi contemporaneo di un altro pittore cremonese (Antonio Rizzi) del quale, però, non credo sia stato neppure parente.