Si discute di municipalizzate ma fu il cremonese Emilio Caldara, sindaco socialista di Milano, a fondare l'Aem per calmierare le bollette
L'ampio viale separa la zona centrale della metropoli da quella prima periferia ad est ormai divenuta tessuto urbano della città. Siamo a Milano e, se viaggiamo lungo una di quelle arterie che decenni fa originavano il “nucleo storico” del capoluogo lombardo, potremmo trovarci a camminare tra Porta Regina Margherita e quella Porta Romana che, nella versione in rima di Giorgio Gaber, è talmente bella da raccontare di come la sottana della protagonista aveva fatto più battaglie di tutta la marina americana, mentre il suo reggipetto aveva perso più battaglie che il generale Cadorna a Caporetto. Ad unire quel piccolo viaggio che collega la saporita ironia di Gaber alla Regina moglie di Umberto I ci ha pensato un cittadino di origini cremonesi, di Soresina per la precisione, il quale si è ritrovato, dopo la sua scomparsa nel 1942, con un viale dedicato, quello stesso viale che collega due ingressi alla “vecchia” città di Milano.
Emilio Caldara era nato a Soresina nel 1868 da una modesta famiglia tutta impegnata nel lavoro dei campi fatto che, nel XIX secolo quando l'unità d'Italia si era concretizzata da poco, lo avrebbe portato quasi sicuramente a lavorare nelle campagne cremonesi fin da piccolo per aiutare il fragile bilancio familiare. Ma Emilio aveva un talento diverso, un talento che, se fatto fruttare, avrebbe dato al ragazzo soresinese la possibilità di vedersi dedicato il viale che univa una tradizionale canzone della malavita milanese riletta da Gaber alla rigida formalità di una regina, alla quale venne intitolata anche la famosa pizza, che aveva perso suo marito in un attentato a Monza nel 1900.
Un adagio diffuso nella politica del secondo dopoguerra racconta che il sindaci di Milano e di Roma valgono come un ministro, un po' per i bacini di voti con i quali si devono confrontare, un po' perché raccolgono gli oneri e gli onori di territori che hanno un'importanza notevole per l'economia italiana ma, soprattutto, perché chi sa superare la gestione di queste due città può pensare di diventare attore nella politica nazionale. Emilio questo forse non lo sapeva ancora mentre si laureava brillantemente in giurisprudenza alla Università di Pavia e, nonostante la giovane età, aveva già dimostrato interesse per la politica attiva legandosi al neonato Partito Socialista Italiano che annoverava tra i suoi pilastri quel Leonida Bissolati nato a pochi chilometri da casa sua.
Caldara divenne subito molto attivo politicamente verso la fine del secolo, proveniva dalla campagna e conosceva la durezza del lavoro nei campi, questa durezza lo legherà nei decenni a doppio filo alle questioni economiche locali e alla tutela dei diritti e dei valori delle classi popolari.
Nel maggio 1898 è a Milano quando il generale Bava Beccaris, per reprimere le proteste dei cittadini, aprì il fuoco con i cannoni in città provocando una strage, Emilio viene “preso di mira” dalla giustizia e si rifugia a Lugano dove pubblica un opuscolo clandestino che per poter essere distribuito senza problemi, sul frontespizio ha come titolo “I promessi sposi”, quasi come a ribadire quei concetti di libertà ed indipendenza che furono nella penna del Manzoni decenni prima. Rientra a Milano grazie ad una amnistia per intraprendere quella carriera politica che lo porterà a Palazzo Marino, la scelta politica di Caldara è chiara, il proletariato deve ricevere maggiori attenzioni sia nella vita civile che in quella politica, altrimenti verrà alienato dalla vita sociale. All'inizio del vecchio secolo entra in consiglio comunale portando avanti la condizione del proletario nella crescente area urbanistica milanese, Emilio gira tra i quartieri popolari, incontra persone, elettori e gruppi di famiglie che, come la sua, dovevano faticare per arrivare a fine mese. Promette tanto a quei cittadini spesso vestiti di soli stracci il cremonese, promette e mantiene quando, come presidente della commissione bilancio, crea il nucleo vitale di quella che sarà la sua carriera politica. A distanza di più di un secolo i milanesi di allora ottennero un forno per il pane dedicato alla classe proletaria e l'allargamento delle funzioni di tutela sociale del comune anche verso i meno abbienti.
L'idea di fondo del futuro sindaco è quella di arrivare alla municipalizzazione delle utenze comunali per escludere i monopoli di fatto che potevano strangolare chi disponeva di possibilità limitate, per fare questo Caldara aveva bisogno di un passaggio fondamentale, quello di far costruire case popolari che siano degne di ospitare famiglie invece delle baracche di legno che punteggiavano in maniera sempre più diffusa la cerchia della città. La richiesta del consigliere viene soffocata in consiglio comunale anche da elementi del suo stesso partito, ma l'idea di fondo della proposta era ben più ampia, ovvero quella di sanificare e rendere coerenti con il concetto di futura metropoli i quartieri più degradati della città.
La ferrea volontà di Emilio per la creazione di una municipalizzata comincia a prendere forma nel 1910 quando venne fondata l'Azienda Elettrica Municipale (da cui il termine AEM) la quale si metteva in concorrenza tariffaria con la già presente Edison, passo storico per i cittadini perché non si poteva vivere bene solo nei dintorni di Piazza del Duomo.
Per fare questo Caldara studia l'abbassamento dalle imposte indirette, che toccavano quasi tutta la popolazione, a favore di una progressiva crescita di quelle dirette che si accompagnava a redditi crescenti. Nel 1914 stupisce tutti presentandosi come candidato sindaco ma lo stupore sarà doppio quando, alla conta delle urne, ne uscirà come vincitore, primo sindaco meneghino legato al Partito Socialista Italiano, nonché unico eletto di origini cremonesi nella storia cittadina. Il tempo di creare l'Ufficio del lavoro e arriva la Prima guerra Mondiale con tutti i limiti sociali ed economici che si porterà dietro, ma il Caldara torna subito allo sviluppo delle case popolari e alla creazione della Azienda Muncipalizzata che sia al servizio della città e dei cittadini.
Pur in un periodo storico travagliato riesce a creare una struttura comunale che supporti le mense delle scuole per l'infanzia ed elementari, amplia i servizi comunali alla popolazione che cominciava a vivere con minore distacco la vita politica locale, i “danè” di un cittadino non diventavano l'unica variabile per potersi sentire milanese. Emilio comincia a sviluppare i sussidi comunali per i lavoratori oltre, a causa delle ristrettezze belliche, ad impostare l'ammasso di beni di prima necessità e alla riduzione dei costi di acquisto degli alimenti per sopperire alle carenze delle famiglie restate senza uomini in grado di lavorare. Nel 1920 scade il suo mandato ma, e forse quel viale ne è la testimonianza, Caldara seppe gestire una delle città più importanti d'Italia durante gli anni tra i più bui del secolo.
Nella storia degli inquilini di Palazzo Marino non tutti “i padroni di casa” erano nati all'ombra della Madonnina, tra la fine del 1944 e l'inizio del 1945, con il ruolo di podestà cittadino, il palazzo di piazza della Scala vedeva un altro cremonese alle redini della città, Giuseppe Spinelli.
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